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“Il mondo alla rovescia – Come la finanza dirige l’economia”: un nuovo saggio di Nardozzi

Pubblichiamo, per gentile concessione dell’editore “Il Mulino”, l’introduzione di Giangiacomo Nardozzi al suo nuovo saggio “Il mondo alla rovescia – Come la finanza dirige l’economia” che mette in luce come la politica abbia abdicato il suo ruolo alle banche centrali con l’effetto di una valanga di denaro a costi irrisori e con le distorsioni che ne derivano

“Il mondo alla rovescia – Come la finanza dirige l’economia”: un nuovo saggio di Nardozzi

Cè troppa finanza nel mondo e da troppo tempo. Non solo prima della crisi che essa ha provocato, ma anche oggi con l’economia che procede ancora a rilento per causa sua. C’è anche troppa moneta, un’enorme quantità di denaro disponibile per le banche a costi irrisori. Una situazione mai vista e ben più permissiva di quella che ha incoraggiato la rovinosa corsa al guadagno del decennio scorso. E’ l’effetto di politiche economiche affidate da lunga data principalmente a manovre monetarie, giunte a battere vie estreme, non convenzionali, per forzare il ritorno alla crescita.

La finanziarizzazione dell’economia e l’abuso dello strumento monetario per governarla, ovvero l’enorme influenza dell’industria bancaria e dei banchieri centrali, sono i fatti di cui tratta questo libro, che intende far riflettere gli esperti su una tesi non scontata, e cioè che non si possono più ignorare i problemi creati da un’eccessiva delega del governo dell’economia alle banche centrali. E’ un modo per dismettere le proprie responsabilità da parte di una politica che non merita la “p maiuscola”, perché incapace di improntate la sua azione a quello che sarebbe necessario per ridurre la grande incertezza che pervade l’economia e la società. Le banche centrali possono combattere questa incertezza e lo fanno, ma debbono fare i conti con il “giorno per giorno”. E la delega ricevuta dai governi stride con la necessità che la gestione della moneta guardi oltre, alle tendenze più di fondo, come alla finanziarizzazione che la “vista corta” ha di fatto promosso.

Questi argomenti vengono illustrati rispondendo a tre semplici domande che molti, non solo gli addetti ai lavori, si pongono. Perché la finanza è divenuta ipertrofica? Quali gli effetti di questo suo abnorme sviluppo? Si riuscirà a frenarlo con la gran massa di regole imposte dalle riforme congegnate negli ultimi anni, oppure occorrerà una vera e propria svolta nella gestione dell’economia? Il libro spiega come si sia ingigantito l’apparato finanziario sottolineando il punto cruciale, ovvero la trattazione del rischio e delle sue infimite specie, rappresentate da tutto ciò che può a accadere dmani. Questa è la chiave per capire gli ormai noti “castelli di carte” che configurano una finanza diversa dal passato perché in grado di moltiplicarsi da sola teoricamerite senza limiti, anche se la vera economia sottostante cresce poco e perfino rallenta.

Ci troviamo di fronte a una notizia “geneticamente modificata”, un OGM ipersviluppato rispetto alla sua naturale funzione di “servizio dell’economia” che oggi si vorrebbe ristabilire. Gli enormi danni conseguenti alla crisi hanno richiamato l’attenzione sugli effetti più duraturi, prima ignorati, di questa mutazione. Non solo crescente indebitamento, maggiore insicurezza economica e fragilità delle banche, ma anche più diseguaglianza con una distribuzione di reddito e ricchezza a favore di pochi, oltre a minor crescita. I protagonisti di questa nuova finanza che ha preso piede nell’ultimo paio di decetmi sono riusciti a garantirsi che la domanda del loro principale commercio, i rischi derivati dall’ignoranza del futuro, rimanga robusta. Al lettore si spiega il perché e come non si sia trattato di un caso. E’ stato l’esito della stessa delega al controllo dell’economia attribuita ai banchieri centrali, guardando indietro piuttosto che avanti alla lotta all’inflazione – rilevante un tempo ma sempre meno con il passare degli anni – e a un paradigma teorico che a questo obiettivo sostanzialmente impronta la politica macroeconomica.

Con l’inflazione sempre più facilmente controllabile, le politiche monetarie sono divenute progressivamente più accomodanti nei confronti dell’assunzione di rischi: un fatto troppo trascurato che ha mutato i connotati stessi delle economie, a partire da quella americana. Si è diffusa l’abitudine alla droga dell’indebitamento e delle bolle speculative, una triste condizione che va riproponendosi anche oggi. In questo modo la finanza è giunta in pratica a dirigere l’economia: essa non può fare a meno di una gestione della moneta che la sostenga e finisce per imporla con l’arma dei disastri che è in grado di provocare. Ecco dunque “il mondo alla rovescia”, dove non è il padrone a tenere al guinzaglio il cane, ma il contrario.

Se ne può uscire? Ci provano le riforme post-crisi, che colpiscono le maggiori banche su più fronti con un coacervo di regole per rendere più difficile e costoso il loro operare nella finanza. Soprattutto si vuole evitare di “mettere le mani in tasca ai contribuenti” replicando l’esperienza dei salvataggi pubblici delle banche, obbligati dalla crisi. È uno slogan d’effetto per l’opinione pubblica. Ma assai fragile se non verranno salvaguardati il lavoro, il risparmio e l’impresa dagli enormi costi che potrebbe ancora infliggere la finanza. Se ci si addentra nella selva delle riforme, sono leciti molti dubbi. Le nuove e più severe regole sono viziate da difetti d’impianto e irte di dettagli, dove spesso”mette la coda il diavolo” a difesa di corposi interessi lobbistici e anche (in Europa) nazionalistici. Rimane comunque certo che, in fin dei conti, sono le banche centrali le vere regolatrici, con il loro i tasso d’interesse, dell’incentivo a prendere rischi e anche ad aggirare, se non trasgredire, le regole quando la convenienza è forte.

La conclusione? C’è una morale sulla quale riflettere e una speranza da valutare. La morale è che va rilanciata ai governi la palla che hanno passato alle banche centrali, sovraccaricandole di responsabilità. Vi è una incoerenza di fondo tra economie molto finanziarizzate e l’impiego di manovre sul costo e la quantità di denaro come principale strumento d’intervento. I politici dovrebbero prenderne atto e cessare di abdicare a compiti che loro spettano, come avviene da troppi anni: si pensi a come la crescita del benessere dei cittadini americani sia affidata soprattutto alle manovre della FED; o al caso della BCE, chiamata a supplire alle falle nella costruzione della moneta unica europea. La speranza viene dalla lezione sempre più chiara dei postumi della crisi sui limiti e i rischi della gestione prevalenternente monetaria dell`economia.

Dopo sette anni di tassi americani tenuti a zero dalla banca centrale di Washington, il contagio del denaro ultrafacile si è diffuso all’Europa e ai paesi emergenti, rafforzando i timori di nuove gravi turbolenze finanziarie globali. Non a caso è in atto un ripensamento dell’impianto di politica macroeconomica per ridimensionare il ricorso a manovre monetarie, orientarle più verso una visione di lungo periodo, responsabilizzare maggiormente i governi. Se i fatti seguiranno, potremmo assistere alla conclusione di un’epoca che ha nutrito oltre misura la finanza, consentendole di dirigere l’economia.

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