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Cile, bocciato anche il secondo referendum costituzionale: stavolta perde la destra

Il Paese sudamericano ha richiamato gli elettori alle urne un anno dopo la bocciatura della riforma proposta dal presidente socialista Gabriel Boric. Il nuovo testo era stato scritto dall’opposizione. Rimane dunque in vigore la Costituzione di Pinochet

Cile, bocciato anche il secondo referendum costituzionale: stavolta perde la destra

A monte pure questa volta. Dopo 4 anni di intensi dibattiti e due referendum (il secondo domenica scorsa) i cileni hanno ancora respinto la proposta di una nuova Costituzione. Per ora, dunque, rimane in vigore quella ereditata dal regime di Augusto Pinochet, scritta nel 1980. Un peso che il Paese sudamericano prova a togliersi dall’inizio degli anni 2000, senza mai riuscirci.

Cile: fa flop anche il referendum della destra

Stavolta però c’è una novità: dopo il flop, l’anno scorso, della Carta proposta dal presidente socialista Gabriel Boric (che dopo un’elezione trionfale a inizio 2022 gode oggi del 60% di disapprovazione), il nuovo testo presentato agli elettori domenica 17 dicembre era stato formulato dall’opposizione di destra ed estrema destra, che avevano dunque l’occasione di dimostrare un cambio di direzione dell’opinione pubblica e, magari, portare il Cile alle elezioni anticipate. In un momento in cui le destre in Sudamerica stanno progressivamente fermando “l’onda rossa” degli ultimi anni (nel 2023 ha vinto la destra con Pena in Paraguay, Noboa in Ecuador e Milei in Argentina), sarebbe stato un risultato significativo.

E invece il 56% dei cileni ha rispedito al mittente anche questa riforma, ridimensionando l’ascesa dell’estrema destra che non aveva esitato a proporre alla popolazione temi ultraconservatori come l’abolizione del diritto all’aborto, già proibito dalla vecchia Costituzione ma in parte consentito con una legge del 2017, il giro di vite sull’immigrazione in particolare dal Venezuela (la Costituzione non regola l’immigrazione ma l’argomento è stato usato come bandiera durante la campagna elettorale), o ancora la privatizzazione del sistema sanitario. L’unica apertura su temi più progressisti e di larga condivisione è stata quella sui cambiamenti climatici. I cileni hanno però detto “no”, preferendo mantenere una Carta palesemente inadeguata ai tempi moderni. Il presidente Boric incassa dunque una mezza vittoria, anche se la sua proposta l’anno scorso era stata bocciata con un margine ancora più ampio, il 62%. Boric ha dichiarato il processo di riforma costituzionale “ufficialmente chiuso. Adesso le priorità sono altre, c’è molto da lavorare”, ha detto commentando senza trionfalismi la sconfitta degli avversari.

Le difficoltà economiche cilene

Nel frattempo infatti, il Cile ha iniziato ad affrontare una fase di difficoltà. Dopo l’ascesa degli ultimi anni, che aveva portato il Paese a diventare di fatto la seconda economia del Sudamerica davanti alla disastrata Argentina e a doppiare il Pil pro capite del Brasile, grazie al potenziale enorme delle materie prime, in particolare quelle strategiche per la transizione energetica, e a un legame sempre più intenso con la Cina, sotto il mandato del giovane e promettente socialista si sono invece susseguiti una serie di eventi negativi. Tra questi la crisi migratoria (oggi gli immigrati sono il 6,2% della popolazione, nel 2006 erano meno dell’1%), la brusca frenata del Pil (-2,6% nel 2022 e solo +1% previsto quest’anno, contro il 2,2% medio dell’America Latina), lo spaventoso aumento della criminalità, col tasso di omicidi raddoppiato rispetto a dieci anni fa (4,7 ogni 100mila abitanti), e il ritorno della povertà, che sta risalendo dopo che il Cile l’aveva praticamente abbattuta, portandola secondo i dati ufficiali dal 30% del 2006 all’8% nel 2019. L’onda rossa è messa a dura prova in Sudamerica.

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