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Green Network, l’energia made in Italy sfida Brexit e va in Uk

La società romana ignora il vento della Manica e si prepara a sbarcare in Uk con un obiettivo di 400 mila clienti entro il 2019.Programmi ambiziosi anche per l’Italia dove, nello stesso periodo, l’azienda vuole raggiungere 1 milione di contratti. Ma l’Antitrust tiene sotto osservazione la politica commerciale aggressiva.

Green Network, l’energia made in Italy sfida Brexit e va in Uk

Londra aspettaci: stiamo per arrivare. E il messaggio di Green Network, società elettrica romana, che dalla nascita nel 2003 ha saputo conquistare una posizione di tutto rispetto nel mercato italiano dell’energia. E si prepara ad un salto di qualità, grazie ad un piano per i prossimi tre anni: acquisizioni, quotazione in Borsa e lo sbarco oltre Manica con un obiettivo di 400 mila clienti da conquistare entro il 2019, per un giro d’affari di 400 milioni di sterline.  

Un’emigrazione? No, semmai un raddoppio perché nel frattempo la società, forte oggi di un parco clienti in Italia di 300 mila unità, con un fatturato attorno al miliardo di euro (per l’esattezza 1,02 miliardi), punta a centrare nello stesso periodo l’obiettivo di un milione di contratti nel Bel Paese con un fatturato di 1,2 miliardi ed una marginalità dell’8% (100 milioni di ebitda). Obiettivo minimo, visto che le cifre del piano non tengono conto delle acquisizioni future “che pure, probabilmente, ci saranno”, anticipa Giovanni Barberis, il direttore finanziario approdato in Green Network per curare la creazione di una struttura finanziaria adeguata a sostenere l’evoluzione del business: da trader di energia importata dall’estero a protagonista della Borsa elettrica, da produttore di energie rinnovabili all’ingresso nel mercato retail. 

 Oggi, di fronte all’evoluzione del mercato (sovraccapacità produttiva) e grazie alle potenzialità della tecnologia, Green Network cambia di nuovo pelle: da produttore di energia a fornitore di servizi in un mercato aperto alla concorrenza. Sia in Italia che in Gran Bretagna, Paese dalle regole chiare e trasparenti, pronto ad accogliere un nuovo competitor che si presenta come un mercante puro, che compra e vende energia garantendo forniture, prezzi adeguati e buoni servizi. Capace, peraltro, di aggirare i pericoli del settore (tipo le sofferenze della clientela) o i costi di acquisizione dei contratti, spinti all’insù dalla concorrenza.  

Green Network affronta con numeri lusinghieri questo nuovo passaggio della sua avventura iniziata nel 2003 quando Piero Saulli, già top manager dell’Enel, e Sabrina Corbo, avvocato d’affari specializzato nel settore energia, decisero di fondare la società di cui sono ancora oggi i due soli azionisti. Da allora Green Network ha bruciato le tappe creando un gruppo attivo lungo tutta la filiera elettrica: trading  di energia e di gas( 13 Twh di energia  e 216 mcm di gas); la gestione diretta di 243 megawatt (prodotti in 43 impianti) oltre a 20 megawatt in energie rinnovabili. 

Nella crescita di Green Network, per certi aspetti sorprendente in un mercato difficile come quello dell’energia, non sono mancati tuttavia momenti di tensione con i consumatori e di frizione con le Authority di vigilanza, legate soprattutto alla politica commerciale aggressiva. Proprio un mese fa l’Antitrust, a seguito di circa 300 segnalazioni provenienti da singoli clienti, associazioni di consumatori e dalla stessa Autorità per l’Energia, ha aperto un procedimento per inottemperanza nei confronti della società, legato alla precedente sanzione di 240.000 euro a causa di attivazioni non richieste della fornitura di gas e elettricità. Richiesta gestite dai call center, spesso collocati all’estero; un fenomeno che ha riguardato anche altri gruppi dell’energia.  

 Oggi Green Network conta su uno staff di 283 dipendenti (di cui il 70% laureato, età media 33 anni) e  una prima linea guidata dai fondatori ma rafforzata oltre che da Barberis, già cfo di Acea e di d’Amico, dall’ex dirigente Enel Giuseppe Martini che vanta una lunga esperienza nei rapporti con i grandi clienti. La società , che ha raggiunto oggi 300 milioni di fatturato ed un ebitda a fine 2015 di 24 milioni, non ha attualmente debiti ed ha ottenuto nell’ottobre 2015 dal Cerved un rating B.1.1, equivalente a BBB/BBB+ di S&P. 

E’ con questi numeri che la società romana si accinge a sfidare i venti della Brexit. Chissà, le navigazioni contro corrente certe volte sono fortunate.

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