Esplode la tensione tra il Canada e l’industria automobilistica dopo la decisione di Stellantis e General Motors di spostare parte della produzione negli Stati Uniti, spinte anche dal rinnovato protezionismo promosso da Donald Trump.
Il governo di Mark Carney ha reagito duramente. Ottawa ha tagliato le quote di importazione esenti da dazi per i due gruppi, riducendole del 50% per Stellantis e del 24,2% per GM. Una mossa che limita drasticamente il numero di veicoli prodotti negli Stati Uniti che potranno entrare nel mercato canadese senza tariffe aggiuntive.
Il ministro dell’Industria François-Philippe Champagne ha accusato le case automobilistiche di aver preso “decisioni inaccettabili che violano gli obblighi legali nei confronti del Canada e dei lavoratori canadesi”, annunciando che il governo è pronto a “far valere i propri diritti contrattuali” e persino a chiedere la restituzione dei fondi pubblici ricevuti negli anni. Solo Stellantis, per esempio, aveva ottenuto oltre 100 milioni di dollari canadesi per riconvertire gli stabilimenti di Windsor e Brampton alla produzione elettrica.
Le ragioni della stretta: promesse mancate e produzioni spostate
La misura è la diretta conseguenza del trasferimento di parte della produzione automobilistica canadese verso gli Stati Uniti, deciso nelle scorse settimane dai due gruppi.
Stellantis, nell’ambito di un maxi-investimento da 13 miliardi di dollari negli Usa, il più grande della sua storia, ha annunciato che la Jeep Compass sarà prodotta non più a Brampton (Ontario), ma a Belvidere (Illinois), dove il gruppo prevede di creare oltre 3.000 nuovi posti di lavoro. General Motors, dal canto suo, ha deciso di interrompere la produzione dei furgoni elettrici BrightDrop a Ingersoll (Ontario) e di spostare parte della produzione dello Chevrolet Silverado da Oshawa (Ontario) a Fort Wayne (Indiana).
Per Ottawa, tutto ciò rappresenta un tradimento degli impegni industriali presi nell’ambito dell’accordo commerciale nordamericano Usmca (Canada–Usa–Messico) e un colpo diretto al cuore del settore auto nazionale, che dà lavoro a oltre 125.000 canadesi e coinvolge mezzo milione di addetti nell’indotto.
Dazi, esenzioni e la trappola del neoprotezionismo
Già lo scorso aprile, il governo canadese aveva introdotto tariffe del 25% sui veicoli importati dagli Stati Uniti che non rispettavano i criteri dell’Usmca. Tuttavia, aveva concesso alle case automobilistiche quote di esenzione doganale condizionate al mantenimento di investimenti e occupazione sul territorio canadese. Quelle stesse clausole, oggi, diventano la base legale per il giro di vite. “Avevamo chiarito che la revisione delle quote sarebbe stata inevitabile se le aziende avessero ridotto la produzione in Canada. Ora è successo”, ha commentato un portavoce del Ministero delle Finanze.
Dietro la decisione di Stellantis e GM pesa anche la pressione del presidente americano Donald Trump, che da mesi spinge i costruttori a “riportare a casa” la produzione per rafforzare la filiera industriale americana.
Carney risponde a Filosa: “Posti a rischio, rispettate gli impegni”
L’escalation arriva dopo le parole del premier Mark Carney, che nei giorni scorsi aveva ammonito Stellantis a “rispettare gli impegni presi con i lavoratori canadesi”, ricordando che la chiusura dello stabilimento di Brampton mette a rischio 3.000 posti di lavoro. La protesta è stata alimentata anche dal sindacato Unifor, la principale sigla del settore auto in Canada, secondo cui “i governi non possono restare a guardare mentre i nostri posti vengono spostati negli Stati Uniti”.
La tensione politica è palpabile: l’amministrazione Carney vede nella mossa di Stellantis un precedente pericoloso che potrebbe incoraggiare altre aziende a ridurre la presenza nel Paese, indebolendo un settore che rappresenta la seconda voce dell’export canadese.