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Il rally degli Emergenti chiude l’anno ruggente delle Borse

Una montagna di liquidità favorisce le performance dei mercati emergenti. E promette di durare. Brasile e Russia i più favoriti ma l’Asia mantiene un ruolo centrale. E l’impatto sulle materie prime già si vede

Il rally degli Emergenti chiude l’anno ruggente delle Borse

Vado al massimo. E’ il titolo più adeguato per descrivere lo stato dell’arte di azioni, materie prime, beni rifugio al termine di un anno ruggente in cui i vari mercati hanno fatto a gara ad anticipare la reazione ai guai della pandemia. Ad alimentare la tendenza è stato l’atteggiamento delle banche centrali, impegnate a sostenere la congiuntura assieme ai vari governi. Nel corso della crisi, secondo il Fondo Monetario Internazionale, le autorità monetarie hanno iniettato 7.500 miliardi di dollari per evitare che le economie collassassero. I movimenti di tanta liquidità (che prima o poi, dicono i pessimisti, si tradurrà in inflazione) sono alla base del rally dei mercati emergenti che promette di durare, vista l’accelerazione degli afflussi di denaro da parte di  gestori a caccia di investimenti profittevoli: a marzo 95 miliardi, saliti a 243 dopo quattro mesi, per arrivare ai 77 miliardi (37 in equity, 40 in obbligazioni) nel mese di novembre. Le prospettive sono favorevoli per paesi come Russia e Brasile, potenze petrolifere che hanno registrato finora performance negative nel corso del 2019 (rispettivamente -14 e -18%). La fine della pandemia, inoltre, dovrebbe segnare la ripresa del turismo con immediati benefici per la Grecia (il mercato borsistico migliore dell’area euro), la Turchia piuttosto che per Thailandia e Malaysia.

In questo modo l’indice MSCI Emerging Markets si è spinto sui massimi da gennaio 2018, ampliando la performance da inizio anno a +15%. Nell’ultimo mese, mentre la Borsa cinese si è presa una pausa di riflessione, pur restando una delle migliori al mondo in termini di performance su base annua, nel movimento ascendente si è inserito il rally di altri importanti listini emergenti: Brasile su tutti con un formidabile +13%, seguito da Indonesia +8%, Corea del Sud +7%, India +6%, Taiwan e Malaysia +4%.

Shanghai e Shenzhen, però, hanno già ripreso a correre. Forse, come nota il Nikkei Times, il rallentamento seguito alla cancellazione dell’Ipo di Ant, ha motivazioni politiche. Il presidente Xi, che pur gode di incarico a vita, ha preso atto che solo i Big della new economy cinese, Alibaba e Tencent in particolare, hanno la forza economica (e potenzialmente anche politica) per sfidare il suo potere assoluto. Di qui una fase di tensioni oggi superata. E così l’indice CSI 300 ha chiuso la quarta seduta positiva di seguito con un rialzo dell’1,3% ed è risalito di prepotenza oltre la soglia dei 5mila punti che aveva perso a inizio settimana. Con questo ritmo, dicembre potrebbe diventare il terzo mese positivo di seguito, il sesto degli ultimi sette. La performance da inizio anno per un investitore in euro sfiora il +20%.

  Se il trend fosse confermato, sarebbe evidente l’effetto sul recupero delle materie prime,  a partire dal petrolio, risalito sopra la soglia dei 50 dollari. La domanda di petrolio della Cina potrebbe raggiungere un picco di 740 milioni di tonnellate all’anno nel 2025 prima di scendere progressivamente a 310 milioni di tonnellate all’anno entro il 2050 per effetto dello scenario di neutralità di emissioni di carbonio.  Ma ancor più significativo è il rialzo del rame che venerdì ha toccato un prezzo di 8 mila dollari alla tonnellata,  con un rialzo del 70 per cento da inizio anno. Ma anche in questo caso il rally potrebbe essere appena cominciato: l’obiettivo è quota 10 mila dollari, il prezzo già toccato nel 2011, un target a portata di mano se si pensa all’aumento di consumi legati al boom della green economy e della diffusione dell’auto elettrica.

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