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Cani e gatti: la loro salute diventa un business

La pet economy è sempre più appetibile per i produttori di medicine e per l’industria del risparmio gestito che sta spingendo gli investimenti sulla sanità veterinaria. Con ottimi ritorni sul capitale per gli azionisti

Cani e gatti: la loro salute diventa un business

I fanatici degli animali arrivano addirittura a sostenere che i nostri amici a quattro zampe siano “meglio delle persone”. Senza entrare nel merito, ma dal punto di vista sanitario e finanziario questa affermazione può quasi avere un senso. Il perché ce lo dice la nuova frontiera dell’healthcare e cioè la cura degli animali domestici, in particolare cani e gatti, la cui presenza nelle nostre case è ormai ai massimi storici. Un italiano su tre possiede un animale domestico e la tendenza è ancora in aumento. Solo negli Stati Uniti, secondo i dati di Appa (American Pet Production Association), si spende ogni anno l’equivalente di 62 miliardi di euro solo per il benessere dei tanto adorati cani e gatti.

Una tendenza che non può che consolidarsi durante l’emergenza Covid-19: sempre l’Appa ha rilevato che la spesa per gli animali di compagnia non sta risentendo della crisi e che anzi “proprio in questa fase di stress da distanziamento sociale i proprietari stanno apprezzando i benefici di avere un cane o un gatto in casa”. Il 70% ha dichiarato di trascorrere più tempo con il proprio animale domestico mentre pratica l’allontanamento sociale dalle persone, e il 60% aggiunge che il tempo extra trascorso con l’animale lo ha fatto sentire ancora più legato a lui. Negli Usa la percentuale di proprietari è salita dal 56% del 1988 all’attuale 67%, soprattutto sotto la spinta dei Millennials.

Difficile che in un contesto del genere la pet economy non diventi sempre più appetibile per i produttori di medicine e per l’industria del risparmio gestito. E infatti è così. Dal 1979 al 2017, sempre prendendo a modello il mercato statunitense, il tasso di crescita annuo della spesa per i servizi veterinari (e affini) ha superato quello della spesa per il consumo personale di 340 punti. Un dato eclatante che sta spingendo gli investimenti sulla sanità veterinaria. Un business particolarmente redditizio, per vari motivi. Intanto perché le farmacie, a differenza che per i farmaci per le persone, non hanno l’obbligo di dispensare la versione più economica di un farmaco, se il generico non è disponibile: questo significa che secondo alcune stime i produttori di farmaci per gli animali possano trattenere il 60-75% dei ricavi dopo la scadenza del brevetto.

Per fare un paragone, i brevettatori di farmaci ad uso umano possono arrivare a perdere fino al 90% dei ricavi dopo l’ingresso del generico. Non solo. Sviluppare un medicinale per animali è più veloce e meno costoso: bastano circa 3-7 anni e in genere meno 100 milioni di dollari, contro i 9 anni e possibilmente il miliardo di dollari necessari per produrne uno per gli uomini. Insomma per chi investe in queste realtà, come gli azionisti, è garantito un ottimo ritorno di cassa sul capitale investito. Esistono anche degli esempi concreti. I produttori di medicinali e vaccinazioni Zoetis (Usa) e Dechra (Uk) hanno ottenuto rispettivamente un ritorno sul capitale investito del 15 e del 30%, mentre la media per le aziende farmaceutiche “umane” è del 10%.

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