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Fotografia e Industria, a Bologna la biennale indaga le frontiere della Tecnosfera

Fondazione Mast propone undici mostre per 11 luoghi fino al 24 novembre. Isabella Seragnoli: “Riflettere su ciò che è accaduto e sta accadendo nel mondo è una nostra responsabilità”.

Fotografia e Industria, a Bologna la biennale indaga le frontiere della Tecnosfera

Non basta più l’Antropocene per interpretare i cambiamenti del mondo prodotti dall’uomo. Ora la riflessione di Fondazione Mast di Bologna si spinge fino alla Tecnosfera, ossia l’insieme di tutte le strutture che gli esseri umani hanno costruito per garantirsi la sopravvivenza sulla Terra. Argomento immenso, al contempo filosofico, scientifico, economico, etico, architettonico, che è il cuore della quarta edizione di Foto/Industria, biennale dedicata alla fotografia dell’industria e lavoro, rassegna unica nel panorama mondiale per la specificità del tema. Affidata alla nuova direzione artistica di Francesco Zanot (milanese, classe 1979), “Tecnosfera: l’uomo e il costruire” si sviluppa in 11 mostre fino al 24 novembre: 10 sono allestite in spazi storici del centro di Bologna, mentre “Anthropocene”, curata da Urs Stahel, si può vedere al Mast (Manifattura di Arti, Sperimentazione e Tecnologia) fino al 5 gennaio 2020. 

Un viaggio alla scoperta di Bologna e dei palazzi che ospitano le 450 fotografie esposte, le 16 proiezioni video e un film. “Una vera e propria investigazione fatta a campionatura sul tema del costruire e del cambiamento attraverso lo sguardo di fotografi che vengono da ogni parte del mondo, siano essi già affermati o emergenti – spiega Zanot – La vastità dell’intervento dell’uomo sull’ambiente è resa evidente dalla diversità dei soggetti e dei luoghi rappresentati nelle immagini degli autori.  Macchina fondamentale per fabbricare l’immaginario degli ultimi due secoli e aggiornarlo costantemente, la fotografia è allo stesso tempo un indispensabile strumento di ricerca e un prodotto dell’inestinguibile bisogno dell’uomo di cambiare il mondo”.  

A fianco di nomi consacrati della fotografia internazionale come Albert Renger-Patzsch e André Kertész, ci sono gli italiani Luigi Ghirri e Lisetta Carmi. E ancora grandi artisti come Armin Linke e David Claerbout accanto a più giovani come Matthieu Gafsou, Stephanie Syjuco, Yosuke Bandai e Délio Jasse, che utilizzano le tecnologie digitali più innovative per la loro ricerca artistica. 

Le trasformazioni della Ruhr che, da ambiente rurale, diventa negli anni Venti del secolo scorso centro della siderurgia tedesca sono al centro dei 70 scatti di Renger-Patzsch provenienti da Monaco e ora in Pinacoteca Nazionale. Di André Kertész, a Casa Saraceni, si vedono le foto inedite del 1944, frutto dei suoi unici lavori commissionati su prodotti industriali, che immortalano i pneumatici Firestone in Ohio. Sempre su commissione sono gli scatti mai visti di Luigi Ghirri nella mostra “Prospettive Industriali” nei sotterranei di Palazzo Bentivoglio: attraverso la sua lente, le opere per Marazzi, Ferrari, Bulgari e Costa Crociere vestono la poetica del fotografo reggiano.  

Accomunati da una riflessione sugli aspetti più politici sono i lavori della ultra novantenne Lisetta Carmi sul porto di Genova (Oratorio di Santa Maria della Vita), di Armin Linke alla Biblioteca Universitaria e di Délio Jasse alla Fondazione del Monte di Bologna e Ravenna. Se la prima ha uno sguardo militante sulle condizioni dei lavoratori del porto alla metà degli anni Sessanta, Linke indaga in “Prospecting Ocean” lo sfruttamento dei fondali marini dopo una ricerca fra il 2016 e il 2018 nei più importanti laboratori di scienze marine al mondo. Jasse, invece, racconta la storia di Luanda, capitale dell’Angola, tra le metropoli africane con il più sfrenato tasso di crescita (si calcola che nel 2030 l’abiteranno oltre 15 milioni di persone a fronte dei 5 milioni di oggi), dove a costruire sono soprattutto imprese cinesi e internazionali. 

Il belga David Claerbout a Palazzo Zambeccari e Yosuke Bandai al Museo Internazionale della Musica guardano ai resti della febbre del costruire. Claerbout studia una delle più grandi imprese architettoniche dell’epoca, l’Olympiastadion di Berlino, simulandone la dissoluzione e il decadimento nell’arco di mille anni. Bandai lavora invece con i rifiuti, elemento connaturato alla tecnosfera. 

Guardano al futuro i lavori di Matthieu Gafsou e di Stephanie Syjuco. A Palazzo Pepoli Campogrande il giovane svizzero propone un documentario fotografico sul movimento culturale del transumanesimo, secondo cui la tecnologia dovrebbe essere sfruttata al massimo per aumentare le performance fisiche e intellettive. In “Spectral City” al Mambo, la filippina Syjuco ripercorre con Google Earth, a San Francisco, l’itinerario del cable car filmato dai Miles Brothers nel 1906, mostrando una città completamente ri-costruita dall’uomo e dagli algoritmi alla base del software.  

“Con Foto/Industria – chiude la presidente Isabella Seràgnoli – la Fondazione Mast vuole di nuovo riflettere su ciò che è accaduto e sta accadendo nel mondo: è una nostra responsabilità. Acquisire consapevolezza significa già mettere un piede nel futuro”. 

Tutte le mostre sono a ingresso gratuito. Info sul sito di fotoindustria.  

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