Condividi

Etiopia e Tigray, perchè le frontiere restano chiuse?

Il governo del premier etiope Abyi Ahmed, premio Nobel per la pace, sembra aver domato la rivolta nel Tigray ma le frontiere restano chiuse: perchè? Ecco cosa risponde l’ambasciatrice etiope in Italia, Zenebu Tadesse

Etiopia e Tigray, perchè le frontiere restano chiuse?

Come è finita in Etiopia? E in verità è veramente finita? Stiamo parlando di quella che il governo del giovane premier Abyi Ahmed, premio Nobel per la Pace, ha chiamato “operazione di polizia” e che tutto il mondo invece si ostina a ritenere una guerra civile strisciante. Si tratta della ribellione della regione del Nord del Paese, il Tigray, scoppiata il 4 novembre scorso  e condotta dal partito che prima di Ahmed ha governato il Paese per oltre 30 anni, il Tplf, Fronte popolare di liberazione del Tigray. La reazione del governo ai rivoltosi è stata durissima: i confini con il mondo esterno sono stati chiusi, nessuno è potuto più entrare o uscire dal Paese, è stata bloccata ogni forma di comunicazione, compresa Internet. 

Mentre l’esercito entrava nelle città principali, Adua (sì, quella della nostra sconfitta cocente al tempo in cui giocavamo a fare i colonialisti, 1896) e Axum (sì, quella della stele che i fascisti portarono in Italia e che nel 2005, dopo varie vicissitudini, abbiamo restituito all’Etiopia). E infine, un mese fa, i federali di Ahmed  conquistavano Makallè, la capitale della regione, mettendo in fuga i capi della ribellione che si sono rifugiati sulle montagne. Ora su quei generali  è stata messa una taglia di 10 milioni di birr, pari a 260mila dollari. Mentre si contano i morti e i profughi. Secondo l’Onu almeno 50 mila sono le persone scappate  in Sudan, il paese confinante a occidente dell’Etiopia, forse 100mila.

Per l’ambasciatrice etiope in Italia, Zenebu Tadesse, invece non ci sono dubbi, è tutto finito: il Tigray è tornato sotto il controllo del governo federale e ora si tratta solo di ricostruire la regione dalle macerie. Dice senza esitare nel colloquio con Firstonline che “il Tplf è sconfitto e disperso”; che “i membri della fazione corrotti e fuggiaschi non hanno un sostegno”, che non minacciano più nessuno. E quindi ora “il governo sta lavorando alla ricostruzione delle infrastrutture, assistendo e aiutando i nostri cittadini nella regione del Tigray a tornare alla loro normale vita pacifica”. L’ambasciatrice dice anche che è stata “istituita un’amministrazione regionale provvisoria, in carica dal 13 dicembre”.

Fu proprio il voto nazionale previsto nell’agosto scorso a causare la ribellione dei governanti tigrini. Il governo federale aveva deciso di rinviare le elezioni a causa del Covid, ma il governatore del Tigray volle farle lo stesso temendo fosse una scusa per rinviarle e basta. Da lì alla corsa alle armi il passo fu breve, sebbene sorprendesse il mondo intero venendo la decisione da un premio Nobel per la Pace. L’amministrazione appena nominata quindi, racconta Zenebu Tadesse, “sta provvedendo a riparare le linee elettriche e telefoniche e le altre infrastrutture distrutte dal gruppo del Tplf”. 

Quanto agli aiuti per la popolazione rimasta senza risorse durante le operazioni militari, “il governo ha portato 43.200 quintali di prodotti alimentari nelle città di Macallè, Shire e Alamata”. Mentre lavora a stretto contatto con l’Onu per rifornire di medicine “del valore di 1,6 milioni di Birr a sempre a Macallè”. Anche sulla questione dei profughi la risposta dell’ambasciatrice intende essere confortante, “in breve tempo” la situazione tornerà a essere normale sia perché  il governo se ne sta occupando con i propri mezzi attraverso “la Commissione nazionale etiopica per la gestione del rischio di catastrofi” sia con l’aiuto dell’Onu.

Insomma cibo, medicinali e prodotti sanitari non mancano nella regione appena schiacciata da una  guerra che nessuno si aspettava. E se c’è un dubbio che persiste sul fatto che comunque si è scelta la maniera dura, l’esercito, per riportare l’ordine in una regione del proprio Paese, Zenebu Tadesse ripete ancora una volta che è stata tutta colpa dei dirigenti tigrini. “Dopo aver assunto l’incarico il 2 aprile 2018, il primo ministro Abiy Ahmed – ricorda – un gruppo di ambasciatori di pace chiamato “Madri per la Pace”, 50 persone fra religiosi e anziani autorevoli, fu inviato nella regione per persuadere della via politica scelta e ridurre le divisioni tra il governo federale e il Fronte. Ma furono trattati con estremo disprezzo e rimandati indietro”.

Insomma per due anni “il governo federale ha mantenuto una politica di estrema pazienza per evitare qualsiasi danno al popolo del Tigray”. Poi quando “il Fronte attaccò la base delle forze di difesa nazionale etiopiche situata nella regione del Tigray” fu superata quella che l’ambasciatrice chiama la “linea rossa”, e quindi “il governo federale fu costretto a far rispettare la legge”. Una “faccenda assolutamente interna – ripete fino alla noia – ecco perché il governo non ha voluto né richiesto interventi esterni”. 

Zenebu Tadasse nega anche che ci siano ancora pericoli che i militari tigrini dispersi possano sobillare dai Paesi vicini, in primis dall’Eritrea, dove vivono altri tigrini; e dal Sudan, che soffre una difficile crisi politica e di transizione di potere e dove proprio in queste ore sono avvenuti incidenti proprio al confine con l’Etiopia. “E’ solo propaganda – dice -. Il Tplf è sconfitto e disperso, non ha alcuna capacità di ampliare il conflitto. La forza di difesa nazionale ha già posto fine alla operazione liberando migliaia di soldati della forza di difesa nazionale sequestrate, disarmando i ribelli e riprendendo tutti gli armamenti usurpati dalle milizie del Tplf”.

Insomma, in Etiopia è tornato l’ordine, i tigrini ribelli sono stati sconfitti, ora non resta che ricucire in tutti i sensi quel pezzo importante del Paese. E Abyi Ahmed, come ha sostenuto l’ambasciatrice in un’altra occasione, meriterebbe un altro Premio per la Pace per aver fatto salvato dal caos l’Etiopia. Non ci sarebbe nulla da obiettare a tale ricostruzione se fosse possibile verificarla, ma per i giornalisti il Paese è ancora off limits, servono  permessi che nessuno però  riesce a ottenere. E quando chiediamo perché le frontiere sono ancora chiuse, la risposta dell’ambasciata è disarmante: la domanda non è chiara. Quali frontiere?

Commenta