Le conseguenze dell’imposizione dei dazi da parte di Trump, non solo sta innescando di timori di una recessione negli Stati Uniti, ma, come in un movimento tettonico sotterraneo, sta cambiando la fisionomia delle valute nel mondo, con il dollaro che ne fa le spese, progressivamente riducendo il suo ruolo di valuta rifugio e colonna del mondo.
Nelle ultime settimane, man mano che si sono aggravate le posizioni di Trump rispetto alla guerra commerciale con i partner internazionali, si sono visti spostamenti di capitali dagli Stati Uniti all’Europa e all’Asia, mentre le valute controparti del dollaro hanno visto un deciso rialzo a massimi di molti anni. In particolare questa settimana il movimento ha interessato l’Asia, dove le banche centrali di alcuni paesi sono dovute intervenire più volte per contenere il rialzo delle loro valute. Le spiegazioni a questo nuovo movimento sono molteplici, una di queste è il fatto che alcuni paesi potrebbero utilizzare proprio la loro valuta come parte delle trattative con Trump sui dazi. Più in generale molti osservatori vedono in ciò un nuovo passo verso la de-dollarizzazione.
Il terremoto valutario partito dall’Asia
Per decenni, il dollaro è stato presente in ogni ambito, dal finanziamento del debito dei mercati emergenti, alla gestione degli scambi commerciali e l’attuale, ma un graduale allontanamento dal biglietto verde sta erodendo uno degli elementi costitutivi del commercio globale. Secondo una stima recente, l’uso del dollaro come valuta di intermediazione rappresenta circa il 13% dei volumi di scambio giornalieri.
Questa settimana si è assistito a vero e proprio un terremoto valutario partito dall’Asia, con il quale il dollaro ha perso terreno, mentre sono schizzate al rialzo le valute locali. L’indice MSCI Emerging Markets Currency ha toccato questa settimana i massimi della storia e nell’ultimo mese il rialzo, nonostante la volatilità, resta a +4,3%. L’apprezzamento delle valute, soprattutto di quelle asiatiche, è così rilevante da riuscire a cambiare le prospettive d’investimento delle borse dell’area, mentre si sono fatte largo le speculazioni sul fatto che alcuni paesi asiatici fossero pronti a progettare rivalutazioni valutarie per ottenere concessioni commerciali dagli Stati Uniti.
Tutto è iniziato con il dollaro taiwanese nelle sedute tra venerdì e lunedì scorsi quando ha accumulato rialzi che lo hanno portato a record di alcuni anni. Il dollaro taiwanese non ha un tasso di cambio ufficiale, ma la banca centrale interviene quando necessario per garantire la “stabilità dinamica” della valuta. Il suo rialzo di circa il 10% in poci giorni è il più grande mai registrato, secondo i dati LSEG. Sebbene la banca centrale di Taiwan abbia negato che la Casa Bianca stesse facendo pressioni per un rialzo di alcune valute asiatiche come parte di un accordo commerciale, i mercati stanno comunque percependo un cambiamento.
Martedì la stessa situazione si è verificata a Hong Kong: l’Autorità Monetaria del paese, Hkma, in sostanza la banca centrale della città, ha effettuato un intervento per la terza volta in quattro giorni per mantenere l’ancoraggio della valuta locale al dollaro Usa. Nella sola notte tra lunedì e martedi la Hkma ha venduto la cifra record di 60 miliardi di dollari di Hong Kong (7,74 miliardi di dollari) di valuta locale e ha acquistato 7,8 miliardi di dollari al tasso di cambio di 7,75 per dollaro Usa.
Come un’onda lunga, la manovra valutaria si è spostata in altre aree asiatiche, fino al ringgit malese e naturalmente ha interessato anche lo yuan cinese che si è rafforzato scommettendo sulle trattative in corso questo weekend a Ginevra.
“La vera azione si è spostata sul mercato valutario asiatico” ha detto Charu Chanana, responsabile degli investimenti presso Saxo a Singapore. “Se queste valute continuano a rafforzarsi bruscamente, potrebbe scatenare il timore di una ‘crisi valutaria asiatica inversa’, con potenziali effetti a catena sul mercato obbligazionario, nel timore che le istituzioni asiatiche riconsiderino la loro esposizione non coperta alle partecipazioni in titoli del Tesoro.”
Le valute viaggiano insieme alle merci
Le valute per altro sono in stretto rapporto anche con lo spostamento delle merci e i dati di venerdì hanno evidenziato che le esportazioni cinesi, che sono in generale aumentate dell’8,1% ad aprile, sono invece calate del 21% quelle verso gli Stati Uniti poiché le aziende cinesi hanno aumentato le vendite in altri mercati come India, Asia sud-orientale e Unione Europea. Di contro, l’imposizione da parte della Cina di dazi sulle merci americane ha comportato una diminuzione di quasi il 14% delle importazioni dagli Stati Uniti il mese scorso.
La de-dollarizzazione non è nata ieri
Un ripensamento circa il suo posto nel mondo era già in atto prima che Trump sganciasse le sue bombe commerciali. Da anni la Cina cerca di promuovere l’uso internazionale della propria valuta, firmando accordi di compensazione valutaria con Brasile, Indonesia e altri paesi. Anche il gruppo Bric, composto da paesi emergenti, ha discusso la de-dollarizzazione. L’invasione russa dell’Ucraina nel 2022 ha poi stimolato l’interesse di alcuni paesi ad abbandonare il dollaro, dopo le sanzioni contro Mosca.
Cresce il costo per coprirsi contro il deprezzamento del biglietto verde
Fatto sta che il costo della copertura contro il deprezzamento del dollaro rispetto alle principali valute è aumentato nell’ultimo anno, con picchi poco prima delle elezioni presidenziali statunitensi a novembre e di nuovo ad aprile. Trump del resto ha inviato segnali contrastanti sulla valuta, ma si è lamentato della forza del dollaro e ha scelto come consigliere l’economista Stephen Miran, che il marzo scorso ha parlato della necessità di un radicale sconvolgimento dell’ordine mondiale basato sul dollaro.
Altro segnale che aziende e investitori stanno voltando le spalle al biglietto verde viene da banche e broker che stanno riscontrando una crescente domanda di derivati valutari che bypassano il dollaro e coinvolgono valute come lo yuan, il dollaro di Hong Kong, il dirham degli Emirati Arabi Uniti e l’euro. C’è anche domanda di prestiti denominati in yuan, e una banca in Indonesia sta allestendo un desk dedicato alla valuta cinese. La stragrande maggioranza delle transazioni valutarie finora ha utilizzato il dollaro, anche se si trattava di trasferimenti di denaro tra due valute locali. Ad esempio, un’azienda egiziana che desidera pesos filippini in genere trasferisce la sua valuta locale in dollari, prima di acquistare pesos con i dollari ricevuti. Ma le aziende stanno sempre più prendendo in considerazione strategie che eludono il ruolo del dollaro come intermediario.
Stephen Jen, uno strategist di alto profilo noto per il suo lavoro sulla teoria del “sorriso del dollaro”, ha lanciato l’allarme: una potenziale “valanga” di vendite di dollari da 2,5 trilioni di dollari, che potrebbe compromettere l’attrattiva a lungo termine della valuta.
Le borse asiatiche attirano capitali stranieri
I fondamentali dell’economia dicono che una valuta più forte tende a svantaggiare gli esportatori, per cui potrebbe essere un elemento negativo per l’azionario, ma il movimento può essere complessivamente positivo nel caso gli investitori stranieri siano attratti dalle prospettive del tasso di cambio.
E’ il caso delle azioni della borsa di Taiwan, dove, mentre la moneta valuta locale saliva complessivamente di quasi il 10%, nell’ultimo mese si è assistito al ritorno dei fondi globali che l’hanno portata al rialzo. “Quando le valute asiatiche si apprezzano, quasi sempre si verifica un afflusso di fondi esteri verso le azioni”, dice Manishi Raychaudhuri, amministratore delegato di Emmer Capital. A suo avviso, i mercati che potrebbero ricevere i flussi più elevati sono probabilmente quelli che sono stati venduti maggiormente, tra cui India, Corea e Taiwan”. Ma gli investitori stanno puntano anche sulle borse di Filippine e India.
Dollaro ed euro si riposizionno sui livelli di gennaio
Un discorso a parte va fatto per il cambio euro dollaro. La moneta unica, nel momento più caotico della guerra commerciale, in aprile, gli investitori avevano iniziato a disinvestire dollari per acquistare euro e quest’ultimo aveva segnato un massimo oltre 1,14 dollari. In questi giorni invece, in clima di cauto disgelo dei rapporti commerciali le due valute si stanno riequilibrando e riportando sui livelli di gennaio, con il contributo dell’accordo raggiunto giovedì tra Washington e Londra e in vista delle trattative quest week end tra Usa e Cina.
Aiuta anche la politica monetaria. Se da una parte il Presidente Fed Jerome Powell ha fatto sapere mercoledì di “non avere fretta” di ridurre il costo del denaro, aiutando indirettamente anche la valuta, dall’altra la Bce potrebbe invece proseguire su un percorso più espansivo, allineandosi a quanto fatto ieri dalla Banca d’Inghilterra, che ha tagliato i tassi di 25 punti base. Così il dollaro ieri, venerdì, si è portato sotto la sogla di 1,13, un evento che non si verificava da gennaio.