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Dopo la mossa antispread della Bce di Mario Draghi c’è luce in fondo al tunnel dell’Eurozona

Il colpo d’ala di Draghi lascia sperare che l’Eurozona esca finalmente dalla crisi ma a due condizioni: che si rafforzi l’unione politica e si implementi il banking compact e, inoltre, che si torni a crescere e a creare posti di lavoro – La lezione della Fed di cent’anni fa: fornendo liquidità fece sparire gli spread tra i vari Stati americani

Dopo la mossa antispread della Bce di Mario Draghi c’è luce in fondo al tunnel dell’Eurozona

Potranno le Outright Monetary Transactions (OMT) avvicinarci alla fine dell’incubo di questa crisi che, nata in America nel 2007-08, si è rilanciata in Europa dal 2010? È presto per dirlo. Infatti, troppe sono state le passate. Ogni volta che sembrava di aver individuato il bandolo della matassa – ad esempio con la creazione del fondo salva stati (EFSF, poi ESM) – è poi accaduto qualcosa a introdurre nuovi impedimenti. Però, se non siamo vicino alla fine, certo pare di vedere una luce in fondo al tunnel. Per comprenderlo, conviene ricordare come nacque la Fed.

Il principale motivo per cui nel 1913 gli Stati Uniti istituirono il Federal Reserve System, cioè la loro Bandelusioni ca Centrale per semplicità chiamata Fed, era per dare risposta alle frequenti crisi bancarie/finanziarie che avevano a varie riprese prodotto profonde cesure nel grande balzo di quella che sarebbe divenuta la potenza economica dominante del mondo degli ultimi settanta anni. Pur dipendendo anche dall’instabilità dei flussi internazionali dei capitali, la condizione di fragilità finanziaria degli USA pre-Fed aveva anche una componente interna. Infatti, tra il centro finanziario di New York e gli altri Stati vigevano ampi spread nei tassi di interesse. Ad esempio, nel 1894 la carta commerciale a sei mesi pagava un tasso di interesse del 5,64% a San Francisco contro 3,52 a New York, cioè uno spread di oltre 200 punti base (p.b.). E non era San Francisco il luogo più svantaggiato. Nello stesso anno, i tassi di interesse sui prestiti bancari superavano quelli di San Francisco di 470 p.b. nello stato di Washington e addirittura di 640 e 650 in Arizona e Idaho. Divari così vistosi tra Stati che condividevano la stessa moneta generavano tensioni politiche e anche fragilità finanziaria. Infatti, quando vi era abbondanza di liquidità – grazie a forti afflussi di capitali dall’estero – le banche e il mercato finanziario di New York fornivano grandi quantità di fondi agli altri Stati. Ciò alimentava gli investimenti ma metteva in moto anche fenomeni speculativi, incluse le bolle immobiliari, che facevano scoppiare crisi e panico bancario allorché la liquidità diventava scarsa. Perciò compito fondamentale della Fed fu di fornire liquidità alle banche, uniformemente nel tempo e nello spazio, in modo da evitare i panici. Così facendo la Fed determinò la (virtuale) scomparsa degli spread dei tassi di interesse tra i vari stati.

In condizioni di sviluppo e di contesto del tutto diverse, l’Eurozona può compiere oggi un percorso analogo a quello che gli USA intrapresero un secolo fa. Intervenendo con le OMT, la BCE può isolare in una certa misura il livello dei tassi di interesse che vigono nei singoli stati membri dagli scostamenti derivanti dalla volatilità dei capitali, ora dovuta soprattutto alla speculazione su larga scala che domina i nostri tempi. La crisi dei debiti sovrani nei paesi euro-deboli ha prodotto spread dei tassi di interesse rilevanti – Italia e Spagna fluttuano da un anno tra i 400 e i 500 p.b. – che, essendo il fenomeno durevole, dal costo del debito pubblico si sono innervati anche in quello del credito privato generando forti effetti recessivi. Siccome l’entità di quegli spread rifletteva non solo e non tanto acuiti rischi di default sovrani quanto dipendeva anche da incertezze istituzionali sul persistere della valuta comune, la politica monetaria della BCE determinava effetti asimmetrici tra i vari paesi membri. Se non vi saranno incidenti di percorso e le OMT entreranno in funzione come previsto, gli spread italiano e iberico si dovranno avvicinare ai 200 p.b., valori ragionevolmente ascrivibili al quid in più che questi paesi pagano in termini di maggiori probabilità di default. Verrà invece neutralizzata la componente più ampia dello spread, dovuta alle incertezze istituzionali sull’euro, rendendo la stance monetaria di fatto meno restrittiva in questi paesi. E, in effetti, rispetto alla fine di agosto i mercati hanno già prodotto una riduzione dello spread di quasi 100 p.b. per l’Italia e di circa 140 per la Spagna. Dunque gli investitori paiono credere che, attraverso questo nuovo strumento, la BCE potrà rendere meno eterogeneo il costo del credito tra i vari stati membri, così come la Fed fece dall’atto della sua istituzione.

Ma le OMT da sole non bastano. Resta da fare molto altro. L’ossigeno concesso dalla BCE all’euro potrà durare solo qualche anno e questo tempo deve essere usato per rafforzare l’unione politica e implementare il banking compact. Più a breve, la caduta degli spread dovrebbe contribuire ad arrestare la spirale recessione/deflazione, a ridare fiducia a famiglie e imprese e, così, a porre le condizioni per l’avvio della ripresa economica. L’Eurozona deve tornare a crescere e a creare posti di lavoro in tutte le sue parti se non vuole rischiare di essere travolta da insopportabili tensioni politiche e sociali. Il percorso da compiere è ancora lungo e impervio, però grazie alle OMT l’Eurozona ha indubbiamente più fiato per completare la scalata.

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