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Covid-19, il riscatto dell’Africa: le sorprese Ghana e Senegal

Talvolta succede che gli ultimi diventino i primi: è il caso dell’Africa davanti alla pandemia – Non solo ci sono stati meno morti che in Occidente, ma alcuni Paesi hanno addirittura fatto da apripista per nuove soluzioni terapeutiche.

Covid-19, il riscatto dell’Africa: le sorprese Ghana e Senegal

A volte, facendo di necessità virtù, si trova la formula vincente. E gli ultimi possono diventare i primi. E’ quanto sta accadendo in Africa con la pandemia da Covid-19: quanti di noi davano quasi per scontato, qualche mese fa, che nel continente nero ci sarebbe stata una strage, e che invece gli evoluti sistemi sanitari occidentali avrebbero retto l’urto? Invece è accaduto il contrario e in pochi ci hanno fatto caso. A raccontare il riscatto dell’Africa, proprio nei giorni del grande dibattito mondiale sul Black Lives Matter, è il Guardian, tramite un articolo della columnist Afua Hirsch, norvegese di origine africana e naturalizzata britannica: “Ci sono stati pure in Africa errori e morti – esordisce l’ex avvocata – ma è anche accaduto che molte nazioni, rendendosi conto presto che i test e i costosi ricoveri su larga scala non erano un’opzione percorribile, non abbiano avuto altra scelta che adottare un approccio più creativo”.

E in alcuni Paesi questo approccio ha pagato. Persino partendo dai rimedi erboristici. E’ accaduto in Madagascar dove l’Artemisia annua, o assenzio dolce (una pianta della famiglia delle margherite) sta attirando molta attenzione dopo che il presidente dell’isola nell’Oceano Indiano, Andry Rajoelina, ha affermato che è una “cura” per il Covid-19. “Detto così suona ‘trumpiano’ – ha riconosciuto Hirsch sul Guardian -, e infatti l’Oms ha avvertito che sono necessari ulteriori studi prima che l’assenzio dolce possa essere considerato come trattamento per la malattia”. Però l’ipotesi non è così peregrina e il mondo scientifico occidentale l’ha presa seriamente in considerazione, al punto che un istituto tedesco sta conducendo delle ricerche su una pianta imparentata con quella africana e coltivata nel Kentucky.

“I primi risultati, dopo i test sulle cellule, sono molto interessanti”, ha ammesso il professor Peter Seeberger, annunciando che presto l’assenzio dolce sarà sperimentato anche sugli uomini. Intanto però, al di là di questa suggestioni, alcuni Paesi africani hanno già affrontato concretamente ed efficacemente l’emergenza. Il Guardian cita due casi modello, il Senegal e il Ghana: “A differenza del Regno Unito, dove i morti sono oltre 35.000, in ognuno di questi due Paesi i decessi sono circa trenta, su una popolazione di 16 milioni nel caso del Senegal e di addirittura 30 milioni in Ghana”. Dakar ha contenuto il contagio intervenendo tempestivamente a gennaio, dopo le primissime avvisaglie: mentre in Italia e in Europa si è arrivati a marzo, lì il lockdown è scattato subito. Così, grazie a diverse iniziative di contact tracing, è stato garantito a tutti un posto letto in ospedale.

Ancora più interessante il caso del Ghana, dove oltre al tracciamento dei contatti sono stato sperimentate tecniche innovative come il “pool testing”: i campioni di sangue di diversi individui vengono riuniti e testati insieme in una singola provetta utilizzando metodi di rilevamento biologico molecolare sensibili; solo se il risultato del pool è positivo, i campioni vengono poi testati singolarmente. Anche su questo, oltre che sulla eventuale validità dell’assenzio dolce, l’Africa potrebbe fare da apripista: i vantaggi del pool testing sono infatti allo studio dell’Organizzazione mondiale della sanità. No, in Africa non c’è stata una strage. E forse il continente nero ha anche qualcosa da insegnarci.

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