Condividi

Garzarelli: “Occhio all’inflazione ma per ora non c’è allarme”

INTERVISTA A FRANCESCO GARZARELLI, finanziere ex Goldman Sachs e ora in Eisler Capital – “Molti fattori che spingono su l’inflazione potrebbero rientrare. Bisogna tener d’occhio soprattutto la crescita salariale e i prezzi degli affitti e dei servizi. Una politica monetaria moderatamente più restrittiva è favorevole ai mercati”

Garzarelli: “Occhio all’inflazione ma per ora non c’è allarme”

Fino a qualche mese fa si considerava un fenomeno transitorio, adesso a tutte le latitudini del mondo le certezze sull’inflazione non sembrano più così granitiche. Nell’Eurozona siamo ad un 4,1% annuo, contro il 3,4% registrato a settembre. Da Londra, il finanziere Francesco Garzarelli è stato uno tra i primi ad inizio anno a prevedere un rialzo delle aspettative di inflazione. Una vita in Goldman Sachs, partner responsabile per la ricerca globale sui mercati finanziari, e co-head della ricerca macro in Europa, dal 2019 lavora in Eisler Capital, un hedge fund “largo” 5bn di dollari, dove dirige la ricerca macroeconomica. In Goldman pubblicava molti dei più famosi “Top Trades” raccomandati annualmente dalla banca. La svalutazione della dracma nel 1998, le attese di un’enorme crescita del comparto obbligazionario in Cina, passando poi per la crisi americana ed il primo QE, ma anche la crisi sovrana in Europa del 2012-13 e le raccomandazioni di comprare i Paesi periferici nel dicembre 2014, sono alcune tra le sue ricerche più rappresentative, quelle che per intenderci finiscono sopra le scrivanie dei regolatori e dei banchieri centrali. «Alcuni fattori che hanno spinto in alto l’inflazione – analizza Garzarelli – sono in realtà più strutturali. Penso al sottoinvestimento negli ultimi anni nell’estrazione di materie prime o alla conversione di interi comparti industriali in ottica di adeguamento alle politiche verdi. Poi c’è un po’ meno globalizzazione e un po’ più protezione dei lavoratori in alcuni settori del terziario. Infine, a partire dal 2016-18, la politica fiscale si è fatta progressivamente più espansiva. Non dimentichiamoci poi che negli anni successivi alla crisi del 2008 abbiamo invece vissuto un doloroso periodo di strette fiscali e creditizie».

Se si tratta invece di un fenomeno transitorio, quali sono gli indicatori a sostegno di questa visione?

«Negli Stati Uniti, dove l’inflazione viaggia considerevolmente al di sopra del target della Fed, i trasferimenti fiscali alle famiglie in risposta al Covid sono stati molto generosi, e gli effetti sulla ricchezza notevoli (rialzo del valore degli immobili e delle attività finanziarie). I consumi, specialmente quelli dei beni, crescono ancora oggi ben al di sopra del trend precedente al 2020. Nel breve, un’enorme domanda si confronta con un’offerta resa più rigida dai vari sconquassi causati dalla pandemia: scarsità di componenti chiave, fabbriche chiuse per motivi di salute pubblica, porti congestionati. In alcuni servizi, invece, ci sono ancora molte restrizioni in vigore, spesso non si trova personale, e questo spinge in alto salari e prezzi. Molti di questi squilibri tra domanda ed offerta sono a mio avviso destinati a riassorbirsi».

Se ha funzionato così bene questa sorta di helicopter money sull’inflazione, c’è da chiedersi perché le banche centrali non lo abbiano utilizzato negli anni scorsi.

«Dare soldi direttamente a famiglie ed imprese, e finanziare i trasferimenti stampando moneta era stato proposto, ma per superare le ostilità politiche c’è voluta un’emergenza sanitaria globale. Le banche centrali vogliono uscire dalle politiche di QE, temono che i loro bilanci siano troppo grossi. Per questo ritengo probabile un maggiore attivismo fiscale a sostegno della domanda e della redistribuzione del reddito di quanto si è visto nell’ultimo decennio».

Se dovesse fare una previsione sulla persistenza dell’inflazione?

«Più che di vera inflazione, al momento mi sembra si possa ancora parlare di un problema di grossi spostamenti nel livello dei prezzi relativi, specialmente in Europa. Probabilmente nell’arco di uno-due anni molti di questi effetti saranno rientrati. Un esempio per tutti: negli Stati Uniti i prezzi di un autonoleggio è più alto del 50% rispetto a febbraio 2020».

Cosa potrebbe far incardinare un quadro di inflazione transitoria in un consolidamento generale dei prezzi?

«Bisogna guardare soprattutto la crescita salariale e l’andamento dei prezzi degli affitti e dei servizi. C’è il rischio, specialmente negli Stati Uniti, che si passi da uno shock negativo di offerta (le chiusure dettate dal Covid) and uno shock positivo di domanda (troppo stimolo fiscale e monetario). Questo sarebbe più decisamente inflattivo».

Le piace l’atteggiamento comunicativo di Fed e Bce? Parlano troppo, troppo poco?

«Era in corso, sia alla Fed che in BCE, già prima della pandemia una revisione delle strategie delle politiche monetarie. Entrambe le istituzioni hanno deciso di dare meno enfasi nella condotta di policy ai modelli predittivi dell’inflazione – che l’avevano ripetutamente sovrastimata – ed invece pesare di più inflazione realizzata. È qui il paradosso: adesso che quest’ultima è sopra il target, i banchieri centrali si appellano agli stessi modelli per convincere il mercato che è destinata a scendere. Questo è possibile, ma mi sembra un messaggio difficile da far passare. Si naviga inevitabilmente più a vista».

I mercati cosa vorrebbero sentire?

«Difficile dirlo. Ritengo che una politica monetaria moderatamente più restrittiva sia favorevole ai mercati. Per questo motivo qualche sussulto potrà esserci. Vedremo comunque una riduzione più rapida degli acquisti netti di titoli pubblici da parte delle banche centrali, sia in America che in Europa».

Gli storici dell’economia fanno un’interessante analogia tra l’attualità e la Grande Depressione (1920-1921). Debito post conflitto mondiale (piani di ripresa post pandemica), un simile momento inflattivo e poi la deflazione. Uno scenario che inquieta.

«È una possibilità. L’inflazione persiste, le banche centrali frenano bruscamente, le borse crollano. Ma non lo metto come scenario centrale, perchè le autorità monetarie sono già allerta. E se le cose dovessero mettersi male penso che entrerebbero nuovamente in campo le politiche fiscali».

Da Evergrande alla demografia, passando per la latente crisi immobiliare. Se si ferma la Cina, il rischio deflazione sarebbe più concreto?

«L’impulso della Cina all’economia globale è in decelerazione da tempo e progressivamente affiorano molte vulnerabilità finanziarie accumulatesi negli anni di forte crescita. L’enfasi di politica economica si è spostata ora sulla qualità dell’espansione economica più che sulla sua velocità. Questo comporta una rotazione settoriale con ricadute sulla composizione delle loro importazioni, penso, ad esempio, ai metalli».

Come scriveva qualche giorno fa Ferruccio de Bortoli, l’inflazione mette anche i piccoli risparmiatori nelle condizioni di doversi interrogare su come difendere il proprio patrimonio.

«L’inflazione è sempre difficile da gestire. Quest’anno ha premiato molto posizionarsi sull’azionario, soprattutto in alcuni settori. Al momento la volatilità prezzata è relativamente bassa, un’inflazione considerata dagli operatori come più persistente la farebbe senz’altro salire».

Commenta