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Codice Appalti: tra libertà d’impresa e clausola sociale, quale compromesso?

Il Tar della Lombardia ha sollevato una questione molto delicata in materia di applicazione della clausola sociale nei contratti d’appalto pubblici nell’ambito dei servizi di supporto alle attività di demand management, supply e validazione che riveste un interesse generale che fa riflettere

Codice Appalti: tra libertà d’impresa e clausola sociale, quale compromesso?

L’indirizzo delle Istituzioni comunitarie che tramite i regolamenti e le direttive orientano le scelte dei legislatori nazionali, può dirsi sempre in linea con le reali esigenze di mercato costituzionalmente garantite? 

Fino a che punto l’Autorità giudiziaria può sindacare le scelte dell’amministrazione che per la gestione di una commessa pubblica è dotata di un rilevante potere discrezionale?  

Questi i quesiti che condiscono un contenzioso di grande interesse pendente innanzi al Tar Milano la cui udienza pubblica è stata fissata per il prossimo 8 aprile. 

Il tema della clausola sociale, di derivazione comunitaria, nell’ambito dei servizi di supporto alle attività di demand management, supply e validazione è l’oggetto dell’approfondimento giudiziario attualmente in corso.  

In attesa di definire il merito della controversia, il Tar con l’Ordinanza n. 82 dello scorso 21 gennaio ha assunto una posizione “spiazzante” sulla “clausola sociale” se si considera l’oggetto dell’appalto.  

Per il Tar Lombardia, infatti, i servizi di supporto alle attività di demand management, supply e validazione presentano la caratteristica dell’“alta intensità della manodopera” e, per gli effetti, impongono alla P.A. di prescrivere nel bando la cd. “clausola sociale”.  

L’antefatto storico da cui trae origine il  suddetto contenzioso può essere così sintetizzato.  

Il bando di una gara indetta da una P.A. per l’aggiudicazione dei servizi di supporto alle attività di demand management, supply e validazione è stato impugnato, all’esito dell’aggiudicazione della gara stessa, dal secondo in graduatoria per l’assenza della previsione della “clausola sociale”. Il primo in graduatoria, a sua volta, nel difendere la posizione di vantaggio conseguita in gara ha proposto ricorso incidentale sostenendo che il ricorrente doveva essere escluso dalla competizione posto che l’offerta presentata dallo stesso non contiene uno dei requisiti previsti dal capitolato d’appalto. Entrambi i ricorrenti hanno formulato la domanda cautelare.  

Con l’Ordinanza in commento il Tar Lombardia ha accolto le richieste cautelari sospendendo per gli effetti il provvedimento di aggiudicazione e rinviando la causa all’8 aprile per la discussione del merito.  

L’Ordinanza del Tar Milano presta il fianco ad una lettura dell’art. 50 del Codice appalti che, se confermata, metterà in gravi difficoltà sia le pubbliche amministrazioni, sia i privati.  

Il Giudice amministrativo, infatti, afferma che i servizi di supporto alle attività di demand management, supply e validazione si caratterizzano per una attività di natura intellettuale del tutto limitata. Ed anzi, presentano la caratteristica dell’“alta intensità della manodopera”.   

Secondo questa ricostruzione, infatti, i servizi specialistici aventi contenuto digitale fino all’intelligenza artificiale andrebbero assimilati alle gare delle mense scolastiche, delle pulizie dei treni e di facility management più in generale. Detta impostazione non tiene conto però della circostanza secondo cui l’art. 50 del Codice appalti stabilisce che la clausola sociale va inserita nel bando al ricorrere di particolarissime condizioni merceologiche, rimettendo, per gli effetti in capo alla Pubblica Amministrazione il potere discrezionale di fissare o meno detto obbligo. 

È evidente dunque che l’istituto della “clausola sociale” merita una grande attenzione da parte degli operatori del settore posto che se non correttamente interpretato determina insanabili disfuzioni.  

L’art. 50 del Codice appalti di matrice comunitaria riconosce ampi spazi di operatività alle Stazioni Appaltanti e ciò sul presupposto che la “clausola sociale”, ove prevista, finisce per incidere sulla libertà di organizzazione imprenditoriale prevista e salvaguardata nel nostro ordinamento dall’art. 41 della Costituzione.   

E’ auspicabile, dunque, che il Giudice amministrativo non cancelli con un tratto di penna le necessarie garanzie di libertà per l’impresa neutralizzando, in questo modo, la loro operatività.  

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