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Edilizia agevolata: chi ha venduto non dovrà restituire gran parte ricavato

Una pronuncia della Cassazione del 2015 aveva suscitato l’allarme in oltre 200mila famiglie romane interessate in compravendite di abitazioni costruite con i PEEP, i piani di edilizia economica e popolare. Ora il giudice ha stabilito che per liberare gli immobili dal vincolo del prezzo massimo di cessione vanno riconosciuti all’acquirente soltanto gli oneri dell’affrancazione.

Edilizia agevolata: chi ha venduto non dovrà restituire gran parte ricavato

Con un’ordinanza del 17 aprile 2018 il Tribunale di Roma, accogliendo in pieno la linea difensiva di FGA – Studio Legale Ferraro Giove e Associati, ha respinto la domanda di un acquirente che chiedeva la restituzione di 177 mila euro quale prezzo eccedente quello massimo di cessione, limitando la condanna del venditore esclusivamente alle somme necessarie per ottenere la cosiddetta affrancazione dell’immobile, pari alla ben più contenuta somma di 10 mila euro.

La decisione, firmata dal giudice Antonio Perinelli, pone di fatto un argine alle conseguenze di un’interpretazione dai risvolti incostituzionali di una sentenza delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione del 2015, che aveva suscitato allarme in oltre 200 mila famiglie romane interessate in compravendite di abitazioni costruite con i PEEP, i piani di edilizia economica e popolare.

E’ stata inoltre confermata, come in altri casi precedenti, l’assenza di responsabilità del notaio davanti al quale era stata conclusa la vendita dell’immobile in questione. “Il Giudice – sottolinea l’avvocato Maurizio Gugliotta di FGA – ha accolto tutte le nostre eccezioni sia in tema di abuso del diritto che in punto di totale assenza di responsabilità a carico del notaio citato in giudizio”.

La sentenza ha infatti stabilito quanto segue: “I ricorrenti chiedono la restituzione del prezzo pagato in eccesso rispetto al prezzo massimo di cessione. Questa richiesta sarebbe pienamente legittima ove l’ordinamento non concedesse altri rimedi per liberare il bene e pertanto il vincolo del prezzo massimo fosse destinato a seguire il bene – quale onere reale – per tutti i trasferimenti futuri come affermato dalle Sezioni Unite (della Corte di Cassazione, ndr). In realtà così non è in quanto è riconosciuto al proprietario (ma non a colui che ha venduto) di procedere all’affrancazione del bene pagando un prezzo”. E ancora: “La scelta dei ricorrenti dell’opzione della restituzione del prezzo eccedente quello massimo in luogo dell’affrancazione, per la loro utilità, con aggravamento ingiustificato della posizione dei resistenti, deve considerarsi lesiva del principio di buona fede e costituisce pertanto un’ipotesi di abuso del diritto”.

Sotto il profilo della legittimità costituzionale, nel liquidare unicamente le somme necessarie per ottenere l’affrancazione, la sentenza ha stabilito che “questa interpretazione è l’unica che consente un’applicazione della norma conforme alla Costituzione, altrimenti determinandosi un’ingiustificata disparità di trattamento tra coloro che sono stati proprietari degli immobili sino al luglio 2011, che non hanno avuto la possibilità di affrancare l’immobile e potrebbero pertanto essere tenuti a restituire le somme versate in eccedenza, e quelli divenuti proprietari successivamente a tale data, cui invece è stata riconosciuta la possibilità di affrancare il bene e di rivenderlo senza limiti di prezzo. Tale disparità costituirebbe una palese violazione dell’art. 3 della Costituzione”.

In merito alla posizione del notaio, non è stata ravvisata alcuna mancanza di diligenza, atteso che “prima della sentenza delle Sezioni Unite del 2015 l’interpretazione maggioritaria in giurisprudenza riteneva che gli immobili dell’edilizia agevolata fossero liberamente trasferibili senza limiti di prezzo. Nello stesso senso erano anche il parere espresso dal Consiglio Nazionale del Notariato del 20.10.2011 e le indicazioni fornite dal Comune di Roma nella circolare del 2013 versata in atti dalla difesa del terzo chiamato”.

La pronuncia raccoglie e sintetizza le approfondite analisi giuridiche emerse nei recenti convegni tenutisi sull’argomento, non ultimo quello del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Roma del 27 marzo scorso, ove FGA – nella persona dell’avvocato Stefano Giove – aveva già espresso la necessità di garantire un’interpretazione “costituzionale” alla pronuncia della Cassazione del 2015.

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