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Davide Puleio: temerarietà, l’arma del giovane chef stellato

Chapter a Roma è la nuova scommessa di Puleio, stella Michelin, premiato come Miglior Giovane Chef Michelin dell’anno 2019. Dalla scuola del Noma di Copenaghen a Via de’Calderari

Davide Puleio: temerarietà,  l’arma del giovane chef stellato

Temerario, è il minimo di come lo si possa definire. Da uno che a trent’anni riceve una stella Michelin, e viene contemporaneamente premiato come Miglior Giovane Chef Michelin dell’anno cosa ci si aspetta? Che si goda il successo e continui sulla strada intrapresa con calma e determinata progressività nel ristorante L’Alchimia di Milano al quale è approdato da poco più di un anno spinto dal desiderio di mettersi in gioco la prima volta come chef, la prima volta che ha progettato una cucina tutta sua.

Ma non se ti chiami Davide Puleio, un sorridente e solare ragazzo romano, che se si definisce “persona estremamente sensibile, di cuore con la quale si può discutere di tutto” al tempo stesso precisa subito dopo di essere “un po’ permaloso (ma ci sto lavorando), e anche tenace e testardo per ciò che mi interessa”. Testardo è dir poco, audace e temerario per l’appunto rendono bene il suo carattere.

Perché il giovane Puleio, lasciando il mondo della ristorazione di stucco, con una decisione che lascia a dir proco stupefatti, entrato in rotta divergente con la proprietà, decide in quattro e quattr’otto di lasciare tutto, e ritornarsene nella sua Roma.

Perché, racconterà a chi gli chiede spiegazione di un gesto così clamoroso e audace per un ragazzo della sua età baciato, così giovane, dal mondo stellato Michelin «Si era rotto qualcosa da tempo tra me e la proprietà. Era una decisione nell’aria da prima della cerimonia di presentazione della Guida Michelin, si era persa la visione comune e non si poteva andare avanti».

E così Puleio con un salto nel vuoto, che ha dato la stura a mille supposizioni, ha lasciato il ristorante Milanese dove aveva conquistato l’ambito riconoscimento ed è atterrato a Roma per una nuova sfida, una nuova scommessa. Da poco più di un anno in pieno centro storico, in Via dei Calderari, al limitare del ghetto, a pochi metri dal Tevere. nella via che prende il nome dalla scomparsa chiesa di “S.Maria de’ Calderari”, anticamente denominata “in Cacabaris” o “Caccabaris”, per la presenza nella zona delle botteghe di fabbricanti di catini e vasi di rame, in latino “cacàbera”, un giovane imprenditore romano, Marco Cilia, convertitosi dall’alta finanza internazionale all’hotellerie di ultima generazione, si è lanciato nell’impresa di importare nella capitale un concetto di ospitalità studiato nelle grandi capitali straniere, incentrato sulla formula del lusso accessibile, sia per gli ospiti dell’hotel, quanto per i servizi offerti alla città.

Così in un palazzo storico di fine Ottocento incastonato nel Rione Regola, è nato Chapter, 47 stanze con vista sui tetti di Roma, un albergo che coniuga assieme artigianato di qualità, design e arte urbana (affidata, negli spazi comuni, ai murales di Alice Pasquini), opere d’arte contemporanee, inserti industriali e originali complementi d’arredo, il tutto gestito dal designer sudafricano Tristan Du Plessis (Studio A di Johannesburg), che tra i vicoli del rione ha scovato botteghe di modernariato e gallerie dalle quali pescare per far dialogare l’albergo con la città.

In questo concetto è rientrato subito il bar aperto sulla strada che è stato affidato alla fantasia di Mario Farulla, barman di lunga esperienza, noto al pubblico romano che ha imposto la sua idea di miscelazione sulla scena internazionale.

Poi c’era la scommessa di un ristorante che si discostasse dalle regole, che rappresentasse un nuovo “capitolo”, è il caso di dire, giocando sul nome dell’Hotel, nella ristorazione romana, con l’occhio attento alla tradizione e alla cultura internazionale, alla classicità del contesto e alla modernità. Soprattutto un ristorante aperto all’esterno, all’estero e all’estro, per costruire una formula innovativa di ospitalità.

Davide Puleio, una stella Michelin in libertà, era l’uomo giusto nel momento giusto, e Cilia lo ha catturato al volo.

Puleio ritorna dunque a Roma, dove ha mosso i primi passi dopo un lungo percorso che gli ha dato grandi soddisfazioni e che lo ha temprato alle formule più d’avanguardia della grande cucina internazionale. Una carriera rapida che non ha mai conosciuto cedimenti o pause.

Sarà forse per il carattere deciso che si è formato da giovane nelle campagne laziali con il nonno che lo accompagnava nelle sue scorribande, Puleio così ricorda quei giorni: “arrampicandomi sugli alberi e saltando le balle di fieno non facendomi mancare nulla compresa la sana incoscienza”), il giovane Davide a 14 anni si trasferisce a Roma, dove il nonno aveva un ristorante alla Magliana. Può così osservare e studiare il percorso delle verdure e delle carni dalla campagna, che conosce bene, ai fornelli.

E’ poi il padre, che ha intuito le doti del ragazzo, ancora in erba, a prospettargli la strada della cucina, che avrebbe potuto dargli soddisfazione, suggerendogli di iscriversi a una scuola alberghiera.

Davide Puleio si iscrive così alla scuola alberghiera Marco Gavio Apicio di Anzio. E avverte che qualcosa sta maturando in lui. “All’improvviso non sentivo la necessità di uscire con i miei amici, declinavo ogni invito ad andare in vacanza mi interessava molto più andare a lavorare nei ristoranti assaporando la stanchezza e l’adrenalina”. Il sacro fuoco culinario gli divampa dentro.

E di adrenalina ne ha da vendere. Comincia a muovere i suoi primi passi nei ristoranti e trattorie sul litorale romano “tra insalate di mare e fritture”, poi comincia a estendere le sue esperienze un po’ in giro toscana, Venezia, fino a quando un giorno all’età di 21 anni gli si prospetta la prima grande occasione: “uno chef con cui lavoravo mi mandò al convivio Troiani a Roma da Angelo, ristorante molto quotato che ha fatto la storia dell’alta cucina capitolina, quello fu il mio battesimo, capii che c’era altro oltre le insalate di mare o le fritture e cominciai ad incuriosirmi. Due anni stupendi con un gruppo affiatato e con Angelo che mi insegnò tantissimo”.

Il destino è oramai segnato e per Davide Puleio, non ci sono più ostacoli insormontabili da affrontare. Ha bisogno di allargare i suoi orizzonti, l’Italia non gli basta più.

Parte per l’Inghilterra e riesce a inserirsi nella brigata del Texture di Agnar Sverrison, dove ogni giorno il grande chef riesce nell’alchimia di combinare e fondere, con grande abilità tecnica, ingredienti britannici di stagione con specialità islandesi, servendo piatti rustici dalle influenze nordiche facendo risaltare il contrasto strutturale e sapori puliti e intensi.

Già questo basterebbe di per sé ad acculturare il giovane Puleio a un mondo della cucina di alta classe e di livello superiore. Ma per Puleio non basta. Nel mondo della cucina è esploso il fenomeno Copenaghen, lì c’è il mitico inavvicinabile e irraggiungibile Noma, Il nome è una parola composta dai due termini danesi “nordisk” e “mad”, ossia nordico e cibo.

Lo chef è il danese con ascendenze albanesi René Redzepi 47 anni profeta di una filosofia naturalistica in cucina, liste d’attese sull’ordine dei mesi, prezzi sui 500 euro, ristorante, al quale la Guida Michelin ha assegnato due stelle, giudicato per ben quattro volte il miglior ristorante del mondo secondo la classifica The World’s 50 Best Restaurants della rivista Restaurant, nel 2010, nel 2011, nel 2012 e nel 2014, mentre nel 2013 ha ottenuto il secondo posto, alle spalle del ristorante spagnolo El Celler de Can Roca.

Un tempio della cucina che fa soggezione al solo nominarlo. Ma Puleio non è tipo da tirarsi indietro, e riesce a ottenere di effettuare uno stage di tre mesi nelle cucine reali di Redzepi. Gli bastano tre mesi per imparare tutto quello che serve, si mette in mostra per il suo stakanovismo ai fornelli. Il ragazzo è sveglio e sa farsi apprezzare al punto che senza aver neppure ultimato lo stage si vede proporre una assunzione a tempo pieno. Una assicurazione sulla vita! Puleio vi resta poco più di un anno, Riconosce che è stata “un’esperienza fantastica che mi aprii la mente, ad oggi non ho ancora incontrato un posto che lo eguagli”.

Con quella “sana incoscienza” come lui dice che ha contraddistinto la sua gioventù L’irrequieto Puleio sente forte il richiamo dell’Italia dove costruire la sua carriera, scende a Milano dove passa un anno nelle cucine di Luigi Taglienti, grande scuola di Ezio Santin, stella Michelin al Trussardi alla Scala che poi replicherà al Lume di Milano, ritorna a Roma e va a lavorare al ristorante Pipero al rex, altra stella Michelin.

Davide Puleio realizza che, a questo punto, è giunto il momento di mettersi in gioco in prima persona. Ritorna a Milano all’Alchimia, dove la proprietà è intenzionata a fare un salto di qualità sull’onda del successo che ha arriso alla cucina meneghina innovativa negli ultimi anni. Puleio ci si butta a capofitto e in un anno e mezzo di duro lavoro conquista la stella Michelin.

Cosa sia successo non lo si è mai saputo fino in fondo, Puleio diplomaticamente parla di divergenze di vedute, fatto sta che il matrimonio entra in crisi. Non si riesce a sanarlo.

Temerario e intransigente Puleio non accetta compromessi ed eccolo buttarsi di nuovo a capofitto nella avventura del Chapter, dove può dare libera espressione alla sua voglia di una cucina fuori dagli schemi, elegante, aperta al nuovo, senza confini di generi e culture, che punta a sorprendere e non a sconvolgere, ma attenta alla storia, in quanto osserva attentamente la tradizione e l’essenza del gusto primordiale in cui Il contenuto è il fattore più importante veicolato dalla tecnica e dal senso estetico.

Ed ecco che si concretizzano i suoi Straccetti di peperone come manzo, con rucola e grana, piatto vegetariano, provocatorio e di una estrema profondità per quanto semplice, dove il ruolo del peperone rosso tramite dei processi lunghi assume colore e consistenza di uno straccetto di manzo crudo, rievocando un classico della cucina italiana.

Oppure il Risotto Roma–Milano che unisce queste due grandi metropoli in un solo piatto, semplice, gustoso, elegante e alla portata di tutti i palati, insomma uno di quei piatti solidi che ogni ristorante che si rispetti deve avere. O ancora il risotto allo zafferano con una royale di coda alla vaccinara al centro che sostituisce il classico ossobuco.

Per chi non l’avesse ancora realizzato il conto alla rovescia per salire nel firmamento stellato Michelin è partito con grande determinazione.

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