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Dal caso Lusi al deficit di democrazia politica: una volta si rubava per il partito, oggi per sè

CASO LUSI – Il tesoriere della Margherita usava per sè i soldi dei rimborsi elettorali – La Camera non riduce i vitalizi nè gli stipendi dei deputati, limitandosi a destinare diversamente un aumento previsto – Napolitano aveva ammonito che tra il disgusto della politica e la fine della democrazia “il passo non è lungo”.

Dal caso Lusi al deficit di democrazia politica: una volta si rubava per il partito, oggi per sè
In questo inizio di settimana tre episodi, davvero poco edificanti, ripropongono la questione di come sono finanziati e organizzati i partiti politici. Il primo episodio riguarda la mancata riduzione di stipendi e vitalizi per i parlamentari: per ora tutto si è risolto (alla Camera) in un mancato aumento di stipendio di 1.300 euro che sarà comunque recuperato in un fondo a parte sempre per i deputati. Il secondo (ed è il più stupefacente) è quello del senatore Luigi Lusi (Pd), che si sarebbe appropriato di ben 13 milioni, parte del finanziamento pubblico (si chiamano rimborsi elettorali) della Margherita, destinandoli all’acquisto personale di immobili nel centro di Roma e in Canada. Usiamo il condizionale per garantismo, anche se ad ammettere la circostanza è stato lo stesso Lusi che ora, a margine di un possibile patteggiamento, si è anche detto ad un rimborso parziale e rateale. Il terzo episodio, ancora tutto da approfondire riguarda invece il senatore Riccardo Conti del Pdl che, stando a quanto spiegato nel telegiornale de “La 7”,  in un solo giorno avrebbe acquistato dal fondo Omega e rivenduto all’ente di previdenza degli psicologi un palazzo nel centro di Roma per un guadagno di 18 milioni di euro.

Il primo episodio (le riduzioni mancate), purtroppo, è in perfetta continuità con la storia più o meno recente dei costi della politica nel nostro Paese. Il terzo (quello del senatore Conti) dovrà essere oggetto di successive verifiche. Ma il secondo, vale a dire quello del senatore Luigi Lusi, è davvero un caso a parte. Il protagonista, già boy scout, era stato scelto, a suo tempo, come tesoriere della Margherita, da Francesco Rutelli, che ora indignato e furioso, reclama il recupero del maltolto. Per ora possiamo comunque osservare che siamo dinanzi ad un precedente assoluto. Se confermato Lusi sarebbe il primo tesoriere, che invece di “rubare” (il termine è forte e forse improprio tecnicamente, ma rende bene l’idea) per il partito, si appropria di beni del partito (anzi di un ex partito, visto che dopo la nascita del Pd la Margherita non può pià avvalersi di quella definizione, pur avendo continuato ad avere una propria amministrazione). Insomma c’è da guardare con simpatia ai poveri Severino Citaristi e Vincenzo Balzamo (amministratori della Dc e del Psi ai tempi di mani pulite) che hanno collezionato record di avvisi di garanzia per finaziamento illecito dei partiti. Per non dire di Primo Greganti, che si fece anche un po’ di galera, pur di non coinvolgere l’ex Pci, in disinvolte e illegali operazioni finanziarie.

Colpisce poi che i tre episodi siano venuti a galla proprio all’indomani di un ineccepibile intervento pubblico del presidente della Repubblica, che, in occasione del conferimento della laurea onoris causa da parte dell’Università di Bologna, aveva richiamato la politica ad un indispensabile percorso riformatore, che partendo dalla riforma elettorale doveva coinvolgere soprattutto i partiti.  “Solo con le riforme – aveva detto Napolitano – si può uscire dalla crisi”, aggiungendo: “Il Parlamento si impegni sulla riforma delle istituzioni e delle regole elettorali per restituire ai cittadini la voce che ad essi spetta nella scelta dei rappresentanti”. Altra considerazione del Capo dello Stato era stata in quell’occasione quella per la quale “tra il rifiutare i partiti e il rifiutare la politica, l’estraniarsi con disgusto dalla politica il passo non è lungo ed è fatale, conduce alla fine della democrazia e quindi della libertà”.

Parole forti e chiare che ci portano a riflettere sull’articolo 48 della Costituzione per il quale i cittadini possono “associarsi liberamente con metodo democratico a determinare la politica nazionale”. Viene da chiedersi se i partiti, così come stanno vivendo nella seconda Repubblica, rispettino davvero il metodo democratico. E si potrebbe concludere che questo metodo democratico è quanto meno affievolito. Dal momento che nei partiti (e questo vale non soltanto per il presidenzialissimo Pdl, che comunque da qualche mese ha anche un segretario) assai raramente si svolgono i Congressi. E questi, quando si svolgono si concludono quasi sempre con plebiscitarie acclamazioni, invece che, con democratiche elezioni. Naturalmente nche quello delle regole interne è problema che passa in secondo piano, dinanzi all’assoluta anomalia di una legge elettorale per la quale un Parlamento, invece che scelto dai cittadini, viene nominato da pochi capi partito. Un po’ come se la nostra democrazia si concretizzasse in una partitocrazia senza partiti.

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