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Il duopolio non fa bene alle Bcc: Iccrea-Federcasse e Cassa Centrale Trentina ai raggi X

La riforma del credito cooperativo è rinviata a settembre ma in campo sembrano restare principalmente due ipotesi: quella di Iccrea Holding Federcasse e quella della Cassa Centrale Trentina ma la disparità delle forze e gli eventuali comportamenti aggressivi sui prezzi rischiano di alterare la concorrenza e danneggiare tutto il mondo delle Bcc

Il duopolio non fa bene alle Bcc: Iccrea-Federcasse e Cassa Centrale Trentina ai raggi X

Il termine per concludere l’iter della riforma del credito cooperativo, nella parte di competenza interna al sistema delle BCC (autoriforma) ed esterna (atti di completamento del Governo e di Bancaditalia) sarà il mese di settembre. Vogliamo credere che sia effettivamente così, dato che i nove mesi finora trascorsi per cercare soluzioni al problema della trasformazione del sistema non sono stati né indolori (per l’emergere di spaccature nel movimento), né privi di rischi (con qualche comportamento ispirato a moral hazard per sostenere il ruolo di polo riformatore); circostanze, peraltro, che non sono ancora ritenute del tutto superate.

Qualsiasi considerazione sul tema deve partire dal punto che, nonostante i seri problemi strutturali noti da tempo, non vi era, colpevolmente e fino alla iniziativa governativa, alcun progetto volto alla loro risoluzione e che questa mancanza, oltre a essere un problema in sé, ha poi dato adito a proposte, di differente valenza specifica, che non hanno certo contribuito a chiarire i termini della questione e a far trovare rapidamente la quadratura.

Nelle ultime settimane, delle sei o sette ipotesi comparse sui media talvolta ispirate a soddisfare velleità riformatrici piuttosto che ad ampliare il novero delle opzioni effettivamente praticabili, sembra che (fatta salva l’autonomia che tutti sembrano disposti a riconoscere al mondo atesino) siano rimaste in campo quella di Iccrea Holding/Federcasse e quella di Cassa Centrale Trentina, protagonisti di una storica e finora non ricomposta dialettica, non sempre finalizzata agli interessi generali del movimento.

Come dovrebbe avvenire il confronto tra le due posizioni, dato che nel modello da costruire non sembrano esservi sostanziali differenze giuridiche e di Governance societaria, con una holding alla testa delle nuove configurazioni e un patto di coesione con garanzie incrociate tra i partecipanti? Uno degli argomenti più importanti è di natura ontologica, cioè a dire se il sistema risultante al termine della trasformazione debba essere Uno o Bino. In termini economici, la questione è se sia migliore una situazione di monopolio o una di duopolio, al fine di una competizione utile alle sorti delle BCC italiane e dei loro clienti.

Le differenze di dimensione complessiva in termini di numero degli aderenti (200 circa per Iccrea contro 90 per Cassa Centrale), di dimensione relativa circa le singole componenti (i trentini aggregherebbero soprattutto entità di piccole dimensioni) e di copertura del territorio nazionale (sempre per i trentini, parziale e a macchia di leopardo) dicono che i due Gruppi agirebbero su basi industriali e di mercato poco confrontabili tra di loro.

Quindi tra i due, vi sarebbe probabilmente una concorrenza di nome, piuttosto che di fatto. A meno che l’obiettivo di ridurre questo gap induca il raggruppamento minore a comportamenti di moral hazard, ad esempio offrendo i servizi delle proprie strutture di complemento (informatiche, assicurative, professionali) a prezzi sempre più bassi per attrarre nuovi clienti, riducendo nel medio termine le proprie possibilità di investimento, ad esempio in innovazioni tecnologiche. Cosa che finirebbe per peggiorare le proprie capacità competitive. Non è nemmeno detto che eventuali comportamenti aggressivi sul fronte dei prezzi possano essere equamente distribuiti tra tutti gli aderenti, potendo al contrario favorire alcuni a danno di altri. Segnali in tal senso si possono già cogliere nelle offerte di quel gruppo a favore di banche diverse dalle BCC (piccole Popolari e Spa), divenute di improvviso interesse, cui sembra che vengano già adesso riservati trattamenti commerciali di particolare vantaggio.

E, quando i prezzi dei servizi diventano avulsi rispetto ai fattori di costo, è facile supporre che ciò si traduca non solo in comportamenti distorsivi della concorrenza, ma addirittura in fattori di instabilità, dato che, con l’obiettivo della crescita dimensionale, una parte dei clienti è chiamata giocoforza a farsi carico degli sconti praticati ad altri. Inoltre, un miglior trattamento a favore di soggetti diversi dai propri aderenti istituzionali può produrre un vulnus allo spirito cooperativo in nome del quale si agisce. Un altro argomento attiene alla capacità di mobilitare risorse per conferire al patto di coesione che si intende porre a fondamento del Gruppo Bancario Cooperativo la necessaria robustezza patrimoniale.

E i livelli di partenza non possono lasciare indifferenti. Patrimonio di Iccrea Holding 2015: 1,8 miliardi di euro, patrimonio di Cassa Centrale Banca: 220 milioni. Le prime dieci/dodici BCC, singolarmente prese, hanno, salvo errore, patrimoni superiori a quest’ultimo dato. Attorno a questa palmare differenza, dobbiamo riconoscere che vi è consapevolezza da parte di Cassa Centrale della propria insufficiente forza, al punto che essa stessa stima che, per costituirsi in Gruppo, avrà necessità di elevare il patrimonio a 800 milioni/1 miliardo di euro. Poiché non abbiamo trovato in nessun documento ufficiale quali possano essere le fonti di tali occorrenze, salvo il generico richiamo al mercato, viene da pensare che le risorse debbano in gran parte provenire dalle stesse BCC aderenti. Come a dire che per garantire al meglio tutti, bisogna che i conferimenti, da moltiplicare per ben quattro o cinque volte rispetto alle attuali consistenze, siano forniti dagli stessi soci del patto di coesione, perché possano a loro volta essere garantiti dalla capogruppo e dai rapporti di solidarietà giuridica da instaurare tra di essi.

Tra l’altro, alcune tra le BCC dimensionalmente più significative di questa possibile aggregazione sono state negli ultimi anni interessate da crisi ancora non risolte, che hanno rappresentato per i Fondi di garanzia obbligatoria e volontaria facenti capo alla cooperazione bancaria un impegno finanziario di dimensione finora sconosciuta nella ultracentenaria storia del movimento. Infine, vi è la questione dei due diversi regimi di vigilanza bancaria a cui, allo stato attuale, debbono sottostare i due gruppi: quello di Iccrea Holding alla vigilanza europea della BCE, essendo annoverata tra le prime 15 banche italiane a rischio sistemico, l’altro a quella nazionale di Banca d’Italia, regimi che, per quanto allineati, non potranno non avere differenze (per il più piccolo si pensi, ad esempio, alla applicazione del principio di proporzionalità della regolamentazione), rendendo più difficile l’obiettivo del livellamento del campo di gioco.

Da quanto precede sembra di poter trarre la conclusione che da un duopolio siffatto possano difficilmente scaturire vantaggi d’ordine generale per il sistema delle BCC e per i clienti dei loro servizi bancari. Come corollario, consegue che qualsiasi altro eventuale raggruppamento di banche cooperative di dimensioni minori apporterebbe vantaggi ancora più ridotti. Ammesso che il ragionamento in favore di un unico Gruppo Bancario Cooperativo abbia, come riteniamo, un proprio fondamento, non debbono essere comunque sottovalutati i gravi deficit al momento presenti in questo progetto.

Al respiro nazionale, che in linea di principio risponde alla esigenza di governare unitariamente un sistema altamente frammentato tramite la devoluzione di importanti funzioni strategiche e di controllo ad una Capogruppo, non può essere estraneo il tema del consolidamento delle componenti più deboli, passo inevitabile per dare sostanza alla riforma. Sembra invece che, rispetto alle prime discussioni, la questione riceva una più sommessa enfasi. Sarebbe a nostro avviso sbagliato coltivare l’illusione che possano restare sul mercato BCC di qualsiasi dimensione patrimoniale e operativa, senza effetti negativi sui consumatori finali, soltanto perché inquadrate nel contesto del gruppo.

A un serio progetto di fusioni, va poi affiancato un piano di investimenti per il rinnovamento tecnologico e del business, che prenda atto della inadeguatezza a corrispondere alle esigenze di servizi bancari moderni da parte delle comunità del territorio, cui viene naturalmente riferita la mission delle BCC. L’area sulla quale operare è vasta, ma proprio per questo ricca di suggestioni, al fine di promuovere l’effettivo rilancio della componente cooperativa del credito bancario in Italia. Come per qualsiasi altro processo di rinnovamento, la domanda finale da porre senza ambiguità riguarda l’adeguatezza degli organi di vertice del Movimento a guidare questi ineludibili e complessi passaggi istituzionali e industriali. Tale interrogativo si estende anche alla componente manageriale per le problematiche organizzative strettamente connesse con un così ampio progetto di revisione. E in tutto ciò incontriamo forse il vero problema da risolvere. Ma non vorremmo entrare nel più spinoso degli argomenti.

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