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Enrico Letta torna sulla scena e illustra la sua ricetta per rilanciare l’Europa

L’ex-premier, per la prima volta dopo la sua uscita da Palazzo Chigi quattro mesi fa, traccia il profilo dell’Ue che vorrebbe: occupazione a carico dell’Europa, Erasmus generalizzato per i sedicenni, questione energetica, stop all’austerità, investimenti per la crescita, competitività, accordo di libero scambio con gli Usa.

Enrico Letta torna sulla scena e illustra la sua ricetta per rilanciare l’Europa

“Anche se gli elettori italiani, con il voto del 25 maggio, hanno scongiurato la prospettiva (forse alimentata ad arte) che il populismo dell’anti-politica sconfiggesse le ragioni della politica, sarebbe un errore parlare di scampato pericolo. E ignorare che comunque quel voto (insieme con un tasso di astensione così elevato) costituisce pur sempre, in Italia più o meno come nel resto dei Paesi Ue,  il sintomo chiarissimo di un malessere diffuso nei confronti della politica e di un sempre più ampio rifiuto di Europa da parte dei cittadini europei”.

Enrico Letta – uscito da Palazzo Chigi con grande signorilità a metà febbraio, l’indomani di un voto della direzione nazionale del suo partito, il Pd, che lo invitava “a farsi più in là” – si è tenuto un po’ defilato per quattro mesi, due dei quali trascorsi a Parigi per tenere alla Sorbona, facoltà di Sciences politiques, un corso su “Europa, crescita e populismi”. Ma ora, in un momento di grande fibrillazione nelle capitali europee in vista del rinnovo dei vertici delle istituzioni comunitarie (per i quali qualcuno ha fatto anche il suo nome), l’ex-presidente del Consiglio illustra quella che potrebbe essere definita la sua ricetta per far ripartire il processo di integrazione europea. 

E – senza squilli di trombe, com’è suo costume – traccia il disegno dell’Europa che vorrebbe davanti a una platea di neppure cento persone (ma tutte molto attente e interessate) nella sede più adatta. Che è lo Spazio Europa, il centro convegni al centro di Roma gestito insieme dalla Rappresentanza in Italia della Commissione europea e dall’Ufficio di informazione dell’Europarlamento in Italia. Una location dove nelle prossime settimane verranno a parlare, di Europa ovviamente, il vicepresidente uscente della Commissione Antonio Tajani e il presidente del gruppo di alto livello per l’individuazione di risorse finanziarie proprie dell’Ue Mario Monti.

Nel confronto fra chi vuole “più Europa” e chi invece auspica “meno Europa”, Letta è schierato da sempre con i primi. E non avrebbe potuto essere altrimenti. Da adolescente il futuro capo del governo italiano ha studiato a Strasburgo, dove per alcuni anni ha abitato la sua famiglia. Presidente dei giovani democristiani europei dal 1991 al 1995, nel biennio 1996-1997 Letta ha retto la segreteria generale del Comitato Euro al ministero del Tesoro. Poi è diventato ministro per le Politiche comunitarie nel governo D’Alema I (1998-1999). E nel 2004 è stato eletto deputato europeo nelle liste dell’Ulivo, incarico lasciato due anni dopo, poiché chiamato da Romano Prodi per occcupare il posto di sottosegretario alla presidenza del Consiglio.

Enrico Letta, quindi, vuole “più Europa” poiché ci crede. Ma anche per il fatto che alle europee del 25 maggio almeno in Italia “l’elettorato ha espresso una chiara maggioranza per un rafforzamento dell’integrazione europea”. L’Europa, afferma ora l’ex-premier, “è diventata impopolare presso i suoi stessi cittadini”. E quindi, aggiunge, “deve recuperare popolarità, simpatia, consenso; deve poter essere considerata un’opportunità, non un ostacolo alle aspirazioni degli europei”. Ma come?

“Due sono le questioni cruciali. La prima – chiarisce – è il lavoro, la cui mancanza colpisce pesantemente almeno metà degli Stati membri. Il quadro è veramente drammatico, e la garanzia per i giovani lanciata dalla Commissione Ue (l’obbligo per i Paesi membri di offrire la possibilità di un’occupazione o di un tirocinio o un corso di perfezionamento a tutti i giovani che escono dalla scuola secondaria – n.d.r.), che oltre tutto fa fatica a passare alla fase realizzativa, non è sufficiente. Serve uno strumento più forte, gestito e finanziato direttamente dall’Ue”.

“La seconda questione cruciale è il recupero di popolarità, soprattutto fra i più giovani. E a questo proposito – spiega Letta – propongo l’estensione di Erasmus ai sedicenni, vorrei dire a tutti i ragazzi e le ragazze di questa classe di età, non soltanto ai figli di famiglie favorite dalla preesistenza di relazioni internazionali. Uno strumento per allargare l’orizzonte dei nostri ragazzi e per far entrare l’Europa, nella sua veste più accattivante e propositiva, in tutte le famiglie”.

“Certo – riconosce Letta – è chiaro che rafforzare gli strumenti per creare lavoro e per arricchire l’esperienza europea per i più giovani comporta costi rilevanti. Ma, a parte il fatto che il bilancio settennale europeo 2014-2020 prevede stanziamenti per l’occupazione, che intanto possono essere impiegati, guardo con speranza al lavoro del gruppo presieduto da Monti per l’individuazione di risorse finanziarie proprie. E dico ‘basta’ alle politiche di austerità. Del resto, lo stesso Mario Monti diceva che le opzioni di crescita si possono concretare solo se sono sostenute da investimenti europei”.

Ma in concreto, viene chiesto a Letta, è il caso di chiedere all’Europa di scorporare la spesa per gli investimenti dal calcolo relativo al patto di stabilità? Qui l’ex-premier è più cauto. “Questa è una delle strade – replica – che possono essere percorse oltre a quella dell’individuazione di risorse proprie dell’Ue e ad altre che sarebbe più che opportuno imboccare”.

Quali possono essere queste “altre strade”, Letta lo chiarisce subito. “Bisogna affrontare al più presto la questione energetica. Di fronte agli Stati Uniti che, avendo imboccato la strada dello shale gas, fra breve saranno autosufficienti sotto il profilo energetico e accresceranno ulteriormente la competitività delle aziende e delle produzioni nazionali, l’Europa non può continuare a pretendere di essere competitiva se si presenta come la somma di 28 realtà nazionali diverse”. 

“E inoltre – dice ancora Enrico Letta – l’Europa non può continuare a fare affidamento sui ‘campioni nazionali’. Le sue imprese, per affermarsi nei mercati globali, devono diventare ‘campioni europei’. Quindi è necessario uscire dalla logica del ‘non ci facciamo comprare da nessuno’ per aprirsi alle integrazioni con i Paesi terzi. E infine è indispensabile costruire una politica di commercio internazionale in grado di difendere i  prodotti europei”.

A quest’ultimo proposito, Letta sollecita una pronta conclusione dell’accordo di libero scambio con gli Stati Uniti. “Ma – precisa – difendendo ad oltranza le proprie posizioni. Poiché non è più tollerabile che, per quel che riguarda l’Italia, il food finto-italiano generi negli Usa un fatturato annuo di 24 miliardi di dollari, mentre l’export di autentici prodotti italiani di qualità arrivi a un tetto di soli 2,8 miliardi di dollari”.

Tornando all’Europa nel suo complesso, Letta lancia poi una stilettata alla politica. “Che ha la pressante necessità di impiegare in tempi rapidi strumenti realmente efficaci”, dice. “Se l’Unione bancaria si fosse conclusa in tempi brevi – si rammarica – l’Europa non avrebbe sborsato tutte quelle risorse per salvare le banche. Che sarebbero state obbligate a non scaricare queste spese sui bilanci delle famiglie”.

Infine, a chi gli chiede quale attendibilità possieda la voce che lo vuole candidato alla presidenza del Consiglio europeo, Enrico Letta replica affermando che “è altamente improbasbile che un altro italiano, oltre a Mario Draghi, possa occupare il vertice di un’istituzione europea. E, quanto alla presidenza della Commissione Ue, l’ex-presidente del Consiglio sottolinea che, sì, “il Trattato di Lisbona fa riferimento al candidato indicato dal partito che ha vinto le elezioni. E quindi il posto oggettivamente dovrebbe essere attribuito a Jean-Claude Juncker, il candidato del Partito popolare europeo che ha ottenuto il maggior numero di voti”.

Però, gli viene obiettato, il premier britannico David Cameron, appoggiato dai leader di altri Paesi del Nord, ha minacciato l’uscita del Regno Unito dall’Ue se Juncker, considerato “troppo europeo”, dovesse essere eletto presidente della Commissione. “La questione è seria. Anche se Cameron in realtà si è limitato ad affermare che la nomina di Juncker potrebbe orientare negativamente il voto dei britannici al referendum del 2017 sulla permanenza nell’Unione europea – commenta Enrico Letta – l’eventuale uscita del Regno Unito sarebbe un azzoppamento grave per l’Unione europea. E inoltre non riesco a immaginare un’Ue senza Londra, una delle 3-4 capitali finanziarie del mondo”.

Come dire, insomma, che per l’ex-presidente del Consiglio italiano tutti i giochi per l’Europa sono ancora aperti. Per una presidenza forse no. Ma immaginare che gli possa essere attribuito un portafoglio “pesante” alla Commissione, anche alla luce del disegno di un’Europa più integrata e anche più friendly tracciato ieri a Spazio Europa, potrebbe anche non essere azzardato. Considerato poi che il nome di Enrico Letta potrebbe essere bene accolto anche nell’area del Ppe. Ma ancora è troppo presto per avanzare previsioni. Anche perché i commissari sono indicati dai governi. E Matteo Renzi, in questa fase, si mantiene abbottonatissimo. “Prima i programmi, poi i nomi”, si limita a dire.

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