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Energia, lo shale sfida le politiche dell’Europa: quale futuro per la crescita verde?

La rivoluzione tecnologica per l’estrazione di shale gas ed oli sta rimescolando le carte dell’energia e mettendo a nudo le difficoltà dell’industria europea a reggere la competitività di quella americana – Il crescente utilizzo di carbone in Europa rende sempre più problematica la crescita verde – Il caso estremo del carbon crunch del professor Helm

Energia, lo shale sfida le politiche dell’Europa: quale futuro per la crescita verde?

Numerose voci preoccupate si stanno sollevando in Europa per la perdita’ di competitività delle imprese del vecchio continente nei confronti di quelle americane a cause dei minori costi dell’energia garantiti oltre oceano dallo shale gas. A questo coro di voci si è recentemente unita la BDI, la lobby europea dell’industria tedesca, la quale ha appena pubblicato un report che denuncia come il più alto costo dell’energia andrà ad indebolire la competitività dell’industria europea vis-a-vis dei competitors americani. Questo è una preoccupazione molto diffusa tra le imprese tedesche, le quali comunque non pagano certo l’elettricità come le italiane. Per esempio, la stessa Volkswagen ha recentemente annunciato di aver smesso di comprare alcuni componenti delle sue vetture da fornitori domestici preferendo aziende estere e motivando la scelta con gli alti costi energetici. Una preoccupazione recentemente condivisa sul Financial Times d’altre imprese leader come la BASF e la Bayer.

La verità è che ci troviamo di fronte ad una rivoluzione tecnologica. La tecnologia di fracking per l’estrazione dello shale gas (ed il molto meno noto al grande pubblico shale oil) stanno rimescolando violentemente molte delle carte finora in tavola. Infatti, sebbene l’impatto ecologico di questa tecnologia sia oggetto di accese discussioni sia negli States che in numerosi Paesi europei (alcuni dei quali hanno anche imposto delle moratorie sulle attività di esplorazione), i suoi effetti in altri campi iniziano a diventare evidenti.

In primo luogo, come già discusso su questo giornale, il differenziale di prezzo tra il gas naturale in US ed in Europa sta portando a quella che molti definiscono una rinascita dell’industria statunitense, soprattutto della lavorazione dei metalli e petrolchimica. Un trend che sembra giustificare le preoccupazioni espresse dalla BDI e che chiede a gran voce una lungimirante politica energetica europea.

In secondo luogo, un recente rapporto dell’IEA rivela come il declino della domanda americana di carbone stia generando un aumento delle importazioni Europee di questo combustibile altamente inquinante a causa (ancora una volta) degli alti prezzi del gas e dei bassi prezzi della Co2. Questa tendenza, anche se destinata a raggiungere il suo picco nel 2017 e poi iniziare a decrescere, sottolinea tuttavia come anche le politiche ambientali europee sono poste sotto stress dalla rivoluzione dello shale gas.

Tutto questo pone grandi sfide all’Europa, alle sue politiche energetiche, ambientali ed industriali che come non mai appaiono collegate. Per esempio, la diversificazione delle fonti non è solo uno strumento per aumentare la sicurezza energetica ma anche per aumentare la competizione sul mercato e ridurre i costi per le imprese. La recente decisione finale d’investimento (FID) per il progetto South Stream, fortemente voluto da Gazprom, sicuramente è un duro colpo ai desideri di diversificazione delle forniture europee di gas attraverso i giacimenti del mar Caspio. Anche se non è detta l’ultima parola per il Nabucco, il progetto sponsorizzato dall’Unione Europa ed antagonista a South Stream, esso viene messo in forte discussione. Da questo punto di vista, al fine di evitare un’ancora maggiore diffusione del carbone in Europa, diventa fondamentale poter importare LNG americano attraverso nuovi impianti di liquefazione e la costruzione di un mercato europeo integrato del gas.

Da questo punto di vista, un’altra carta interessante può essere rappresentata dall’avveniristico progetto Desertec che mira a sfruttare il potenziale dell’energia solare del Nord Africa come fonte energetica pulita per l’Europa attraverso un elettrodotto Marocco – Spagna. Se le promesse di Desertec potranno essere mantenute, esso potrebbe diventare uno strumento importante non solo per aumentare la sicurezza energetica ma anche per ridurre l’impatto ambientale dell’industria europea. La latitanza della Spagna ad approvare il progetto durante la conferenza di Novembre ed il recente annuncio della decisione di Siemens di cedere tutti i suoi investimenti nel settore delle rinnovabili, compreso Desertec, purtroppo non promettono niente di buono per questo progetto.

Il crescente utilizzo del carbone in Europa però non è solo sintomo del suo differenziale di prezzo con le altre fonti ma anche un segno di come forse alcune delle ambizioni Europee di guidare una nuova economia verde non siano progredendo con il giusto ritmo. Risulta evidente la necessità di un ripensamento delle politiche ambientali europee anche senza dover necessariamente passare alle misure estreme suggerite dal prof D. Helm nel suo recente libro “Carbon Crunch” dove sostiene la necessità d’inserire una carbon tax su i beni prodotti ed importati, una mossa che se non concertata a livello mondiale porterebbe sicuramente a delle ritorsioni commerciali.

Insomma ambiente, energia e crescita economica appaiono sempre più interconnesse e sembra sempre più rilevante puntare ad una crescita verde, cioè ad una visione che sappia produrre politiche di sviluppo e politiche ambientali integrate.

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