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E’ morto Giulio Andreotti, inossidabile ex premier ma anche molto controverso

Politico inossidabile e più volte Presidente del Consiglio e ministro di governi sia di centrodestra che di centrosinistra, Andreotti è stato un protagonista assoluto della Prima Repubblica ma molte ombre lo hanno investito: dal delitto Pecorelli ai controversi rapporti con esponenti della mafia fino alla non impeccabile gestione del caso Moro

E’ morto Giulio Andreotti, inossidabile ex premier ma anche molto controverso

Il senatore a vita Giulio Andreotti è morto a Roma all’età di 94 anni. I funerali si terranno domani pomeriggio nella Capitale, in forma privata. Niente esequie di Stato, né camera ardente.  

Scompare così un simbolo del potere democristiano che ha governato l’Italia per i primi 50 anni di storia repubblicana. Andreotti ha ricoperto innumerevoli incarichi pubblici: è stato sette volte presidente del Consiglio, otto volte ministro della Difesa, cinque volte ministro degli Esteri, tre volte ministro delle Partecipazioni statali, due volte ministro delle Finanze, ministro del Bilancio e ministro dell’Industria, una volta ministro del Tesoro, ministro dell’Interno (il più giovane della storia italiana), ministro dei Beni culturali e ministro delle Politiche comunitarie. Ha perfino contribuito a scrivere la Costituzione, in qualità di membro più giovane dell’assemblea costituente.

Tra le ombre che hanno oscurato la lunga carriera di Andreotti, spicca il processo per il coinvolgimento nell’omicidio del giornalista Mino Pecorelli, direttore dell’Osservatore Politico, avvenuto il 20 marzo 1979. I magistrati lo accusarono di essere il mandante del delitto. In primo grado, nel 1999, la Corte di assise di Perugia prosciolse Andreotti, ma nel 2002 la Corte d’Appello ribaltò la sentenza, condannando l’ex premier a 24 anni di carcere. L’anno seguente la Cassazione annullò il verdetto, rendendo definitiva l’assoluzione arrivata in primo grado. 

Andreotti fu presidente del Consiglio nel governo di “solidarietà nazionale” durante il rapimento di Aldo Moro (1978-1979), con l’astensione del Partito Comunista. Il ruolo di Andreotti nella gestione del sequestro Moro è molto controverso: rifiutò ogni trattativa con i terroristi e sposò la linea della fermezza, scatenando forti critiche contro di lui da parte della famiglia dello statista rapito. Nel memoriale scritto durante la prigionia, Moro critica Andreotti molto duramente.

Nel 1993 fu accusato di aver favorito la mafia tramite la mediazione del suo rappresentante in Sicilia, Salvo Lima. Il Senato concesse l’autorizzazione a procedere. Andreotti fu processato a Palermo per associazione per delinquere: il Tribunale lo assolse nel 1999, ma la sentenza d’appello emessa nel 2003 stabilì che l’ex premier aveva effettivamente “commesso” il “reato di partecipazione all’associazione per delinquere” Cosa Nostra, “concretamente ravvisabile fino alla primavera 1980”, reato però “estinto per prescrizione”. Per i fatti successivi alla primavera del 1980 Andreotti fu invece assolto.

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