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Focus Bnl: tutti i numeri delle imprese italiane

FOCUS BNL: Come sono cambiate, nei numeri, le imprese italiane nel corso del 2010 – La flessione delle aziende industriali e delle costruzioni – Il confronto con gli altri Paesi europei.

Focus Bnl: tutti i numeri delle imprese italiane

Nel corso del 2010 il numero delle imprese attive in Italia è sceso di 11.401 unità; il dato è frutto di una forte flessione nel settore industriale (-11.063 imprese), di un calo anche maggiore nelle costruzioni (-15.584 unità) e di un forte aumento delle imprese attive nei servizi, cresciute in un anno di 15.246 unità. Nel complesso si tratta del calo annuale peggiore registrato dal 2003 (ossia da quando l’Istat mette a disposizione questi dati) dopo quello del 2009.

Il contributo positivo dei servizi è maturato quasi esclusivamente nel segmento delle imprese micro (+15.374 imprese) con un aumento marginale delle grandi, salite di 26 unità. All’aumento delle imprese nel segmento dei servizi micro ha corrisposto una crescita degli addetti aumentati di 5.772 unità non sufficienti tuttavia a compensare il calo registrato negli altri segmenti di impresa dei servizi, il cui contributo finale all’andamento dell’occupazione complessiva è risultato negativo (-12.127 addetti nell’anno), come quello dell’industria (-164.484) e delle costruzioni (-89.473). Gli addetti delle imprese produttive italiane nel complesso sono quindi scesi di 266.084 unità, pari a -1,6% rispetto al 2009 dopo il -2% dell’anno precedente

I movimenti del 2010 lasciano pressoché invariata la composizione del sistema produttivo italiano per dimensione d’impresa, le microimprese continuano a coprire unapercentuale intorno al 95% del totale, ma una fetta decisamente più ridotta degli addetti(48%). Per contro, le grandi, che in termini numerici rappresentano appena lo 0,1%delle imprese produttive italiane, danno occupazione al 19% degli addetti.

Il calo industriale concentrato nel manifatturiero
Nel comparto industriale il calo del numero delle imprese è risultato generalizzato, ma il contributo maggiore è arrivato dalle microimprese che in un anno hanno perso 7.817unità, il 2% di quelle attive l’anno precedente; pesante è risultata anche la flessionedelle imprese piccole (-2.735, pari al 3,8% di quelle in attività nel 2009), mentre tra le medie l’uscita di scena di 477 unità ha ridotto la numerosità di un ammontare pari al4,8%. Diverso il discorso per le grandi imprese, che hanno limitato il calo a 34 unità lequali tuttavia rapportate al totale rappresentano il 2,2% del segmento. Tra l emicroimprese industriali ad essere penalizzate sono state soprattutto quelle attive nel manifatturiero: tra il 2009 e il 2010 si contano 9.041 unità in meno, che nel complessohanno determinato una riduzione di 31.855 occupati.

Il calo maggiore si è registrato nel comparto della fabbricazione di prodotti in metallo: ogni 10 microimprese chiuse nel manifatturiero 4 (per un totale di 3.845 unità) operavano in questo settore 1. Come conseguenza, è risultato molto elevato anche il contributo al calo degli addetti: -11.683, pari al 37% circa di tutti quelli persi nel mondo delle microimprese manifatturiere. A scendere in modo consistente è stato anche il numero di microimprese attive nella confezione di articoli di abbigliamento (-1.913unità), nella fabbricazione di prodotti da minerali non metalliferi (-1.036) enell’alimentare (-784). Pochissimi i settori in cui si registra un aumento del numero delle micro unità produttive, tra questi la meccanica (+740 imprese, con un apporto di+2.643 addetti), la fabbricazione di autoveicoli (+127 imprese) e, sia pure in modo molto contenuto, la farmaceutica (+20) e la chimica (+7).

Nel mondo delle piccolissime imprese manifatturiere il 2010 ha portato cambiamenti importanti anche in altri indicatori; rispetto all’anno precedente è risultato in forte calo il costo del lavoro complessivo ma anche l’ammontare degli investimenti; tuttavia fatturato, valore aggiunto, e valore aggiunto per addetto (una delle più comuni misure della produttività), registrano incrementi medi sostanziali frutto però di un andamento estremamente eterogeneo tra i settori. Il valore aggiunto per addetto in particolare risulta aumentato in media di 1.700 euro, con picchi più elevati nella fabbricazione di articoli in pelle, in gomma e nella metallurgia. Per contro, si osservano flessioni consistenti nella farmaceutica e nella fabbricazione di mezzi di trasporto. Tra le imprese industriali di medie dimensioni la flessione, maturata esclusivamente nel manifatturiero, ha visto il picco nel comparto della fabbricazione di prodotti in metallo, dove sono uscite di scena 77 imprese e 7.835 addetti, in quello dei macchinari (-75 imprese e -7.246 addetti), nel tessile (-54 imprese e 4.659 addetti) e in quello della lavorazione dei metalli non metalliferi (-50 imprese e 5.876 addetti). Aumenti marginali si osservano nell’alimentare (dove peraltro il numero di addetti scende), nella carta e nella chimica. Anche tra le imprese con 50-249 addetti il 2010 ha portato un aumento della produttività (valore aggiunto per addetto), in media pari a 10mila euro; ma come nel caso delle microimprese si osserva un andamento estremamente eterogeneo tra i settori. Tra le imprese industriali grandi infine il calo (ancora una volta maturato esclusivamente nel manifatturiero, dove le unità produttive sono scese di 39 unità sulle 1.347 attive nel 2009) è stato più evidente nella fabbricazione di prodotti in metallo (-7 unità produttive),in alcuni comparti del tessile (9 imprese complessivamente), nella fabbricazione di autoveicoli ed elettronica (-5 ognuno). Nel complesso le imprese manifatturiere con oltre 250 addetti nel 2010 hanno ridotto il numero di addetti di 28.316 unità, circa l’88% di quanto hanno perso le imprese micro manifatturiere nello stesso periodo (31.855 addetti).

Tra le imprese dei servizi in aumento solo le micro

Nel corso del 2010, come si è accennato, il comparto dei servizi ha registrato un forte incremento delle imprese, che si è concentrato esclusivamente tra le microunità produttive (+15.374 unità). Più in dettaglio, il dato è frutto di un andamento estremamente differenziato anche tra le stesse microimprese. A guidare l’aumento è stato soprattutto il segmento delle “attività professionali” (+9.403 imprese, concentratein particolare tra le attività legali e contabili e la consulenza gestionale), quello dei servizi immobiliari (+7.738 microimprese), quello legato alla sanità e all’assistenza sociale (+7.165 imprese), ai servizi di alloggio e ristorazione (+3.229 imprese) e alle attività legate a lotterie, scommesse, case da gioco (+1.306 unità). Per contro, si contano 9.670 microimprese in meno nel commercio all’ingrosso e al dettaglio, 2.378 in meno nel trasporto e magazzinaggio e 1.335 in meno nei servizi di informazione e comunicazione. Nonostante l’aumento del segmento 0-9 addetti (che ha portato con sé 5.772 nuovi addetti) il comparto dei servizi ha perso 12.127 addetti, a causa della flessione in tutti gli altri segmenti di impresa, e in particolare tra quelle medie, che hanno perso in un anno 10.937 addetti. Il calo in questa fascia è risultato particolarmente pesante nel commercio, dove gli addetti sono scesi di 9.557 unità. Come nel caso del manifatturiero, nei servizi si è registrato un aumento sia del fatturato sia del valore aggiunto.

Il movimento avvenuto tra il 2009 e il 2010 ha comportato un evidente, anche se ancora lieve, riposizionamento dell’economia produttiva verso i servizi. Rispetto al 2009 il peso di questo comparto è cresciuto in termini di numero di imprese, addetti, valore aggiunto complessivo e soprattutto investimenti, che sono arrivati a rappresentare il 61,9% del totale, dal 57,4% dell’anno precedente a danno soprattutto dell’industria, il cui peso è passato dal 36,8% al 31,3%. Nelle imprese industriali gli investimenti per addetto rimangono tuttavia più elevati che nei servizi (10mila euro contro 8.100), come pure il valore aggiunto per addetto, che dai 56.900 euro in media per addetto nell’industria scende a 38.100 nei servizi. Tale divario tuttavia si chiude quasi completamente se si guarda alle sole microimprese, in questo caso ai 28.600 euro di un’impresa industriale si contrappongono 27.700 euro di una dei servizi. Il gap si amplia invece tra le grandi imprese dove la produttività industriale risulta del 50% circa superiore di quella dei servizi (90.100 euro per addetto contro 60.490). Il divario tra piccole e grandi imprese in termini di produttività anche nel 2010 rimane ampio in tutti i comparti. In media, il passaggio dalla dimensione micro alla fascia inferiore delle “piccole” (10-19 addetti) permette un guadagno di produttività del 40%; tra una piccola e una media il guadagno si riduce al 30%, analogo a quello che un’impresa media guadagnerebbe passando alla dimensione di grande.

Nel confronto con i principali partner europei mancano le grandi imprese
Il confronto tra la struttura del sistema produttivo italiano e quello degli altri paesi europei è interessante soprattutto nel comparto manifatturiero. L’elemento distintivo italiano rimane, anche nel 2010, quello del basso numero di imprese grandi. Nel nostro paese le unità produttive con oltre 250 addetti nel manifatturiero rappresentano appena lo 0,3% del totale; si tratta di un valore appena superiore a quello greco, ma inferiore, tra i principali partner europei, a quello della Francia, dove si contano 1.531 grandi imprese (lo 0,7% del totale), e soprattutto della Germania, dove le 3.953 grandi imprese manifatturiere sono praticamente il triplo di quelle presenti in Italia e rappresentano l’1,9% del totale. Anche nel Regno Unito le grandi imprese rappresentano una fetta più consistente del sistema produttivo (1,1%), come pure, tra iprincipali paesi dell’Europa dell’Est: in Polonia (0,9%) e soprattutto in Romania, dove sono presenti circa 722 grandi imprese su un totale di 48.933 (pari all’1,5%).

Per contro, le imprese italiane presenti nella fascia micro rappresentano una percentuale (82% circa) in media con quella dei principali paesi europei, inferiore adesempio al dato francese (85,5%), e in linea con quello spagnolo (82%), ma ampiamente superiore al dato tedesco che supera di poco il 62%. Tra i paesi dell’area dell’euro la Grecia vanta il primato per peso di imprese micro sul totale (95%), mentre tra quelli mèta delle delocalizzazioni produttive degli ultimi due decenni, la Repubblica Ceca guida la graduatoria con un peso delle imprese micro pari al 92,5%; minore il peso in Romania (72,2%), mentre in Polonia si arriva all’87,5%. Come conseguenza le imprese italiane manifatturiere rimangono tra le più piccole in Europa, con una dimensione media di 9 addetti, contro i 20 del Regno Unito, i 15 della Francia, gli 11 della Spagna e i 33 della Germania, paese nel quale peraltro si è osservato una notevole contrazione dai 37 addetti dell’anno precedente. Tra i paesi dell’Europa dell’est la Polonia conta circa 14 addetti per impresa manifatturiera, mentre la Romania presenta il valore più elevato dopo quello tedesco: 23 addetti.

Il divario dimensionale tra le imprese italiane e quelle francesi e tedesche si amplia soprattutto tra le grandi unità produttive; in questo segmento ogni impresa italiana conta in media 713 addetti, 191 in meno di una tedesca e 174 in meno di una francese.Tale minore peso delle imprese grandi presenta un riscontro anche in termini di valore aggiunto complessivo da esse realizzato: in Germania le imprese con oltre 250 addetti realizzano il 65,4% del valore aggiunto complessivo, in Francia il 54,7%, mentre inItalia solo il 32,3%. Anche tra i paesi dell’Europa dell’est il contributo delle grandi risulta rilevante: in Romania questo segmento di impresa copre il 58,6% del valore aggiunto manifatturiero, in Polonia il 58,1%, mentre nella Repubblica ceca il 55,7%. Come naturale conseguenza, le imprese italiane dei segmenti più piccoli coprono percentuali superiori ai partner europei, ciò è evidente soprattutto nel segmento 20-49, dove a un valore italiano del 15,8% fa riscontro uno tedesco del 5,2% e francese del 9,6%. Lo sbilanciamento delle strutture produttive di Francia e soprattutto Germania verso una dimensione d’impresa superiore a quella italiana è forse dovuto anche a maggiorie conomie di scala che il passaggio da una dimensione all’altra comporta, soprattutto nelle classi più alte. In Germania un’impresa manifatturiera che da media diventa grande guadagna il 50% di valore aggiunto per addetto, in Francia l’aumento, sempre nel manifatturiero, è pari al 36% circa, mentre in Italia non arriva al 13%.

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