L’Italia conferma il suo ruolo da protagonista sui mercati internazionali con 120.876 aziende che esportano regolarmente. Ma attenzione: dietro questo numero c’è un vero “esercito” di aziende — circa 17mila — che hanno tutte le carte in regola per vendere oltreconfine, ma che ancora non lo fanno o lo fanno solo di tanto in tanto.
È quanto emerge dal Rapporto di Unioncamere sulle imprese potenziali esportatrici, elaborato dal Centro Studi Tagliacarne, basato sugli ultimi dati ufficiali. Secondo l’analisi, sostenere queste realtà potrebbe portare a un aumento del fatturato export compreso tra il 2,6% e il 3%, dando così un significativo impulso all’economia italiana.
Tripoli: “Barriere Ue equivalgono a dazi fino al 110%”
Il segretario generale di Unioncamere, Giuseppe Tripoli, sottolinea l’importanza dell’export per la crescita del Pil italiano. “In 5 anni, l’export di beni delle nostre imprese è cresciuto del 30%, raggiungendo i 623,5 miliardi di euro. E a questo risultato vanno aggiunti anche gli oltre 141 miliardi di euro connessi alla vendita di servizi”. Tripoli evidenzia inoltre che il 54,5% delle esportazioni di beni avviene all’interno dell’Unione Europea, ma le barriere interne al mercato unico rappresentano ancora un costo rilevante: “Come ha evidenziato Mario Draghi, le barriere interne al mercato unico a livello europeo equivalgono a un dazio che incide per circa il 40% sullo scambio di beni e addirittura per circa il 110% sullo scambio di servizi. Una maggiore integrazione europea è dunque fondamentale”.
Chi sono le imprese potenziali esportatrici?
Tra le 17mila imprese che potrebbero ampliarsi nel mercato internazionale si distinguono due categorie:
- Aspiranti (5.601 aziende): si tratta per lo più di microimprese che oggi non esportano, ma hanno tutte le condizioni per farlo rapidamente.
- Emergenti (11.427 aziende): aziende che esportano solo occasionalmente, ma con potenzialità per consolidare la loro presenza sui mercati esteri.
Le imprese emergenti e il mercato Usa
Solo 1.600 aziende emergenti esportano verso gli Stati Uniti, mercato molto importante ma anche più esposto a dazi e rischi. Per due imprese emergenti su tre gli Usa rappresentano l’unico mercato oltre confine. Nel complesso, queste imprese realizzano negli Stati Uniti il 15,7% delle loro esportazioni, pari a 87,4 milioni di euro, superiore al 10,8% registrato dal totale delle esportatrici italiane.
La geografia delle potenzialità
La Lombardia è la regione con il maggior numero di imprese potenziali esportatrici: 4.259 (il 25% del totale). Seguono Veneto (1.933, 11,4%) ed Emilia-Romagna (1.501, 8,8%). A livello provinciale Milano guida con 1.412 imprese potenziali esportatrici (8,3%), seguita da Roma (731, 4,3%) e Torino (720, 4,2%).
Nel complesso, il 59,7% delle imprese potenziali si concentra nel Nord Italia, con 10.173 unità (55,1% delle aspiranti e 62% delle emergenti). Il Mezzogiorno rappresenta il 21,0% (3.579 imprese) mentre il Centro il 19,2% (3.276 aziende).
Dimensioni e settori
La maggioranza delle imprese aspiranti (97,5%) è composta da microimprese con meno di 10 addetti. Solo una minima parte è rappresentata da piccole (2,4%) e medio-grandi aziende (0,1%). Nelle imprese emergenti, invece, le aziende più grandi raggiungono il 3,6%.
Per quanto riguarda i settori, quasi la metà (46,8%) delle imprese aspiranti opera nel manifatturiero, principalmente nei comparti della fabbricazione di prodotti in metallo (esclusi macchinari), industrie alimentari e settore legno e sughero. Tra le emergenti il manifatturiero è meno concentrato (40%), con una quota maggiore dedicata alla riparazione e manutenzione di macchine e apparecchiature.