“Cultura del sospetto e ipocrisia bloccano la possibilità di utilizzare i rifiuti per attivare un ciclo virtuoso di un loro riutilizzo come materia prima o per produrre energia. C’è la possibilità di potenziare un settore industriale che potrebbe creare molti posti di lavoro e che dovrebbe avviare da subito un ciclo di investimenti di oltre 10 miliardi”: ne è convinto il presidente di Assoambiente, Chicco Testa, secondo il quale purtroppo “una classe politica che spesso viene dai Comitati per il NO blocca soluzioni possibili, già sperimentate in altri Paesi europei, e insegue utopie, come ‘zero rifiuti’, lasciando nel frattempo le strade piene di monnezza”.
Testa, imprenditore con antica provenienza dal mondo ecologista, già deputato del PDS, ex presidente dell’Enel e oggi di Sorgenia, presiede l’associazione che si occupa appunto dei problemi relativi al riciclo e allo smaltimento dei rifiuti. Assoambiente, in accordo con quanto indicato dalla UE, si batte per un piano nazionale dei rifiuti che chiarisca come arrivare a centrare gli obiettivi posti da Bruxelles, e cioè 65% di riciclo effettivo e 10% in discarica, che sono assai lontani dalla attuale situazione italiana.
Testa, cosa occorrerebbe fare in concreto per rispettare gli obiettivi europei?
“Bisogna fare investimenti in nuovi impianti per il riciclo, per il recupero e per lo smaltimento in modo da arrivare a ridurre il conferimento in discarica e azzerare l’export di rifiuti combustibili che oggi costa ai cittadini italiani qualche centinaio di milioni l’anno e che movimenta migliaia di camion aumentando l’inquinamento. Servono una ventina di impianti per potenziare la filiera del riciclo, che già oggi in Italia è molto attiva e dispone di tecnologie d’avanguardia, e circa altri cinquanta impianti per la gestione anaerobica finalizzata alla produzione di biometano, infine 24 termovalorizzatori per bruciare i rifiuti urbani (producendo energia e calore) nell’ipotesi di voler azzerare le nostre esportazioni di simili rifiuti che oggi vanno ad arricchire gli impianti del Nord Europa. Poi occorre realizzare anche nuove discariche dato che quelle attuali sono in via di esaurimento e dovrebbero chiudere entro due anni. L’obiettivo, come si è detto, è quello di ridurre la quota di rifiuti destinata alla discarica che oggi in Italia è molto elevata, ma comunque c’è sempre un residuo di circa il 10% che non può essere trattato diversamente. Occorreranno investimenti imponenti, di almeno 10 miliardi di Euro, che potrebbero creare varie decine di migliaia di posti di lavoro. Attualmente negli impianti di riciclo lavorano 135 mila persone. La Ue stima che l’implementazione del suo piano porterebbe una crescita di occupati di oltre il 50%”.
Sul trattamento dei rifiuti ci sono tanti pregiudizi, che generano paure immotivate, ma che di fatto penalizzano l’azione pubblica. È di questi giorni il caso del blocco del riciclo a causa di una norma contenuta nel decreto Sblocca cantieri che lega a una specifica autorizzazione, il riconoscimento commerciale del cosiddetto “end of waste”, cioè il prodotto del riciclo.
“Viene imposto un lungo iter burocratico per avere la possibilità di immettere sul mercato le merci provenienti dal riciclo dei rifiuti, per cui sono in difficoltà aziende esistenti che non possono commercializzare i loro prodotti e hanno i magazzini pieni. Questo eccesso di burocrazia deriva da una visione errata del problema. Il deputato dei Cinquestelle Alberto Zolezzi, componente della commissione Ambiente della Camera, illustra in un lungo comunicato le ragioni per cui ci si deve muovere con molta calma, dopo aver ben valutato i problemi. Ma purtroppo se vogliamo arrivare in tempo a rispettare gli obiettivi europei, e comunque se vogliamo togliere la spazzatura dalle strade senza gravare sui cittadini con costi assurdi, dobbiamo agire in fretta. I dati che richiede l’onorevole Zolezzi ci sono tutti. Gli studi sul riciclo e sulla possibilità di produrre energia dai rifiuti hanno già dato luogo a impianti che funzionano egregiamente, mentre altre grandi aziende stanno approntando tecnologie innovative che, con una rapida definizione delle strategie politiche e delle relative normative, potrebbero rapidamente entrare in produzione”.
Ai rifiuti si associa spesso la lunga mano della malavita che gestisce discariche abusive, colloca nottetempo rifiuti pericolosi vicino ai campi coltivabili, incendia i capannoni dove sono stoccate tonnellate di rifiuti in attesa di essere trattate nei pochi impianti oggi esistenti, o spedite all’estero. È vero che il settore è così inquinato?
“Certo, quanto più le regole sono confuse o inesistenti tanto maggiore è la possibilità di inserimento di persone che risolvono a modo loro il problema alle imprese, o magari agli ospedali. Però la percezione del fenomeno, da parte della pubblica opinione, è di gran lunga maggiore della dimensione reale delle infiltrazioni malavitose. Gli incendi dei capannoni, dove vengono stoccati i rifiuti in mancanza di impianti di trattamento, sono il più delle volte dovuti ad autocombustione in quanto i rifiuti producono spontaneamente gas infiammabili. Ci sarà pure stato qualche caso di incendio doloso, ma non è sicuramente la norma”.
Ma è realistica la speranza di ridurre in generale la quantità di rifiuti, oltre naturalmente a sviluppare la raccolta differenziata?
“In primo luogo chiariamo che la differenziata serve, e noi siamo ancora indietro perché non è certo facile raggiungere in Italia un livello pari a circa l’80% del totale, che è la percentuale propedeutica alla possibilità di avviare il percorso industriale di riciclo o di termovalorizzazione. Com’è noto la quantità di rifiuti è correlata al PIL. Ricordo che Luciano De Crescenzo, recentemente scomparso, si diceva contento di vedere cataste di rifiuti nella sua Napoli. Questo voleva dire che la gente stava meglio e che poteva permettersi di comprare tutto il necessario per vivere. Ricordava infatti che, nell’immediato dopoguerra, di rifiuti in giro non ce n’erano. Ma a parte la battuta, bisogna considerare che la produzione di rifiuti in Italia è già oggi abbastanza contenuta. Si potrà sicuramente migliorare il packaging, ridurre gli sprechi e ottimizzare le quantità vendute, ma oggi serve una vera strategia per i prossimi 20-30 anni: se fatta con razionalità, proprio quello che oggi manca, può potenziare un settore industriale che produce benefici economici per tutti i cittadini, migliorare la qualità dell’ambiente e quindi il benessere”.