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Giro d’Italia 2022: la rivincita di Hindley, la delusione di Carapaz, cinque rivelazioni italiane, onore a Nibali

Troppo tatticismo al Giro ma il ciclismo resta pur sempre l’emblema della commedia umana e le sorprese non sono mancate nemmeno stavolta

Giro d’Italia 2022: la rivincita di Hindley, la delusione di Carapaz, cinque rivelazioni italiane, onore a Nibali

Si è chiuso felicemente il Giro d’Italia numero 105. Ora è tempo di bilanci. Un grande Giro del ciclismo è da sempre l’emblema della commedia umana, riprodotta  in una gara ciclistica. Tutto ciò si è puntualmente ripetuto nell’arco delle 21 tappe di questo Giro d’Italia. 

Giro d’Italia 2022, il bilancio

Il bilancio finale è di luci e ombre, che portano a sintesi sorprese,  conferme,  delusioni.

Tra le sorprese piacevoli inserisco i cinque italiani vincitori di tappa: Dainese, Oldani, Ciccone, Covi, Sobrero. Hanno smentito i timori di non avere ciclisti competitivi in grado di vincere almeno una tappa, se non il Giro. Sono giovani, bravi, puliti, alcuni alla prima vittoria da professionista. Lasciano ben sperare nel futuro, a meno che non finiscano con l’essere messi a perenne servizio dei più affermati capitani. 

E’ a proposto emblematica l’affermazione di Alessandro Covi, che già da dilettante era un vincente: “Oggi ho potuto fare di testa mia. Non avevo nessuno da aspettare!”.  

Resta il fatto che l’ultimo italiano a vincere il Giro nel 2016 è stato Vincenzo Nibali, tra i pochi ciclisti ad avere vinto i tre grandi Giri. Vincenzo ha onorato il suo ultimo Giro giungendo 4°. La possiamo considerare una conferma sorprendente, come quelle di Pozzovivo 8° a 40 anni e di Alejandro Valverde 11° a 42 anni. Nessuno dei tre ha però coronato la fine della loro carriera con un colpo d’ala vincente. Il loro merito è stato solo quello di essersi difesi, facendo leva sull’esperienza.

Giro d’Italia 2022: Ineos pianifica, ma Hindley vince

Hanno anche  tratto vantaggio dal modo in cui negli ultimi tempi si corrono i grandi giri. Prevale il tatticismo pilotato dai direttori sportivi al seguito.  L’esempio lampante è il gioco di squadra praticato dalla INEOS, sulla carta il team più forte. Tutto pianificato da lontano, a cominciare dal capitano designato Carapaz, che si è allenato per 40 giorni nelle alture dell’Equador.  Così è partito da Budapest con il pronostico unanime di essere il più probabile vincitore del Giro d’Italia. 

Per raggiungere il risultato programmato, è stato protetto a ruota dei suoi compagni serventi per tutto il Giro, senza mai chiedergli di azzardare un attacco per dare un segnale di superiorità e vincere una tappa. Per poi dovere amaramente constatare che alla penultima tappa, una volta rimasto solo senza compagni di squadra, non ha retto il confronto con Jai Hindley, che ha vinto il Giro. Primo australiano della sua storia. Si è così realizzato il vortice di stati d’animo della sorpresa del vincitore inatteso, della conferma della tattica perdente della INEOS e della delusione dell’incolpevole Carapaz, che comunque si è confermato secondo.

Il problema è che questo colpo di scena che ha movimentato il Giro e l’ha reso avvincente è avvenuto solo negli ultimi 3 km della penultima tappa, l’ultima di alta montagna, dopo avere scavalcato i Passi San Pellegrino e Pordoi ed essersi arrampicati lungo l’interminabile salita  verso il Passo Fedaia, senza che sia successo nulla di interessante ai fini della classifica. L’unica emozione sportiva è venuta dalla fuga di Covi, portata felicemente a termine, dopo una discesa mozzafiato dal Pordoi e una tenace resistenza nella salita finale. 

Tutto il resto è stato noia, come nei giorni precedenti. Hanno sopperito gli aneddoti dei commentatori televisivi e la visione del meraviglioso paesaggio dolomitico dall’elicottero. A conferma, dalla tappa corsa in Slovenia e nel Friuli ne ho tratto solo il desiderio di visitare queste regioni, che conosco poco. 

Un po’ di noia non intacca il fascino del ciclismo

In conclusione, non mi resta che ribadire quanto ho sostenuto nel mio intervento all’inizio del Giro. Secondo me, la critica va rivolta agli organizzatori, più che ai direttori delle squadre e ancor meno ai corridori. Ciascuno fa il suo gioco nei rispettivi ruoli. 

Gli organizzatori mirano ad attrarre interesse e sponsor programmando percorsi con  grandi difficoltà in termini di salite, pendenze, muri, fino a rendere percorribili dimenticate mulattiere. 

I direttori debbono soddisfare i loro finanziatori portando risultati e, di conseguenza, programmando le strategie di squadra per ridurre al minimo i rischi di sconfitta, soprattutto se hanno in squadra costosi campioni in grado di vincere il Giro. 

A loro volta, i corridori sono costretti a centellinare le forze di giorno in giorno, sapendo che dopo un muro o un valico superato ce ne saranno altri nella stessa tappa e nei giorni successivi. Il problema principale è quello del recupero delle forze. Sono esseri umani, chiamati per allungare la loro carriera a difendersi da un calendario di corse asfissiante.

Tutto ciò può semmai deludere, ma non intacca il fascino del ciclismo per lo sforzo individuale del corridore, che spende enormi energie fisiche e mentali, rischia ad ogni curva, supera salite che mettono a dura prova anche i motori di moto e auto, si getta in discese da vertigine, sfiorando rocce da un lato e burroni dall’altro, con la speranza di vincere. Senza dimenticare  che il ciclista cade e si rialza, finché può, per portare la bici al traguardo. In questo è sempre un vincente, anche se non arriva primo.

L’insegnamento umano che mi è sempre apparso più significativo è che, a fronte di un impegno costante negli allenamenti e nelle corse, poche volte si arriva primi in carriera: spesso mai. Ciò significa che bisogna saper perdere, senza mai rassegnarsi. 

Andrea Vendrame, è lui l’emblema del Giro 2022

L’emblema di tutto ciò è rappresentato in questo Giro dal caso di  un corridore che sinora ha vinto poco, Andrea Vendrame. E’ stato beffato all’ultima curva da un concorrente che involontariamente l’ha spinto fuori linea facendogli perdere una volata che avrebbe potuto vincere. A soli 70 metri dal traguardo, dopo oltre duecento km di una tappa di montagna durissima, nella quale era riuscito con grande sforzo a non farsi staccare. Nell’intervista all’arrivo ha subito esorcizzato l’evidente delusione e rabbia con la significativa affermazione: “Ci proverò la prossima volta!”

Una seconda chance che prima o poi arriva, come si è verificato  per il neovincitore Hindley, dopo la grande delusione di avere perso il Giro d’Italia nel 2020 all’ultima tappa a cronometro per soli 38 secondi.

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