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Giangiacomo Nardozzi: “Troppa politica monetaria, tante bolle e poca Politica”

Intervista a GIANGIACOMO NARDOZZI – E’ triste che si affidi la soluzione della crisi economica e finanziaria globale alle banche centrali – Bernanke e Draghi hanno fatto del loro meglio ma la politica monetaria ha per definizione la vista corta – Tocca ai politici assumere la responsabilità delle scelte che debbono portarci realmente fuori dalla crisi.

Giangiacomo Nardozzi: “Troppa politica monetaria, tante bolle e poca Politica”

Nella crisi globale la politica monetaria torna regina. Sia negli Stati Uniti, dove la Fed di Ben Bernanke sta facendo l’impossibile per rilanciare l’economia che ancora risente del disastro finanziario del 2008-2009, sia in Europa dove alla Bce di Mario Draghi è affidata l’uscita dalla crisi dell’euro. Le ragioni e il ruolo della politica monetaria sono al centro di una ricerca presentata in un recente seminario della Banca d’Italia da Giangiacomo Nardozzi, fine economista del Politecnico di Milano, che diventerà il fulcro di un saggio di prossima pubblicazione. Sentiamo di che cosa si tratta dalle parole dell’autore.

FIRSTonline – Professor Nardozzi, la politica monetraia ha guadagnato un ruolo di primo piano nella crisi: che cosa emerge dal suo nuovo saggio?

NARDOZZI – Il saggio è il risultato di un lavoro svolto con due colleghi sulla crisi finanziaria globale partita dai mutui sub-prime americani, un lavoro che abbiamo discusso qualche mese fa in un seminario alla Banca d’Italia. Non riguarda dunque gli sviluppi successivi né i problemi dei debiti sovrani in euro che stiamo ancora soffrendo. Ma in effetti ha una sua attualità.

FIRSTonline – Quale?

NARDOZZI – Deficit di Politica (quella con la p maiuscola) e troppa politica monetaria.

FIRSTonline – In che senso?

NARDOZZI – E’ una lunga storia. Nel nostro lavoro l’abbiamo fatta partire dall’inizio di questo secolo, ma si può andare più indietro. Ricorda il grande boom di borsa degli anni Novanta partito dagli USA?

FIRSTonline – Certo, e allora?

NARDOZZI – Ecco, quello straordinario boom era stato alimentato, più che da un reale progresso nella produttività dell’economia americana, da una politica monetaria accomodante. Si arrivò quindi a temere seriamente un crollo di Wall Street con possibili conseguenze catastrofiche. Quando, all’inizio degli anni Duemila la bolla si sgonfiò il disastro fu miracolosamente evitato dalla stessa politica monetaria con un eccezionale taglio dei tassi di interesse. Ma poi, anche in seguito all’attentato alle Torri Gemelle, la politica monetaria continuò ad essere eccezionalmente espansiva drogando la crescita dell’economia americana, questa volta con una bolla immobiliare. Questa è la storia, nota, da cui abbiamo preso le mosse: mostra un governo dell’economia prevalentemente affidato alla politica monetaria che ha prodotto un regime di bolle poi esportate nel resto del mondo.

FIRSTonline – E il seguito? Come arrivate alla crisi finanziaria?

NARDOZZI – Dal 2000, i tassi di interesse a lungo termine si sono ridotti non solo negli Stati Uniti, ma anche a livello mondiale, mentre i tassi di profitto nell’economia reale continuavano ad aumentare per le occasioni offerte dalla globalizzazione e la pressione sui salari che essa ha comportato. Si è così aperto un divario tra rendimento del capitale reale, crescente, e rendimento finanziario, in diminuzione fino a livelli storicamente molto bassi. Le banche, parlo delle maggiori, hanno cercato di colmare questo divario, a loro sfavorevole. E ci sono più che riuscite, nei modi classici: aumentando il leverage e prendendo rischi maggiori con l’uso di nuovi strumenti tossici prontamente forniti dalle maggiori investment banks, con le operazioni fuori bilancio e trasformando la securitization con il modello “Originate to Distribute”. Tutto ciò ha reso opache le loro effettive attività e passività, creando quell’improvvisa sfiducia tra le banche che ha fatto scoppiare la crisi, e l’ha resa così grave, in seguito alle insolvenze nei mutui subprime americani che avrebbero altrimenti costituito un problema limitato.

FIRSTonline – Ma qui la colpa è della deregolamentazione e della vigilanza accomodante…

NARDOZZI – Hanno certo contato molto. Ma, nella continua rincorsa tra regolatori e regolati vanno anche, e credo soprattutto, considerati gli incentivi alla trasgressione o all’aggiramento delle regole che vengono dal contesto. Questi incentivi sono forti quando i tassi di interesse sono molto bassi e grande è la liquidità disponibile. Queste cose le determina la politica monetaria che ha finito per produrre, nel caso specifico, anche una bolla creditizia. Con l’enorme liquidità a basso costo poi immessa per arrestare la crisi è ripartita, appena possibile, la caccia ai rendimenti da parte di tante grosse banche che hanno di nuovo preso elevati rischi, anche se in questo caso i banchieri centrali non potevano fare altrimenti vista la gravità della situazione.

FIRSTonline – Tuttavia, a cinque anni dall’inizio di quella crisi, la politica monetaria americana continua a essere molto espansiva, adottando anche strumenti non convenzionali. A Jackson Hole, Ben Bernanke ha detto che la politica della Fed sarà ulteriormente allentata se necessario, con misure ancora più “non convenzionali” per rafforzare la crescita dell’economia.

NARDOZZI – Questa è una bella conferma di quanto dicevo a proposito del deficit di Politica. Dopo un’esperienza così traumatica come quella della terribile crisi finanziaria partita dagli Stati Uniti, era proprio la Politica di quel Paese a dover prendere in mano il pallino per assicurare una nuova epoca di crescita senza instabilità finanziaria. Invece si è ritornati a forzare l’economia con la moneta; come nell’epoca pre-crisi ci si affida alla Fed che addirittura adesso batte vie finora ignote nella politica monetaria, con possibili costi che peraltro lo stesso Bernanke ha elencato. Certo, al momento, con la debolezza della ripresa dell’economia americana, il rallentamento di quella mondiale e i rischi che vengono dall’eurozona, sembra non vi siano alternative. Ma rimane il fatto che l’attivismo monetario ha per sua natura lo sguardo corto e i risultati li abbiamo già visti. Nelle conclusioni della nostra analisi della crisi sosteniamo la necessità di “stabilizzare” la politica monetaria muovendo i tassi di interesse attorno alle tendenze di più lungo periodo del rendimento del capitale, come alla fine dell’800 proponeva Wicksell. E sono queste le tendenze di cui dovrebbe occuparsi la Politica, che è la sola in grado di plasmarle attraverso l’opera di persuasione degli elettori che le spetta, condizionando stabilmente quelle aspettative nell’economia e nella finanza con le quali le banche centrali debbono continuamente confrontarsi.

FIRSTonline – E come vedi la situazione europea? Anche qui politica monetaria dalla vista corta? Mi sembra invece che Mario Draghi stia lavorando bene con l’ obiettivo dichiarato della sopravvivenza dell’euro, che non è proprio di breve termine.

NARDOZZI – Si, è vero, Mario Draghi sta operando egregiamente anche perché riesce a esercitare una supplenza senza farla parere tale mostrando la coerenza degli interventi della Bce con il suo statuto. Ma sempre di supplenza si tratta, esercitata con i limiti propri della politica monetaria. La crisi dalla quale Draghi cerca di far uscire l’euro è una dimostrazione plateale di deficit di Politica scaricato sulla banca centrale. Mi sembra davvero un bel risultato di conduzione politica essere riusciti a portare in recessione un’area dell’importanza di quella dell’euro, a mettere in discussione la sopravvivenza non solo della moneta unica ma anche della stessa UE e creare uno sconquasso finanziario a seguito dei problemi, seppur gravi, della piccola Grecia!

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