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Il credito cooperativo va a Francoforte ma il Fondo di Garanzia delle Bcc è tutto da ripensare

La supervigilanza della Bce sulle 660 banche minori (Bcc, Cassa di risparmio, piccole banche popolari) deve essere l’occasione per ristrutturare il sistema, cominciando a ripensare il Fondo di Garanzia dei depositanti delle Bcc – Troppo facile scaricare le crisi sui dipendenti risparmiando i vertici delle banche minori che hanno creato i dissesti.

Il credito cooperativo va a Francoforte ma il Fondo di Garanzia delle Bcc è tutto da ripensare

Un testo come quello edito pochi giorni fa dalla Banca Centrale Europea dal titolo Guida alla Supervisione Bancaria non è certamente in grado di suscitare la generale attenzione dei cittadini. E così la stampa, pur dandone puntuale notizia, non si è soffermata più di tanto sulle sue implicazioni. Eppure questo documento che illustra principi, strutture organizzative e procedure del Single Supervisory Mechanism creato per assicurare stabilità al sistema bancario europeo, è molto importante per capire come verrà concretamente esercitata la vigilanza da parte della BCE sulle singole componenti, distinte tra 1200 significant banks, vale a dire a rischio sistemico, e 3700 less significant banks. Soprattutto la scelta di sottoporre a controlli, seppure indiretti cioè mediati dalle Banche Centrali Nazionali, questo secondo gruppo di banche rappresenta forse il profilo dalle conseguenze di maggior rilievo per il nostro sistema, stante la sua configurazione e la attuale condizione critica di non poca parte di esso.

Queste banche “meno significative”, in numero di 660, di cui 380 BCC, una trentina di piccole popolari e le restanti, banche Spa, spesso rivenienti dal segmento delle ex Casse di Risparmio, sono accomunate da una base di operatività circoscritta, al più d’ordine interprovinciale o regionale, nonostante la crescita tumultuosa delle proprie strutture continuata anche in questi ultimi anni. Insomma si tratta dell’intero sistema bancario minore, le cui singole entità spesso denominate banche locali, del territorio, di prossimità o simili sono state identificate, almeno fino allo scoppio della crisi, come un valore in se’ in quanto in grado di sostenere finanziariamente la frammentazione produttiva del sistema industriale e i bisogni creditizi delle comunità locali, conservando profili abbastanza uniformi in termini di rischi assunti e di risultati economici conseguiti. L’entrata delle piccole banche non sistemiche nell’orbita di controllo del Single Supervisory Mechanism avviene in un momento nel quale questa parte dell’industria – salvo lodevoli ma rare eccezioni -non ha ancora prodotto il necessario cambiamento strutturale, ritardando i processi di consolidamento, la trasformazione dei paradigmi decisionali e operativi e l’individuazione di nuove aree di business.

A differenza di altri sistemi che, come la Spagna, hanno reagito con maggiore prontezza alla crisi, avviandosi, per quanto grazie al tempestivo intervento pubblico, verso un ridisegno complessivo dei propri connotati, il disperso sistema italiano è andato avanti con sempre maggiore difficoltà, via via che le più severe azioni della Banca d’Italia in direzione di politiche di provisioning più coerenti con l’effettiva rischiosità dei portafogli crediti hanno prodotto ripetuti risultati di esercizio negativi. Gestione delle crisi mediante commissariamenti e richieste di soluzioni aggregative, poche delle quali portate finora a conclusione, hanno d’altro canto caratterizzato politiche di vigilanza incentrate su soluzioni di tipo individuale piuttosto che di sistema. In particolare, è interessante osservare quanto ciò sia vero per l’universo delle BCC che si presenta di fronte a questo mutato contesto istituzionale, con rilevanti situazioni di dissesto nelle quali gravi perdite derivanti da concentrazione dei rischi si intrecciano con gravi irregolarità, quali conflitti di interesse, gestioni familistiche, violazioni normative in materia di antiriciclaggio, usura, trasparenza. 

Alcuni importanti sistemi regionali del credito cooperativo sono interessati da risultati complessivi negativi; eppure, mentre si formulano piani di riassetto di scarsa praticabilità, che sembrano destinati a rinviare nel tempo scelte sempre più necessitanti, si continua a preservare l’autonomia di situazioni aziendali prive dei requisiti minimi di efficienza ovvero se ne produce l’uscita dal mercato a costi crescenti per l’intero movimento. E tutto ciò per non dire di proclami di solidità del sistema che, invece di rassicurare, aumentano le perplessità sulla generale tenuta. Sono casi che purtroppo conosciamo con sempre maggiore frequenza, ma sembra anche utile soffermarsi sulle conseguenze più a breve di queste situazioni e tentarne una lettura alla Piketty: chi vince e chi perde nell’attuale frangente e perché aumentano le diseguaglianze tra i tanti attori della governance del sistema del credito cooperativo.Per spiegare questo punto occorre accennare ad un aspetto forse meno noto costituito dall’azione del Fondo di Garanzia dei depositanti delle BCC che viene sempre più di frequente chiamato a intervenire a sostegno di banche in crisi con soluzioni assai onerose, ripartendone il costo su tutte le altre aderenti.

Il bilancio 2013 di questo organismo da’ una chiara rappresentazione dello stato complessivo, riportando il crescente numero di banche con profili di anomalia e le cospicue cifre impegnate per evitare tanto la liquidazione coatta amministrativa e quanto l’intervento di banche di categoria diversa, in favore di soluzioni aggregative da far restare nell’ambito del movimento. Questo sforzo potrebbe alla fine non essere sostenibile, se non altro perché impone anche ad aziende debilitate i costi per il sostegno di situazioni ancor più precarie. Una catena di debolezze che genera altre debolezze e che rischia di spezzarsi.

Quanto alle condizioni richieste alla Bcc in dissesto affinché la banca interveniente ottenga i benefici del Fondo, l’asprezza delle misure si scarica per lo più sulla compagine impiegatizia con la rinegoziazione degli accordi di lavoro e l’uscita di personale. Si preferisce agire su questo costo piuttosto che recidere le spese amministrative, quali quelle per i servizi ricevuti in outsourcing dagli enti specializzati della categoria, ovvero per consulenze o altre elargizioni, talvolta invero esorbitanti e di non facile comprensione. Ad eccezione dei dipendenti, cercano di salvarsi un po’ tutti, dagli organismi di controllo, alle Federazioni Regionali, agli esponenti che spesso sono in carica da tempo immemorabile e qualche responsabilità debbono pure averla avuta. In questo modo le tanto osannate banche del territorio si alleggeriscono, poco cooperativamente e solidalmente, di un po’ di gente e il salvataggio viene subito giudicato praticabile, in quanto rispettoso dei principi inderogabili della conservazione della specie. Non è un caso che uno dei giornali che si è di recente dedicato a commentare la situazione di un sistema regionale di banche di credito cooperativo dai risultati non proprio brillanti abbia emblematicamente titolato il pezzo “Salvate il soldato bcc”, richiamandosi ad un noto film (La Repubblica, Edizione Fiorentina del 7 ultimo scorso).

E così resta davvero poco e su questo poco, in assenza di un credibile piano di ristrutturazione dell’intero sistema del credito cooperativo, si eserciteranno i controllori di Francoforte, che, per il tramite degli organismi di vigilanza nazionale, opereranno per assicurare a questo mondo (compresa la capogruppo bancaria Iccrea Holding finita sotto la lente diretta di BCE in quanto ricompresa tra le 14 significant banks italiane) l’applicazione effettiva degli high supervisory standards della vigilanza bancaria europea.E, oltre a tutto quanto detto finora, anche questa, per molti, non e’ una buona notizia.

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