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F.1 senza italiani: via Trulli

Il 18 marzo in Australia prenderà il via il primo Gran Premio stagionale senza un solo pilota italiano in pista: non succedeva dal 1969 – Oggi la Formula uno è dominata dalle multinazionali e dai Governi, tesa a sfondare sui mercati emergenti – I manager hanno un grande peso anche in campo di piloti.

F.1 senza italiani: via Trulli

Pensieri a ruota libera, all’idea di una Formula che vede Jarno Trulli appiedato dal team Caterham e che fra meno di un mese (a meno si rivoluzioni oggi del tutto imprevedibili) si schiererà al via del primo Gran Premio stagionale senza un solo pilota italiano in pista. Non accadeva dal 1969, e soltanto in quella stagione neppure un GP vide impegnato un nostro pilota: negli altri 5 campionati mondiali (1959, ’61, ’63, 67 e ’70) senza un nostro connazionale schierato su base stagionale, ovvero da pilota continuativo e quindi ufficiale, almeno in qualche gara qualcuno era riuscito a guadagnarsi un volante pro-tempore. Quest’anno potrebbe non accadere neppure questo.

Fa un po’ effetto. Proprio l’Italia, proprietaria di un GP in tutte le stagioni iridate dal 1950 a oggi; sede di quella Monza dove si corre dal 1922, e quasi sempre alla massima velocità media per una gara di campionato… Sì: proprio l’Italia. E non a caso.

Mai come oggi, la Formula 1 è stata dominata dal fattore denaro. Trulli cede il volante della Caterham (ex-Lotus: e già questo aiuta a capire quanto bisogno di valuta fresca ci sia da quelle parti…) a favore di Vitaly Petrov non certo in ordine a considerazioni, valutazioni, confronti sportivi o prestazionali. Il russo l’ha spuntata grazie ai 12 milioni di euro di dote finanziaria che si porta dietro. E in questo momento, l’ambiente economico di quel Paese -per quanto discusso per certe sue dinamiche valutarie e fiscali- è più propenso a investire forti somme di denaro in uno show globale e multimediale qual è il Circus.

Ecco quindi che il pianto sulle doti e la storia di Trulli, sulla magìa e sul mito dei tanti piloti di casa nostra che hanno scritto pagine e pagine di F.1, tende un po’ a svaporare. Jarno era un giovane fenomeno nelle formule minori; si è fatto strada vincendo all’estero, in gare e campionati difficili; è approdato ai Gran Premio in punta di piedi, con la mai troppo benedetta Minardi, e già dopo poche gare era alla Prost (ex-Ligier) dove quasi subito andò vicinissimo alla vittoria in un GP d’Austria ceduto esclusivamente per colpa del cedimento del motore. Di lui ricordiamo una quindicina di stagioni piene, oltre 250 GP disputati, alcuni acuti fra pole position e piazzamenti a podio, una sola vittoria, la più magica: Montecarlo 2004 con la Renault.

Renault, appunto. Ovvero Flavio Briatore come suo timoniere. E qui apriamo la pagina a nostro parere più importante in questa Trulli-saga, da leggere anche sotto un’altra luce. Al manager di Cuneo, infatti, Trulli deve moltissimo. Così come altrettanto deve a Giancarlo Minardi: titolare di un team spesso messo insieme con materiali e mezzi non all’altezza dei top team; ma grandissimo scopritore e valorizzatore, di giovani piloti. Superata di slancio la parentesi Renault, quindi Briatore, Trulli andò alla Toyota, ipnotizzato (anche) dalle massicce dosi di denaro investite nei GP dal grande costruttore giapponese, senza peraltro mai raggiungere una decente maturazione dell’investimento e abbandonando l’avventura con le penne più che bagnate. Briatore, invece, continuò regalando alla Renault 2 titoli iridati, quando la Casa francese punta all’obiettivo, con alterno impegno, fin dai tardi Anni ’70; e vi era riuscita soltanto come motorista della inglese Williams, negli Anni ’90. E per inciso, sempre in quelle due stagioni 2005 e 2006, il rullo compressore Renault-Briatore portò a casa anche i 2 titoli iridati di Fernando Alonso: pilota immenso, indiscutibile, forse il più completo della F.1 di oggi. Però anche lui, da quando fuori dall’orbita Briatore, sempre molto vicino al massimo trionfo; ma mai riuscito a concretizzarlo. Sarà un caso…

Tutto questo racconto per sottolineare che anche nella F.1 di oggi, dominata dalle multinazionali e quasi dai Governi, tutta tesa a sfondare sui mercati emergenti soprattutto verso l’Est del mondo, i manager hanno un grande peso nel progetto, anche in campo piloti. Via i Briatore (non da santificare: anche lui ha le sue colpe), via i Minardi, i piloti italiani si trovano oggi senza un paracadute, una rete di protezione. La Csai -commissione sportiva automobilistica italiana- sta facendo qualcosa, e insieme alla Ferrari. Ma siamo agli inizi del lavoro: ci vorranno anni. E intanto, proprio mentre vengono espulsi i Trulli, la Formula 1 macina-dollari dà il benvenuto a piloti di qualsiasi altra nazionalità. Magari di doti personali modeste, ma supportati da apparati potenti in campo, più che sportivo, commerciale, di marketing, quando non addirittura di alta finanza.

E del resto, la crisi c’è anche nei Gran Premi. Dove a parte Ferrari e McLaren, Red Bull e Mercedes, tutti gli altri team sono in pista su situazioni economiche traballanti. I loro piloti non sono pagati, bensì paganti. Se ne arriva uno dall’Azerbaijan, che forse non possiede circuiti ma magari sa come riempire le valigie di valuta, che sia il benvenuto.

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