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Chernobyl oggi: cosa resta dopo la grande tragedia nucleare

FOTOGALLERY e REPORTAGE su Chernobyl nell’anniversario della più grande tragedia nucleare del dopoguerra nell’aprile del 1986

Chernobyl oggi: cosa resta dopo la grande tragedia nucleare

Per visitare il Mostro oggi bastano pochi clic di mouse sul sito Chernobyl-Tours, scegliere una escursione tra le varie proposte, aggiungere eventuali opzioni come un dosimetro e pagare l’abbordabile cifra di 150 dollari: è garantita una giornata di forti emozioni, Chernobyl dista solo un paio di ore di viaggio da Kiev, la più grande catastrofe nella storia civile dell’energia nucleare si raggiunge facilmente in pullman con l’aria condizionata.

Chernobyl, e tutto quello che lo circonda, è in realtà oggi un buco nero del mondo, facile da raggiungere, ma del quale, concretamente, nessuno sa o vuole occuparsene a causa dell’eredità dell’esplosione del 26 aprile 1986, una eredità difficile da quantificare ed ancora più complessa da gestire. Tutto appare sospeso e provvisorio e visitare la zona oggi non fa che accrescere i dubbi su cosa sia effettivamente questa parte di Ucraina messa in quarantena a tempo indefinito.

L’INCIDENTE

Quando, nella notte tra il 26 e il 27 aprile 1986, era stato predisposto un test su alcune apparecchiature della centrale nucleare, apparentemente era tutto sotto controllo: alcuni sistemi di sicurezza erano stati volutamente disabilitati per poter effettuare delle operazioni di collaudo, ma il test, come in un b-movie di fantascienza, cominciò a sfuggire al controllo dei tecnici rendendo il reattore nucleare instabile ed impossibile da raffreddare. Ci fu una violentissima esplosione che scoperchiò il nucleo del reattore, facendo volare via un coperchio di contenimento pesante mille tonnellate e proiettando il combustibile nucleare altamente radioattivo in aria.

L’esplosione non sembrava gravissima, non si trattò di una esplosione nucleare tipo quella di una bomba atomica, ma di una esplosione chimica con materiale radioattivo disperso. I morti diretti dell’esplosione furono solo due, uno dei quali per problemi cardiaci, nella vicina città di Prypjat le persone osservarono dai tetti delle case l’incendio della centrale, ammirandone i colori fantastici, senza sapere che erano causati da un altissimo inquinamento radioattivo.

Non lo sapeva nessuno in realtà e comunque nell’URSS le notizie scomode si tenevano riservate ad oltranza: non lo sapevano i primi vigili del fuoco accorsi a spegnere gli incendi, che si trovarono a fronteggiare dosi micidiali di radiazioni senza nessuna protezione e morirono nei giorni e nelle settimane successive. E niente sapeva il resto del mondo, finché in Scandinavia non vennero rilevate sul terreno e nell’aria dosi anomale di radioattività, facendo scattare il panico alimentare in tutta Europa (con divieti di consumo di latte e vegetali) e costringendo l’URSS ad ammettere il disastro nucleare.

CHERNOBYL, PRYPJAT E LA ZONA DI ALIENAZIONE OGGI

La centrale nucleare di Chernobyl venne costruita in una zona scarsamente abitata dell’Ucraina quando questa era ancora parte dell’URSS: la centrale avrebbe dovuto sviluppare economicamente una enorme zona oltre che fornire energia elettrica all’impero sovietico e per questo venne edificata una città, Prypjat, che avrebbe ospitato i lavoratori e le loro famiglie in confortevoli appartamenti sovietici di standard più elevato rispetto al resto della nazione. Prypjat, a differenza di Chernobyl che è sempre stato solo un piccolo villaggio, venne costruita con criteri moderni alla fine degli anni ’70, parallelamente allo sviluppo della centrale di Chernobyl, da cui dista in linea d’aria 3 km: due ospedali di cui uno pediatrico, due hotel, bar e ristoranti, un centro commerciale, un teatro, la casa della cultura, un centro polifunzionale, una piscina coperta olimpica con piattaforma per i tuffi. Al momento dell’esplosione della centrale la città contava circa 50 mila persone e tutti si stavano preparando alla festa del 1 maggio, ricorrenza molto sentita nell’Unione Sovietica, tanto che era stato allestito un nuovo parco giochi con una ruota panoramica ed un autoscontro.

Al momento dell’esplosione le autorità si resero conto rapidamente del pericolo che correva la città, che sarebbe stata sicuramente investita dalla nube radioattiva con conseguenze per la popolazione potenzialmente catastrofiche e decisero una evacuazione di massa per il 27 aprile, facendo affluire bus per il trasporto delle persone. L’evacuazione di Chernobyl, Prypjat e dei villaggi limitrofi coinvolse circa centomila persone, alla popolazione venne detto che sarebbe stata una misura cautelare provvisoria, e che era necessario portare solo poche cose appresso e qualche genere alimentare fino al rientro.

Nessuno, in realtà, tornò mai più a Prypjat, né a Chernobyl, né nei villaggi della zona per un raggio di circa 30 km intorno alla centrale.

E’ la cosiddetta zona di alienazione, in vigore ancora oggi, che si estende appunto attorno alla centrale, e che è interdetta a chiunque, anche se ci sono numerose eccezioni. Prypjat ed i villaggi furono abbandonati totalmente ma non è corretto dire che oggi sono rimasti esattamente come vennero lasciati: evacuata la popolazione si cercò di capire se potesse essere effettuata una decontaminazione dell’area, ma ci si rese presto conto dell’impossibilità dell’opera. Si provò a lavare i palazzi con gli idranti ed intervennero i “liquidatori”, squadre di operai che per anni hanno ripulito i palazzi e tutti gli appartamenti, buttando via la maggior parte del materiale trasportabile (mobili, elettrodomestici, auto, ecc.) che è stato poi seppellito nelle foreste della zona.

Alla fine Prypjat venne totalmente abbandonata, tenendo in vita il solo villaggio di Chernobyl per il personale coinvolto nel decommissionamento della centrale, che è ancora in corso. Ladri ed amanti del rischio negli anni hanno visitato la città, rubando quello che era rimasto come tubature e termosifoni, che sono poi stati illegalmente venduti chissà dove nonostante fosse materiale contaminato. Piccoli nuclei familiari sono tornati abusivamente in qualche casa fatiscente dei villaggi abbandonati, ma si tratta solo di anziani venuti a morire nelle loro vecchie case.

Circa 1.500 persone risiedono oggi nella cittadina di Chernobyl, e fanno turni di 15 giorni per lavorare alla centrale, finito il turno si allontanano dalla zona di alienazione per almeno due settimane: nella cittadina c’è un ostello che funge da albergo, due mense moderne, un ufficio postale, monumenti commemorativi e due negozi che sono spacci alimentari che sembrano usciti direttamente dall’era sovietica, vendono sottaceti, poche bottiglie di birra e per fare i conti usano l’abaco. Qualcuno dei residenti occupa appartamenti abbandonati dopo l’evacuazione della zona.

L’ingresso alla zona di alienazione è sorvegliato lungo tutto il perimetro, che più che un cerchio attorno alla centrale assomiglia ad un poligono, l’accesso alla zona è possibile solo dopo aver ottenuto un permesso dalle autorità ucraine, ma non ci si può arrivare da soli. La via più semplice per accedervi è appunto comprare un tour da Kiev, scegliendo un operatore ufficiale però, in quanto ci sono tour abusivi che entrano di nascosto nella zona vietata ma non garantiscono lo stesso livello di sicurezza dei tour ufficiali. Amanti del brivido organizzano addirittura tour notturni nella città fantasma, alloggiando negli appartamenti sgomberati per un pernottamento davvero inquietante.

Il tour operator ufficiale si occupa della parte burocratica, trasporta i visitatori nella zona vietata ed informa sulle procedure di sicurezza: non ci si siede per terra, si devono indossare maniche lunghe e pantaloni lunghi per evitare l’eventuale contatto diretto con la pelle, non si fuma anche all’aperto, che sembra un pericolo paradossale visto dove ci si trova. Viene anche fornito un dosimetro, un contatore geiger portatile che avverte della radioattività, emettendo suoni quando si arriva ad una soglia di rischio.

Sarebbe vietato entrare nei palazzi, ma essendo quella la parte più eccitante della visita nessuno ci rinuncia, magari dopo una piccola mancia alla guida, ed è effettivamente una emozione molto forte vedere le vite degli altri interrotte, con spesso i mobili di casa, i negozi con mercanzia abbandonata, le scuole con i banchi ed i libri abbandonati, con alle pareti i manifesti del partito comunista e gli slogan sovietici, cristallizzati come in una capsula del tempo. Salire su un tetto per guardare la centrale esattamente come fecero gli abitanti della città il giorno dell’esplosione fa capire quanto vicino fosse il pericolo. I palazzi a Prypjat sono pericolanti, e qualcuno è già caduto, da cui il divieto di entrata: la cattiva edilizia sovietica e il clima continentale, unito alla mancanza di manutenzione, stanno portando al collasso gli edifici.

COSA È RIMASTO DELLA CENTRALE ESPLOSA?

Diversamente da quel che si può pensare, la centrale di Chernobyl non fu abbandonata dopo l’esplosione, ma addirittura continuò a funzionare fino ai primi anni 2000. La centrale era composta da 4 reattori e altri due erano in procinto di essere costruiti. Quello esploso è il reattore 4, mentre il numero 1, il 2 ed il 3, che è fisicamente attaccato al reattore 4, hanno continuato a funzionare per anni. Il 2 venne fermato, dopo un incendio, nel 1991. Era stata programmata la costruzione di due reattori più moderni, il 5 ed il 6, che non sono mai stati finiti, la loro costruzione è stata sospesa dopo l’esplosione non essendo possibile decontaminare un sito così vasto. Le torri di raffreddamento incomplete ma comunque gigantesche sono oggi una testimonianza di archeologia industriale dell’incidente e simbolo dell’impotenza in questa zona: le torri sono troppo grosse per essere smantellate o decontaminate e sono troppo radioattive per essere utilizzate in qualche altro modo, ad esempio per fare bungee jumping estremo, come pure venne proposto alla disperata ricerca di un riutilizzo di queste strutture.

Sulla centrale vera e propria, o meglio sul reattore 4 che esplose, nel 2016 è stato costruito un nuovo edificio di contenimento, che ingloba quello costruito in fretta e furia negli anni ’80 e che si stava sbriciolando, rischiando di causare nuovamente una dispersione di materiale radioattivo. Infatti all’interno della centrale giacciono ancora tonnellate di materiale altamente radioattivo misto a combustibile nucleare, di fatto non è ancora possibile “spegnere” del tutto la centrale ed il nuovo edificio di contenimento dovrebbe consentire lavori di decontaminazione in sicurezza. Il nuovo edificio dovrebbe durare cento anni, ma ancora nessuno sa esattamente cosa succederà dopo e se nel frattempo si riuscirà a ripulire la centrale.

Il nuovo edificio è un colossale arco alto cento metri, costato un miliardo di euro e realizzato solo grazie alla collaborazione internazionale: la scala immensa della devastazione che si percepisce sul posto fa capire l’impossibilità di una totale decontaminazione dell’area, possibile forse solo con spese ingentissime che la sola Ucraina non può sostenere.

DUGA, L’ARMA SEGRETA ALIMENTATA DA CHERNOBYL

Uno dei lasciti più incredibili dell’esplosione di Chernobyl è stata la scoperta che la centrale nucleare alimentava un’arma segreta. Pare infatti che il 10% dell’energia prodotta venisse indirizzata su una struttura militare chiamata Duga (“arco” in russo), una gigantesca antenna radar in grado di rilevare i missili nucleari americani. La sua vera funzione e durata di uso è in realtà avvolta ancora oggi parzialmente nel mistero, di certo si sa che nel 1989 non fu più possibile captare il suo segnale radio potentissimo, che veniva ascoltato fino negli USA. Anche questo sito ha dimensioni immense, pur essendo stato segretissimo: una enorme grata di metallo alta 150 metri e lunga quasi 800 metri era piazzata nella foresta non lontano dalla centrale. L’accesso era non solo segreto, ma addirittura presidiato e dissimulato, sulla via di ingresso era stata infatti costruita una fittizia stazione per immaginari scuolabus, giusto per sviare eventuali curiosi, e sulle mappe la zona era segnata come “campo estivo” anche se la gigantesca antenna era chiaramente visibile dai tetti di Prypjat.

A differenza di altre basi militari disseminate sul territorio sovietico, questa non è stata saccheggiata trovandosi all’interno della zona di interdizione ed è una vera icona della guerra fredda: sono ancora presenti vecchi armadi pieni di tecnologia anni ’80, aule dove i 1500 militari della base venivano addestrati, con gli immancabili poster sovietici, ed appartamenti ancora ben tenuti, dove viveva il personale e le famiglie all’epoca della base funzionante. L’antenna è ancora praticamente integra anche se la ruggine comincia ad essere molto visibile: non è possibile smontarla e recuperare il ferro a causa della radioattività e anche sul destino di questa colossale struttura non ci sono piani certi, qualcuno aveva anche ipotizzato di sfruttarla come supporto per pale eoliche. Visibile a chilometri di distanza, Duga è l’ennesimo monumento involontario della tragedia che si trova nella zona di alienazione.

LE RADIAZIONI OGGI

La domanda che tutti si fanno visitando la zona è ovviamente relativa alle radiazioni ancora presenti ed al loro livello di pericolosità. Dare una risposta è purtroppo complicato, perché tutto dipende dalla durata della esposizione alle radiazioni e dalla loro intensità. Questa non è assolutamente costante, varia moltissimo anche spostandosi di pochi centimetri: durante la visita viene ad esempio mostrato un cilindro di ferro poggiato per terra in un prato con scarsa radioattività, ma avvicinando il dosimetro al ferro è facile rilevare altissime dosi di radiazioni ed è per questo vietato toccare la maggior parte delle cose. Esistono zone sicure e “sacche” di radioattività anche nei palazzi, dove le cantine dell’ospedale ad esempio non possono essere visitate perché troppo radioattive. Anche le strade possono essere sicure o meno, il pulmino che porta i visitatori in zona in alcuni punti accelera a tutta velocità mentre i dosimetri addosso alle persone impazziscano per gli alti livelli presenti solo in quel tratto.

L’importante è comunque non soffermarsi a lungo in luoghi con alte radiazioni, questa sembra essere l’unica soluzione praticabile.

Anche su questo argomento non ci sono certezze ufficiali, come ad esempio le morti causate dall’esplosione: la cifra accertata di decessi diretti ed indiretti più verosimile è di circa 60 persone, anche se ci sono 4000 persone che si ritiene possano essere decedute nel tempo a causa di radiazioni assorbite dopo l’esplosione. Le cifre che parlano di decine di migliaia di morti sono inattendibili o non verificabili, non essendo facile mettere in relazione i casi di cancro con l’irraggiamento subìto, distinguendoli dalle morti naturali.

E’ impossibile decontaminare la zona dato che andrebbe tolta una parte di terreno fino ad una certa profondità su un’area vastissima. Non si possono abbattere gli edifici per il pericolo di sollevare e diffondere polveri radioattive, per lo stesso motivo non è possibile costruire facilmente nuove strutture, nella cittadina di Chernobyl occupata dai lavoratori della centrale ad esempio tubature e condutture vengono realizzate sopra al livello del terreno, essendo rischioso lo scavo.

Chi lavora in zona è fatalmente rassegnato e come unica forma di prevenzione utilizza la turnazione per lavorare in zona, tutti dicono che dopo un po’ non ci si cura più dei valori del dosimetro, e d’altra parte i maggiori stipendi pagati in questa zona dell’Ucraina, un paese certamente non ricco, fanno gola a molti.

In compenso la natura dopo 30 anni di completo abbandono si sta riprendendo totalmente gli spazi una volta occupati dall’uomo; a Prypjat è oramai difficile girare per le strade ingombre di alberi sorti in mezzo all’asfalto e perfino su qualche tetto, ed è impossibile distinguere i palazzi tra il fogliame degli alberi dove una volta c’erano piazze ed aiuole.
Gli animali selvatici hanno ripopolato la zona, e si riproducono indisturbati cervi, alci, lupi, cinghiali, lepri e volpi, divenute una attrazione per i turisti.

Altra attrazione sono gli enormi pescegatto del fiume, rifocillati dal pane buttato dai visitatori della zona, ovviamente vietatissima è la pesca, anche a causa dell’abbandono in acqua di chiatte e natanti divenuti radioattivi dopo aver trasportato materiale contaminato. Per lungo tempo in zona c’è stato anche un enorme cimitero di veicoli a motore e perfino elicotteri usati dopo l’incidente e non più riutilizzabili per le radiazioni.

Un capitolo a parte meritano i “cani di Chernobyl”, cioè quegli animali domestici discendenti da quelli abbandonati durante l’evacuazione: gli abitanti non poterono portare con sé i propri animali, che vennero abbattuti dall’esercito. Molti sfuggirono a questo destino ed i loro discendenti sono ancora presenti nella zona, e spesso i lavoratori della zona se ne prendono cura per alimentarli e farli sopravvivere durante il rigido inverno. Da qualche anno organizzazioni di volontari eseguono periodiche campagne di sterilizzazione e vaccinazione di questi animali, quasi sempre destinati a morire di stenti in una zona totalmente abbandonata dall’uomo.

I cani, una zona sulla cartina vietata a tutti, macerie abbandonate ed un mostro con ancora all’interno chissà quali veleni radioattivi sono il lascito dell’incidente di Chernobyl, anche se le conseguenze a livello mondiale sono state soprattutto psicologiche: da allora molti sono stati i ripensamenti sull’uso dell’energia nucleare e diversi paesi l’hanno abbandonata o riconsiderata pur in mancanza di una valida alternativa, in una sorta di tempo sospeso senza sapere bene che fare, esattamente come la zona di alienazione in Ucraina.

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