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Fagioli dei Nebrodi, nuovo coloratissimo Presidio Slow Food, memoria del tempo che fu

Nove fagioli dalle forme e dai colori variegatissimi riuniti in un unico Presidio SlowFood. Non hanno buccia e sono molto digeribili. Coltivati senza alcun prodotto chimico di sintesi. Un tempo erano il pasto base dei poveri contadini.

Fagioli dei Nebrodi, nuovo coloratissimo Presidio Slow Food, memoria del tempo che fu

C’è il lumachedda, di colore marroncino chiaro con venature marrone scuro; il setticanni, dal seme nero; l’ucchittu santanciulisi e l’ucchiuttu di Santa Lucia, poi ci sono i bianchi: il buttuna di gaddu, rosato e nero e il pinuttaru, rosa con venature viola. E poi tre ecotipi chiamati crucchittu, coltivati nell’alta valle del torrente Naso: vanno dal colore rosso vinoso al viola scuro screziato di rosa.

Nove ecotipi per un nome che li racchiude tutti “Fagioli di Carrazzo dei Nebrodi” nove qualità che si caratterizzano per la quasi totale assenza di buccia, particolarità che li rende altamente digeribili, espressione più genuina della tradizione agricola dei Nebrodi.

La loro zona elettiva è infatti in provincia di Messina. Il nome Carrazzo deriva dal dialetto dei Nebrodi che significa “rampicante”, perché crescono avvinghiati a tutori fatti con le canne, con i polloni di nocciolo oppure con reti, pur mantenendo forma e colori diversi gli uni dagli altri, oltre che naturalmente un’identità ben precisa esplicitata anche dal nome. 

A dare quarti di nobiltà a questi fagioli che per generazione hanno rappresentato la base alimentare di tanti poveri contadini è venuto ora l’inserimento nell’elenco dei Presidi Slow Food.

Dei circa sessanta fagioli censiti, quelli riconosciuti Presidio Slow Food sono nove. La scelta, spiega il referente di Slow Food, è caduta «su quelli antichi, quelli cioè la cui presenza è attestata più indietro nel tempo, e su quelli dalle caratteristiche organolettiche migliori, maggiormente apprezzati dal mercato».

Secondo i racconti degli anziani, nei Nebrodi, la catena montuosa il cui nome deriva dal greco nebrós, “cerbiatto” un territorio ricco di vegetazione e di ambienti umidi che favoriscono lo sviluppo della flora e della fauna dove è praticato, in maniera poco intensiva, l’allevamento del bestiame, i fagioli vengono coltivati almeno dalla metà dell’Ottocento, in particolare in prossimità delle sorgenti, tra i 600 metri di altitudine fino ai 1200 metri. Un territorio caratterizzato da forti pendenze e, proprio per questa ragione, ben poco adatto a produzioni intensive. Più semplice, si fa per dire, seminare i fagioli negli appezzamenti di terra pianeggiante ricavati dai terrazzamenti: piccole superfici, che garantivano ai contadini una produzione appena sufficiente per il consumo familiare, magari nella ricetta più tipica e semplice di tutte, lessi e conditi con un filo di olio extravergine (a piatto, come si dice in dialetto). Ma anche cucinati con le cotiche di suino nero dei Nebrodi, soffritti con il pomodoro e in aggiunta a patate, zucchine, sedano e cipolle nel minestrone di verdure oppure anche in insalata o con la pasta.

A partire dagli anni ’60, in seguito alla crisi che interessò buona parte dell’agricoltura siciliana, la presenza degli orti sui Nebrodi subì un lento e irreversibile declino e le vecchie cultivar rimasero, spesso, solo nella memoria degli anziani. Dove le trasformazioni agrarie furono meno incisive, come sui Monti Nebrodì, si conservarono alcune varietà autoctone nei piccoli appezzamenti familiari.

Salvatore Granata, referente Slow Food del Presidio spiega come si è arrivati alla scelta dei fagioli di Carrazzo. «Tutto è nato dalla collaborazione tra il Parco dei Nebrodi e il Dipartimento di Scienze Botaniche dell’Università di Palermo, che insieme hanno dato vita alla Banca vivente del germoplasma vegetale a Ucria, un luogo destinato alla conservazione della biodiversità e della salvaguardia del patrimonio naturalistico e ambientale di varie specie vegetali, sia forestali che agricole, e l’annesso “Giardino dei Semplici”, un orto per la riproduzione dei semi». 

Negli anni, la Banca del germoplasma ha studiato la tradizionale coltivazione di fagioli nel territorio dei Nebrodi, raccogliendo e catalogando i semi di diverse varietà: alla fine, il loro numero sfiorava quota 60. «Come comunità abbiamo pensato che conservare i semi non fosse sufficiente – prosegue Granata – ma che bisognasse diffonderli, inducendo i coltivatori locali a valorizzare queste specie tornando a coltivarle». Gli obiettivi? «Fungere da barriera contro l’omologazione dei fagioli coltivati intensivamente, scongiurare la perdita di varietà e, naturalmente, anche produrre reddito».

I produttori che aderiscono al Presidio Slow Food dei fagioli di carrazzo sono otto. Il loro referente, Stefano Lembo, ha meno di 40 anni e una passione nata in un giorno di settembre del 2008: «Era il primo anno che alla Banca del germoplasma venivano piantati i fagioli e le varietà erano già 43 – ricorda -. Quel giorno mio padre, che lavorava lì, mi chiese di accompagnarlo e di aiutarlo a spostare le cassette. Arrivato lì mi trovai di fronte agli occhi un’esplosione di forme e di colori che mi lasciò senza parole: decine di varietà di fagioli tutte diverse… e io che fino ad allora pensavo soltanto ai borlotti e ai cannellini! Fu in quel momento che, inconsciamente, decisi che avrei voluto fare questo lavoro». I tempi, allora, però non erano ancora maturi: «Nel 2014, insieme alla ragazza che oggi è diventata mia moglie, ho piantato 40 varietà di fagioli nell’orto di casa. Per me era un periodo difficile perché non trovavo lavoro, e dopo qualche tempo ci siamo chiesti perché non provare a cominciare a commercializzare la nostra produzione. È cominciata così e poi, come spesso accade, da cosa nasce cosa, fino al riconoscimento come Presidio Slow Food: sono convinto che, per tanti ragazzi come me, questa produzione possa rappresentare una strada, uno sbocco anche professionale».

La semina avviene tradizionalmente nel mese di aprile alle quote più basse, in collina a giugno e nei primi giorni di luglio. La raccolta, manuale, si fa dopo circa 70 giorni. Non si usa alcun prodotto chimico di sintesi. Per far crescere le piantine, si usano tutori con le canne, con i polloni di nocciolo o con le reti. Una piccola curiosità. In alcune zone montane, come quella di Floresta, la coltivazione dei fagioli si associa spesso ad altre. Nella stessa postarella si seminano fagioli, zucca e mais, quest’ultimo come tutore.

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