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Climate change: finanza decisiva per la difesa dell’ambiente

Convegno Aiaf al’Università della Bicocca a Milano con studiosi e imprese a confronto sull’emergenza e sulla sostenibilità ambientale – Le bizzarre politiche di Trump potranno ritardare ma non cancellare gli investimenti della finanza in difesa dell’ambiente

Climate change: finanza decisiva per la difesa dell’ambiente

“Date uno sguardo a questi giudizi. Volskwagen era premiato prima del dieselgate con il massimo dei voti in materia di sostenibilità ambientale, ma per noi meritava un voto modesto. Al contrario, Tesla era in fondo alla classifica, ma non per noi”. Ian Monroe, visiting scholar di Stanford, ma anche promotore di Etho Etf, uno dei primi (se non il primo in assoluto) fondi passivi quotati a Wall Street che assume, con ottimi risultati, posizioni long sui titoli sensibili al Green ma pratica anche strategie short sulle società più nocive sul piano ambientale, usa questo esempio al Convegno Aiaf-Bicocca che ha radunato ieri a Milano gestori, industriali, manager e studiosi attorno al tema degli investimenti sostenibili.

“Nelle aziende – continua Monroe – ancora oggi i temi della sostenibilità spesso dipendono dal settore marketing e comunicazione, senza possibilità di incidere nelle scelte strategiche delle  impresa. Ma l’ambiente promette di essere il tema-chiave, decisivo per la valutazione di un investimento. Adesso, mica fra dieci anni. Non è mica un caso che l’Arabia Saudita metta in vendita adesso Aramco”. E mostra un grafico da cui emerge l’ineluttabile declino dell’oil (per non parlare del carbone) di qui al 2030 o anche ben prima. Un fattore destinato a cambiare anche i destini dell’auto, ben prima di quel che non si pensi. 

“Non è certo per motivi ideali che la Cina ha scoperto l’emergenza ambientale e si è convertita ad una filosofia verde” incalza Massimo Nicolazzi, una vita nel mondo del petrolio, prima all’Eni poi nel gruppo Gazprom, oggi docente di fonti dell’Energia all’università di Torino. “Il cambiamento – dice – non può prescindere dalla volontà politica, che agisce attraverso un mix fatto da tasse, incentivi e proibizioni. Ma ha un valore determinante la finanza: il professor Paul Ekins calcola in 3.000 miliardi di dollari l’anno gli investimenti necessari per abbassare il tasso di carbonio. La ricetta, insomma, non può prescindere dalla finanza”. “In Italia possiamo contare tra l’altro – dice al proposito Andrea Gasperini, responsabile Aiaf del progetto mission intangibles – sulla mobilitazione dei fondi pensione e sul ruolo dei fondi pensione”.     

Certo, l’America di Trump intende mettere in discussione l’emergenza ambientale. Ma le tesi del presidente possono ritardare, facendo molti danni, l’intervento della finanza in materia di difesa dell’ambiente, ma non cancellare “the tragedy of the horizon” come l’ha definita il governatore della Bank of England Mark Carney. E qualcosa ormai è cambiato anche nella corporate Italia, sempre più sensibile al tema. Lo sono gestori ed analisti, che hanno portato le loro esperienze e i loro suggerimenti: Vincenzo Sagone di Amundi, Gianluca Michele Bovenzi di Deutsche Bank, Gianluca Manca di Eurizon. L’esperienza pilota di Generali, alla costante ricerca di un equilibrio sostenibile per clienti, dipendenti e stakeholders è stat descritta da Lucia Silva delle Generali.

L’universo Esg, insomma, esce dalla fase della “bontà” per assumere un preciso profilo sostenibile anche dal punto di vista del ritorno per l’azionista e per gli operatori di mercato. E la prospettiva non cambia dal punto di vista delle imprese, come hanno sottolineato i case history di Pirelli (illustrato da Eleonora Giada Pessina), Erg (Luca Bragoli) e Vigeò Eiris (Elisabetta Colombo). Dal punto di vista delle imprese il climate change è sempre più un’opportunità che un costo, anche alla luce dei rischi, talvolta irrimediabili, che può comportare la sottovalutazione della componente ambientale.    

Per carità, la strada è in salita e l’ottimismo prematuro. Come ha sottolineato uca Testoni di Etica News, uno dei centri studi più attrezzati ed attivi in materia, le previsioni sull’emissione dei green bond dopo l’accordo di Parigi (100 miliardi) si sono rivelate troppo ottimistiche. E non mancano i “buchi”. “Le 3-4 organizzazioni più attrezzate – commenta Gianluca Manca – possono schierare non più di 100-150 analisti per seguire 5.000 società o anche più. E’ impossibile, in queste condizioni, avere analisi davvero affidabili”. Ma, ricorda Monroe, la domanda cresce. E gli investimenti seguiranno. Che piaccia o no a Trump.

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