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Economia, mercati, banche: che succede se vince il SI’ o il NO

Il Circolo REF Ricerche ha pubblicato la sua ultima analisi, riguardante il referendum costituzionale e i suoi effetti sia politici e istituzionali che economici e finanziari: ecco gli scenari possibili.

Economia, mercati, banche: che succede se vince il SI’ o il NO

Il 4 dicembre gli italiani saranno chiamati alle urne per approvare o bocciare la riforma costituzionale, che sta monopolizzando il dibattito politico italiano da alcuni mesi. Può essere utile analizzare gli scenari economico-politici che si verranno a creare in caso di vittoria del “Sì” o del “No”. L’esito del voto, infatti, avrà un impatto determinante sul futuro del nostro Paese e, in parte, anche su quello dell’Unione Europea.

Ad accendere i toni del dibattito sul referendum costituzionale sono state le parole di Matteo Renzi dello scorso aprile, quando il Presidente del Consiglio aveva parlato di dimissioni nell’eventualità in cui avesse vinto il “No”, per poi ritrattare pochi mesi dopo. Tuttavia, l’ipotesi delle elezioni anticipate sembra essere concreta anche in caso di vittoria del “Sì”, ed i motivi sono due: in primo luogo, Renzi potrebbe sfruttare il clima politico favorevole per andare a vincere le elezioni in primavera ed avere una solida maggioranza in Parlamento; in secondo luogo, governare per altri due anni con un Senato abrogato dal voto popolare sarebbe controproducente per lo stesso Renzi, che potrebbe portare avanti il suo programma di riforme molto più agevolmente una volta archiviato il bicameralismo paritario.

Le conseguenze a livello politico di una vittoria del “No” al referendum costituzionale sono più difficili da immaginare. Nonostante la “marcia indietro” del Presidente del Consiglio, una bocciatura della riforma costituzionale porterebbe inevitabilmente ad una caduta del Governo attuale e a nuove elezioni in primavera. In questo caso, il Movimento 5 Stelle avrebbe buone possibilità di vincere, spinto dal clima politico favorevole a dall’Italicum, che al ballottaggio farebbe convergere verso il partito di Beppe Grillo anche i voti del centrodestra e della Lega Nord. Se questo scenario dovesse concretizzarsi, un referendum sull’uscita dall’euro potrebbe essere il passo successivo, ed è stato lo stesso Juncker ad ammettere che il rischio di una sconfitta sarebbe molto elevato.

Proprio per questo motivo, da Bruxelles si attende con impazienza anche l’esito delle elezioni presidenziali in Austria, dove il candidato dell’estrema destra Hofer, in vantaggio nei sondaggi, ha fatto del referendum sull’uscita dall’UE uno dei pilastri della sua campagna elettorale. Riguardo alle conseguenze finanziarie del voto, gli scenari che si prospettano sono radicalmente opposti: in caso di vittoria del “Sì”, il clima di ottimismo sul futuro politico dell’Italia si rifletterebbe positivamente sui mercati finanziari, quindi sulla propensione al consumo e sull’attrattività dell’Italia in termini di investimenti, interni ed esteri. In caso di vittoria del “No”, gli italiani si rassegnerebbero alla più grave perdita di reddito in termini di Pil pro capite degli ultimi secoli (-11,1% dal 2007 ad oggi, solo Cipro e Grecia hanno fatto peggio nell’UE), e invece di guardare ai reali problemi del Paese si aprirebbe un dibattito sull’uscita dall’euro, con la conseguente instabilità che si verrebbe a creare sui mercati finanziari (già dal 5 dicembre).

Instabilità che si rifletterebbe anche sul nostro sistema bancario, la cui crisi, prima ignorata, è oggi sotto gli occhi di tutti. I crediti deteriorati nei bilanci dei nostri istituti di credito e la scarsa redditività sono i principali sintomi di vulnerabilità del sistema, ed una crisi bancaria avrebbe un impatto devastante su un’economia che fatica a crescere e che deve sopportare un debito pubblico superiore al 132% del Pil. Per concludere, in caso di vittoria del “Sì” l’Italia potrebbe avere finalmente una riforma costituzionale attesa da decenni, che andrebbe a toccare due temi chiave come il bicameralismo e la distribuzione delle competenze fra regioni e Stato. La maggiore stabilità politica che ne conseguirebbe (l’Italia ha avuto 63 governi negli ultimi anni 70), ci permetterebbe di ritornare a fare politica, di diagnosticare i problemi del nostro Paese e di provare concretamente a risolverli, senza ricorrere ad un sistema che ha portato ad un’eccessiva frammentazione politica e ad una spesa pubblica fuori controllo.

In caso di vittoria del “No”, oltre ad aver perso un’occasione di cambiamento difficilmente riproponibile nei prossimi anni, l’Italia si troverebbe a fronteggiare una situazione di incertezza politica ed economica molto grave, a livello nazionale e comunitario.

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