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Forniture gas più sicure con un tetto all’import dalla Russia

La proposta di Alessandro Ortis con il pool di esperti (De Paoli, Fanelli, Silvestrini, Testa) incaricati dall’Enea di suggerire interventi alle istituzioni politiche – Nel 2013 le forniture italiane si sono sbilanciate su Gazprom, in calo l’Algeria – Per migliorare la sicurezza è necessario una maggiore diversificazione per aree oltre che per fonti

Forniture gas più sicure con un tetto all’import dalla Russia

La crisi russo-ucraina di fine inverno-inizio primavera 2014 ha portato alla ribalta ancora una volta la questione della sicurezza delle forniture di gas. Detto che il rischio di dover razionare le forniture ai consumatori italiani non si è posto perché la crisi è scoppiata verso la fine di un inverno molto mite e gli stoccaggi di gas erano ancora a un buon livello, la crisi che si è verificata impone comunque qualche riflessione. 

Indubbiamente il livello appropriato a cui il tema deve essere posto è quello comunitario: la sicurezza delle forniture energetiche può infatti essere affrontata adeguatamente solo se alle logiche, spesso opportunistiche, dei singoli stati si sostituisce un approccio che vede l’Europa fare “massa critica” al fine di sciogliere in una visione organica e complessiva una partita dalle valenze economiche e geopolitiche estremamente rilevanti e complesse. Proprio per questo, ed in attesa che maturino –si spera nel breve periodo- le condizioni necessarie a questo “salto di qualità”, può essere utile ragionare su alcune regole e modalità che consentano di avviare il nostro Paese verso la giusta direzione.

In questo senso, può essere utile partire dalle regole che l’Unione Europea si è sin qui data per garantire la continuità di fornitura di gas. Come è noto, il Regolamento n. 994/2010 dell’UE punta su due strumenti: la capacità delle infrastrutture e le norme in materia di approvvigionamento. Per quanto riguarda le infrastrutture, il Regolamento impone che entro il 3 dicembre 2014 venga rispettata la regola “N-1”, cioè bisogna essere in grado di soddisfare la domanda totale di gas “durante una giornata di domanda particolarmente elevata” anche se viene a interrompersi il flusso di gas dalla maggiore infrastruttura. Un corollario a questa norma è l’obbligo fatto ai gestori delle reti di trasporto di rendere possibile entro il 3 dicembre 2013 il flusso bidirezionale sulle reti transfrontaliere interne (in modo da facilitare anche la mutua assistenza). Per quanto riguarda l’approvvigionamento, le imprese di gas sono obbligate a garantire ai clienti protetti l’approvvigionamento anche nei seguenti tre casi: a) per un periodo di sette giorni in caso di freddo estremo; b) per almeno trenta giorni di domanda molto elevata; c) per un periodo di trenta giorni nel caso di interruzione della principale infrastruttura.Le questioni sollevate da queste disposizioni sono almeno due.

In primo luogo, in base al Regolamento, la garanzia dell’approvvigionamento riguarda solo i “clienti protetti” che sono “gli utenti domestici collegati ad una rete di distribuzione” ai quali gli Stati Membri possono aggiungere le piccole e medie imprese e i soggetti che erogano servizi essenziali (per non più del 20% dei consumi totali). In Italia sono stati definiti protetti i “clienti vulnerabili” ossia tutti i clienti civili inclusi quelli che svolgono attività di servizio pubblico e/o di assistenza e i clienti non civili con consumi inferiori ai 50.000 metri cubi annui. Il consumo di questi clienti non supera la metà dei consumi totali dell’Italia, quindi solo una parte dei consumi è “protetta”. Ma ciò che più preoccupa è che in Italia una quota sostanziale del gas (ca 1/3) è usata dal settore elettrico dove i cicli combinati a gas la fanno da padrone e l’eventuale scelta tra “rimanere al freddo o rimanere al buio” non è nemmeno immaginabile.
In secondo luogo, la priorità per garantire la sicurezza delle forniture sembra essere affidata alla presenza delle infrastrutture perché si suppone che la mancanza di gas non possa che essere temporanea. Questa preferenza è coerente con l’impostazione della Commissione che crede fortemente nelle virtù del mercato per abbassare i prezzi e risolvere il problema dell’approvvigionamento. Non si spiega altrimenti l’avversione e la critica ai contratti a lungo termine visti come limitatori della concorrenza. Il problema è che non bastano le infrastrutture per riempire i tubi o i rigassificatori di gas in caso di crisi. Un conto è un guasto a una conduttura che può essere riparato in un arco di tempo circoscritto, un conto è una interruzione per una crisi di durata indeterminata. Alle condizioni odierne e del prossimo futuro è abbastanza illusorio pensare che il GNL spot possa sostituire in maniera duratura un’eventuale mancanza di forniture di una grande conduttura, ad esempio come quella che attraversa l’Ucraina e arriva in Slovacchia. E anche avere una pipeline parzialmente vuota non garantisce che chi sta dall’altra parte del tubo possa e voglia riempirlo rapidamente.

In sintesi si tratta di non dimenticare i buoni vecchi principi che suggerivano che per aumentare la sicurezza di fornitura bisogna diversificare le fonti energetiche e le aree di approvvigionamento. A questo punto sorge il problema: chi decide la diversificazione? Difficilmente il mercato perché il mercato punta alla soluzione meno costosa con un’ottica di breve periodo e certo non fornisce l’assicurazione se gli assicurati non sono disposti a pagarla (ipotesi tanto più realistica quanto più la sicurezza è un bene pubblico che spinge tutti a un atteggiamento di free riders). C’è quindi spazio per un’attenta riflessione per vedere se l’intervento pubblico finora immaginato è sufficiente.

Si consideri il caso dell’Italia. La situazione delle infrastrutture sembra non solo rassicurante (la capacità di import è largamente superiore al nostro consumo e se aggiungiamo alla capacità di import quella di stoccaggio e la produzione interna siamo in grado di coprire tranquillamente la punta di domanda), ma anche equilibrata. Le due principali vie di approvvigionamento si equivalgono (dalla Russia via Tarvisio e dall’Algeria via Mazzara del Vallo); gli altri due gasdotti (dalla Libia e dal Nord Europa) hanno una capacità complessiva circa equivalente a quelli dalla Russia e dall’Algeria. A tutti ciò si aggiungono i tre rigassificatori che incrementano ulteriormente la diversificazione. Se però guardiamo l’andamento delle importazioni la situazione cambia perché c’è stata una brusca virata nel 2013. Per molto tempo l’import da Russia e l’Algeria è stato equilibrato e pari a circa 1/3 del totale, ma nel 2013 l’import dall’Algeria si è dimezzato rispetto al 2010 e quello dalla Russia è cresciuto di quasi 1/3. Ciò è stato dovuto alla ricontrattazione dei contratti ToP (take-or-pay) in essere, mal visti come detto sia da Bruxelles che da Roma.

 È stato così possibile per Eni (ma anche per Enel ed Edison) ridurre fortemente l’import dall’Algeria, probabilmente facilitato anche dalle difficoltà di quel paese a mantenere il livello di esportazioni (l’export totale di gas algerino è in calo da alcuni anni). D’altro canto, invece, la contemporanea rinegoziazione dei contratti con Gazprom è stata probabilmente facilitata dal ritiro di maggiori quantità come richiesto dai russi e tale maggior ritiro ha consentito di ridurre. In ogni caso Eni ha avuto interesse ad aumentare le proprie importazioni da Gazprom per riassorbire almeno in parte le quantità minime contrattuali non ritirate nei quattro anni precedenti (il debito pregresso è sceso da 2.367 milioni di € al 31 dicembre 2012 a 1.892 milioni di € al 31 dicembre 2013).

È stata dunque la logica commerciale, tanto auspicata per ridurre i prezzi, a far sì che nel 2013 metà del gas importato in Italia provenisse dalla Russia. E nei primi due mesi del 2014 la tendenza è ancora cresciuta (57/% dell’import di gas a gennaio e febbraio è entrato da Tarvisio). È ragionevole tutto ciò? Dal punto di vista della sicurezza delle forniture non sembrerebbe. Dal punto di vista politico generale ancora di meno. Quale capacità di resistenza potremmo opporre nel caso di una crisi politica duratura nei rapporti con la Russia? Per questo forse è tempo di pensare non solo ai piani di emergenza per situazioni limitate nel tempo, ma anche a misure che possano rispondere a eventuali malaugurate crisi politiche durature. Porre un tetto alla quota di importazioni massime da un paese avrebbe un “costo assicurativo” probabilmente limitato e invece che indebolire aiuterebbe anche gli importatori sia nelle rinegoziazioni dei contratti take-or-pay in essere sia nel definire le proprie decisioni di importazioni future.Per tale ragione si suggerisce che il Governo, con segnalazione al Parlamento, specifichi meglio i limiti per le autorizzazioni all’importazione di gas già previsti dal D. lgs 164/2000.


Allegati: Importazioni-Gas-DEF (3).pdf

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