Sarà il buon esito della maxi-ricapitalizzazione da 7,5 miliardi di euro ad aver diradato i timori che nei mesi scorsi si erano addensati nei saloni della banca di Piazza Cordusio: sta il fatto che dall’”Outlook 2012” presentato oggi da Erik F. Nielsen, global chief economist di Unicredit Research, emerge una previsione per il Pil italiano molto meno pessimistica rispetto a quella stilata da altri istituti: con un’economia che già nel secondo semestre dovrebbe tornare a salire, gli analisti della banca guidata da Federico Ghizzoni prevedono che la recessione quest’anno non vada oltre a un meno 0,3% contro addirittura il -2,5% del Fondo monetario internazionale e il -1,5% di Moody’s. E per il 2013 viene pronosticata una crescita dello 0,4%. Quindi niente recessione? Per Unicredit il peggio sarebbe dunque passato anche se la situazione italiana e in generale quella dell’Eurozona resta critica e in tutto il mondo si continuano ad affrontare notevoli incertezze dovute alla gravità della crisi 2008-09, alla risposta senza precedenti dei policy makers e al perdurare degli squilibri nazionali e globali. Ma è probabile – a detta di Nielsen – che la traiettoria del Pil abbia toccato il punto minimo a fine 2011
Su che cosa, allora, si basa in concreto il cauto ottimismo di Unicredit Research? Innanzitutto sul cambiamento di rotta della politica monetaria della Bce con Mario Draghi che si prefigge, tramite una mossa aggressiva sulla liquidità, di allentare le forti escursioni dello spread tra Germania e gli altri Paesi dell’Euro, una politica molto più coerente di quella fino a ieri seguita dalla Bce di Trichet che di fatto aveva accettato uno statu quo pericoloso per la tenuta della stessa moneta unica.
In questo clima gli spread dovrebbero perciò diminuire e dato che le banche godono di maggiore accesso alla liquidità della Bce, sia in euro sia in dollari, la necessità da parte loro di vendere attività denominate in valuta estera diminuirà, cosa che – secondo gli economisti di Unicredit Research – lascia prevedere un ulteriore indebolimento dell’euro. La strisciante “svalutazione” dell’euro rispetto al dollaro che dovrebbe portare la moneta americana dagli attuali 1,30 a una quotazione rivalutata di fine anno oscillante tra 1,15 e 1,20 dollari per un euro dovrebbe avere benefici effetti prima di tutto sulle esportazioni rafforzando una tendenza che è già in atto in tutta la periferia dell’Eurozona.
Nielsen prevede che un apprezzamento del dollaro del 10% avrà un impatto annuo sul Pil dell’Eurozona pari allo 0,7-0,8% in più. L’effetto cambio perciò, sempre secondo gli analisti di Unicredit Research, dovrebbe positivamente pesare nell’arco di un anno di almeno l’1,3% in più di crescita.