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Covid, un’esperienza sconvolgente: è stata un’ipnosi di massa? La visione della psicanalista Colette Soler

L’uscita del libro di Colette Soler “Scritto sotto il Covid. Che fare dell’ipnosi di massa” offre un punto di vista diverso su come abbiamo vissuto la pandemia

Covid, un’esperienza sconvolgente: è stata un’ipnosi di massa? La visione della psicanalista Colette Soler

Proprio in questi giorni è in libreria un libro che rivisita l’esperienza del Covid, purtroppo ricorrente anche se non nelle forme pandemiche delle origini, da un punto di vista diciamo “nuovo?”, “differente?”. Si tratta del libro di Colette Soler, Scritto sotto il Covid. Che fare dell’ipnosi di massa, Guerini e associati, 2022 (15,67 €), con goWare per l’edizione digitale (9,99 €).

Ormai sul Covid si è detto e scritto di tutto e c’è una certa saturazione mediatica e informativa. E anche molta voglia di parlare d’altro. Ma lo spazio per qualche riflessione ulteriore rimane ed è importante che sia esplorato.

Quello di Colette Soler, psicoanalista di scuola lacaniana e docente di filosofia all’Ecole Normale Supérieure, è un punto di osservazione e una riflessione che meritano di essere considerati con attenzione. Prima di tutto per la caratura della studiosa francese e in secondo luogo perché, come dice il titolo del libro, è stato scritto a caldo durante il periodo della pandemia. Infatti il volume raccoglie i testi di una dozzina di video conferenze e interventi tenuti dall’aprile 1920 al marzo 1921.

Questa immanenza agli avvenimenti rende il libro ancor più suggestivo, perché non c’è stato neppure il tempo di farli sedimentare e analizzarli per ottenere il necessario distacco; siamo proprio in corpore vivo, come in una seduta di analisi.

E il punto di vista psicoanalitico, com’è avvenuto in molti altri casi della storia contemporanea grazie soprattutto alla Scuola di Francoforte, può contribuire a spiegare fenomeni difficilmente affrontabili e interamente spiegabili dalle discipline e dalle metodologie delle scienze umane tradizionali.

La tesi di Soler di aver visto dispiegarsi durante la pandemia una sorta di ipnosi di massa in cui il modo individuale è coinciso con il modo collettivo è, anche se può lasciare alcuni esitanti, una ipotesi suggestiva e, anche, con un certo fondamento. 

In questo quadro è decisivo, inoltre, il ruolo che Soler attribuisce alla propria disciplina e ai suoi professionisti nel riservarsi un ruolo capace di capire dove li sta portando il proprio tempo. Il libro avvia anche un discorso interno alla psicoanalisi.

Del libro della Soler pubblichiamo qui sotto la prefazione di Mario Binasco, docente di Psicologia e Psicopatologia dei legami famigliari nel Pontificio Istituto Giovanni Paolo II alla Pontificia Università Lateranense e analista-membro della Scuola di Psicoanalisi dei Forum del Campo Lacaniano.

Condizione alterata

«Sotto Covid»: così Colette Soler dice di avere scritto questo testo, e aggiunge «come si dice: scritto sotto Lsd». Scritto dunque in uno stato di alterazione, nel quale, aggiungo io, certe apparenze della realtà perdono la consistenza e la familiarità abituali, e altri tipi di sensibilità si acuiscono. 

Ma questa condizione alterata è la stessa che è stata imposta a tutti da qualcosa che è accaduto: e che non è il fatto bruto di un virus invisibile benché reale, ma il racconto che le autorità sociali ne hanno fatto e le conseguenze che ne hanno tratto. Chi potrebbe negare che ‘sotto Covid’ sia la condizione in cui ciascuno, negli ultimi due anni, ha vissuto e sta ancora vivendo ogni aspetto della propria vita? 

Lavoro, professione, scuola, rapporti famigliari, politica, rapporti sociali, prospettive di vita: tutto questo, quand’anche non sia stato interrotto o vietato, è comunque entrato in una specie di tempo sospeso, sospeso a un’emergenza decretata.

Qualcosa di sconvolgente

Ma è il modo in cui questo è accaduto che giustifica il sottotitolo del libro. Qualcosa di inaudito e di inimmaginabile fino ad allora ha potuto accadere senza grandi obiezioni: che un’intera nazione si chiudesse in casa su ordine delle autorità, facendo tacere e azzerando le ragioni del vivere di fronte al nuovo criterio dominante, l’imperativo assoluto di evitare il contagio, identificato tout court con la morte. 

Dove si trovano riunite queste condizioni? E cioè: una definizione dello stato della realtà totalmente determinato dalla parola di un’autorità, il comando di comportamenti congruenti con quel racconto, l’arrendevolezza del destinatario del comando che rinuncia alla critica, all’iniziativa di pensiero, al voler sapere, per non turbare il proprio rapporto con quella autorità? Nell’ipnosi. Quello che era accaduto e che continuava ad accadere aveva dunque tutte le caratteristiche di un caso di ipnosi di massa

Ipnosi di massa

Questa volta però non si trattava dell’ipnosi quotidiana e inavvertita alla quale da decenni la televisione ci ha abituato suggerendoci svariati modi di consumo anche politico e culturale: ciò che veniva suggerito non veniva semplicemente a prendere posto tra le altre possibilità vitali. 

Questa volta la suggestione introduceva, con l’imperativo incondizionato di evitare il contagio, una logica di guerra, in cui ogni cittadino veniva arruolato: e come si sa, l’esercito in guerra è uno dei luoghi sociali nei quali ogni azione che non è obbligatoria è vietata; in cui viene proscritta per il soggetto singolo ogni assunzione di rischio – che invece normalmente caratterizza la vita del soggetto, i suoi atti, che fanno di quella vita la sua vita. 

Sappiamo anche che non è concesso in guerra di interrogarsi sulle ragioni più o meno convincenti di quella manovra o di quel comportamento imposto. Nella situazione di guerra non è chiesto al soggetto di condividere l’azione e le sue ragioni, ma solo di eseguire i comportamenti prescritti: la collettività gli chiede una dedizione incondizionata, dove ogni minimo interrogarsi sulle ragioni dei comandi significa mettere in questione l’autorità a cui il soggetto appoggia il suo essere e contraddire il proprio desiderio di far parte del collettivo.

Lavoro per la psicoanalisi

L’emergere allo scoperto della natura ipnotica dei legami sociali non può non porre questione agli psicoanalisti (ma non solo a loro): Freud ha inventato il dispositivo psicoanalitico abbandonando l’ipnosi e andando in direzione opposta, e nel campo del legame psicoanalitico, che Lacan chiama il Discorso del­l’Analista, è a quest’ultimo, l’analista, che tocca di mantenere operante ciò che differenzia radicalmente questo legame da ogni altro, fosse pure terapeutico. 

Ma certamente l’analista non può ignorare o trascurare come funzionano i discorsi, cioè i legami al di fuori di quello analitico: perché l’analista è quello che molto più di ogni altro sa che il soggetto a cui il suo atto lo lega è lo stesso soggetto che si trova implicato, diversamente, negli altri legami sociali e nelle loro vicende. 

L’immenso lavoro di Freud e di Lacan nel rendere conto concettualmente della struttura del soggetto e dell’impossibilità di suturarne l’esistenza gli consegna un sapere e un compito. 

Dove stiamo andando

Colette Soler constata che :

«Il trauma da Covid-19 ha prodotto negli psicoanalisti, dopo un momento di stupore, come una specie di risveglio, un sentimento di urgenza. Un’urgenza di pensare nuovamente il loro posto e la loro funzione nelle nuove condizioni esterne». 

Dal libro ibro: Colette Soler, Scritto sotto il Covid. Che fare dell’ipnosi di massa

Per poi chiedersi: 

«Che opportunità lascia il governo del collettivo della società a questo discorso della psicoanalisi? La cui caratteristica, a differenza degli altri, è che in esso ci si impegna solo per scelta; per lui [l’analista] è dunque impossibile ignorare lo stato delle mentalità plasmate dalla politica, e ha quindi bisogno di una diagnosi aggiornata per sapere ‘dove lo sta portando il suo tempo’». 

Dal libro: Colette Soler, Scritto sotto il Covid. Che fare dell’ipnosi di massa

Tanto più, potremmo aggiungere, quando questo «risveglio» accade in parallelo a un aggravarsi del «sonno ipnotico» in altri funzionamenti di legame sociale. Ma la pratica dell’analisi, l’esperienza analitica, non dovrebbe già essere lei stessa una pratica di risveglio

Certamente: e «perché sia così, bisogna evidentemente che gli analisti continuino a credere nella radicalità di ciò che fanno e a volerla, questa radicalità», afferma Colette.

Ma questo non basta. 

Il fine del libro di Soler

Questo straordinario libretto di Colette da un lato sollecita gli analisti a fare fronte, a credere fino in fondo a quello che fanno e che li distingue, a riconoscere e a orientarsi sull’essenziale dei fatti della struttura dei soggetti e dei legami sociali, a cui questi prendono parte, ad assolvere il compito o il dovere che «a essi tocca in questo mondo» (Lacan). 

E dall’altro lato si offre a chi cerca di agire responsabilmente in questi campi della vita sociale e vuole rispondere di ciò che cerca e che fa: a tutti quelli che lavorano e si impegnano a diverso titolo e in diverse posizioni in questi altri legami sociali – dalla politica all’educazione, ai servizi di cura, all’economia e all’impresa, alla giustizia nella sua immensa crisi – e infine, o forse in primo luogo, nei media e nell’informazione, ambito cruciale di ogni propaganda e di ogni acquiescenza ipnotica; in tutti i dispositivi nei quali essi si trovano a trattare i soggetti nelle loro vite, e a decidere delle sorti dell’umano.

Vorrebbe invogliarli a interessarsi e a prendere in conto ciò che la psicoanalisi rivela del reale inaggirabile del soggetto umano, per poter pensare e sperimentare un’alleanza diversa da quella che, nella modernità, la tecnoscienza ha stretto col potere politico e sociale. 

La scienza e la tecnica hanno sedotto i potenti promettendo di rendere possibile il superamento progressivo dell’impotenza umana, ma scambiando l’impossibilità con l’impotenza da cui la tecnoscienza promette di liberarci, hanno finito per imporre alla società il modello del campo di concentramento e per alimentare la gigantesca fuga dal reale di cui è sintomo l’ideologia dell’enhancement e del post-human: fuga dal reale perché fuga dall’impossibile («il reale è l’impossibile», Lacan). 

Vorrei che la miriade di intelligenti osservazioni di Colette Soler ci aiutassero a lasciarci sedurre stavolta non dalla dilagante negazione della dipendenza del soggetto dal reale, ma invece dalla presa in conto dell’impossibilità come fatto di struttura dell’essere parlante, che la psicoanalisi dimostra essere condizione e fattore inaggirabile per la vivibilità dell’umano.

Chi è Colette Soler

Colette Soler è stata docente di filosofia all’Ecole Normale Supérieure e presso le Università di Parigi VIII e Parigi VII. L’incontro con l’insegna­mento e la persona di Jacques Lacan l’ha poi portata a scegliere la psicoa­nalisi. È stata membro della Scuola freudiana di Parigi, in seguito direttrice dell’École de la Cause freudienne e iniziatrice dell’Internazionale dei Forum del Campo Lacaniano (IFCL) e della sua Scuola di Psicoanalisi (EPFCL). In­segna in ambito lacaniano in Francia e all’estero, tenendo seminari periodici e ricoprendo fin dall’inizio responsabilità direttive. Tra i suoi libri, tradotti in diverse lingue, ricordiamo L’epoca dei traumi (2004), Quel che Lacan diceva delle donne (2005), Lacan, l’inconscio reinventato (2010), L’inconscio a cielo aperto della psicosi (2014), Gli affetti lacaniani (2016) e Avventi del reale. Dall’angoscia al sintomo (2018).

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