Condividi

Calcio, i conti nel pallone: arriva l’era dell’austerity. Bilanci in ordine per pochi

In tempi di austerity, i pochi superstiti tra i grandi mecenati del calcio italiano stringono i cordoni della borsa e sono costretti a guardare ai bilanci – Napoli e Udinese i modelli virtuosi, le due milanesi rimangono le società più dipendenti dalle iniezioni di liquidità dei patron – La Juve punta forte sullo stadio di proprietà ed è l’unica ad averlo.

Calcio, i conti nel pallone: arriva l’era dell’austerity. Bilanci in ordine per pochi

Una nuova fattispecie di tifoso si aggira per l’Italia. Sotto braccio tiene la Gazzetta dello sport e il Sole 24 Ore, due diverse tonalità di rosa, più accesa, passionale, l’una, più asettica l’altra. Il tifoso moderno, figlio di quel calcio moderno a cui molti, a parole dicono di No!, ha iniziato a diversificare i suoi interessi e accanto al suo core business, il campo e i sogni di top player (prima o poi, confido, l’abuso di quest’espressione ci verrà a noia), oggi si improvvisa anche esperto di economia, sempre più attento ai bilanci finanziari delle proprie società, oltre a quelli sportivi. E nel caso di Juve, Roma e Lazio – le uniche tre società quotate a Piazza Affari – occhio anche al listino di Borsa.

Il calcio, a modo suo, riflette il Paese. Finiti gli eroicomici anni ’90 e i primi anni duemila, in cui tutti potevano credersi, o fingersi ricchi, sembra essersi aperta una nuova era. I grandi magnati, o almeno i pochi superstiti tra di essi, hanno stretto i cordoni della borsa, lasciando a figure più oscure, amministratori delegati e affini, la gestione delle cose calcistiche, con una parola d’ordine unica e chiara: tagliare le spese. Alzati e cammina, sembrano dire alle loro creature, ormai costrette sempre più a muoversi sulle proprie gambe, ovvero ad autofinanziarsi. A meno che non arrivi qualche tycoon russo o asiatico (l’Inter spera nell’indonesiano Thohir) o arabo.

I tempi cambiano e qualcosa si muove. C’è chi è riuscito ad approdare a risultati virtuosi e chi, invece, fatica, in nome di monti stipendi elefantiaci, a intraprendere la via dell’attivo in bilancio. Ad aiutare il tifoso economista, con un quadro puntuale e preciso, è un’inchiesta di Milano Finanza sui bilanci delle maggiori società calcistiche italiane e su quelli delle loro controllate.

Al ruolo di modello virtuoso si candida, forte, il Napoli di Aurelio De Laurentis, i cui bilanci brillano più di quelli dell’azienda di famiglia, la Filmauro dei Cinepoattoni, che, nei cinque anni tra il 2008 e il 2012, ha registrato un risultato netto complessivo di 3,757 milioni di euro, contro l’utile civilistico di 42 milioni fatto segnare dalla squadra partenopea, che ha chiuso in attivo tutti gli ultimi 5 bilanci. Il tutto, condito dai gol di Cavani e Lavezzi prima e quelli, sperano oggi i tifosi napoletani, di Insigne e Higuain, oltre a quelli del sempre presente Marek Hamsik.

Obiettivo uguale, ma basi diverse, invece, per la società leader sul campo, la Juve (peraltro quotata in Borsa) presieduta da Andrea Agnelli e controllata dalla cassaforte di famiglia, la Exor che nel 2011, bilancio chiuso con un rosso di 95 milioni, ha dovuto iniettare nelle casse societarie 77,6 milioni di euro, su un aumento complessivo di 120 milioni. Ma da allora la musica è cambiata, sia per le vittorie sul campo sia per i miglioramenti costanti nei bilanci.  La Juventus, proprio per la sua struttura, ha la necessità di raggiungere l’autonomia dalla propria controllata: l’obiettivo, oltre che per lo stadio di proprietà e i risultati sportivi, passa anche, però, per lo sfoltimento della ros e il controllo delle spese di ingaggio.

Le due milanesi, conti alla mano, sono le due società più dipendenti dai propri padri padroni. Il Milan, nonostante sia la società italiana che registra i maggiori ricavi, ha chiuso in rosso i bilanci degli ultimi 5 anni, costringendo Silvio Berlusconi a ripianare perdite per 248 milioni, circa un quarto dei dividendi incassati dalla Fininvest.

Massimo Moratti, che si appresta, sembrerebbe, a cedere il 70% della società all’indonesiano Thohir, ha immesso nelle casse dell’Fc Internazionale ben 472,978 milioni di euro negli ultimi 5 anni, a fronte di un rosso civilistico complessivo di 535,699 milioni di euro nel periodo considerato. Moratti, che dal 2008, vista la crisi della società di famiglia, ha incassato dalla Saras dividendi per soli, si fa per dire, 50 milioni, ne ha però incassati ben 891 dal collocamento in borsa del 16,6% della società petrolifera. Le spese del patron interista, vera epitome del mecenate disposto a tutto per il bene della propria squadra, sono valse ai nerazzurri quantomeno la gioia del Triplete targato Jose Mourinho.

Da Milano si passa a Roma. Ad accomunare le società capitoline c’è il fatto di essere quotate in Borsa, e poco più. La Lazio, controllata al 66,6% da Claudio Lotito, ha chiuso gli ultimi 5 bilanci con un attivo complessivo di poco superiore ai 9 milioni di euro. Il pittoresco, e assai contestato, presidente dei biancocelesti non ha mai messo mano, nel periodo considerato, al proprio patrimonio personale, mantenendo sempre la società su discreti livelli sportivi.

La Roma è entrata in una nuova fase di gestione: non più il paternalismo romantico dei Sensi, ma il crudo business degli americani che, di fronte a un bilancio in perdita e all’ennesimo anno senza i ricavi delle coppe europee, non hanno esitato un momento a cedere sul mercato i pezzi pregiati della squadra, per far fronte alle perdite: Marquinhos, Osvaldo e Lamela (a giorni) sono partiti per una cifra complessiva vicina agli 80 milioni di euro. Gli americani, al momento, hanno immesso nelle casse giallorosse 50 milioni di euro.

Un modello virtuoso, invece, riconoscibile anche a occhio nudo, è quello l’Udinese: da anni un melting pot di ragazzini terribili da rivendere poi a peso d’oro (il prossimo sarà il colombiano Muriel, che ricorda, fatte le debite proporzioni, il primo Ronaldo) che, sotto la sapiente guida di Di Natale e Guidolin, ottengono risultati sportivi invidiabili, a fronte di bilanci, quasi sempre, in attivo, tanto da riuscire addirittura, nel 2008, a staccare un dividendo di circa 4 milioni di euro.

La Fiorentina, controllata dai fratelli Della Valle attraverso un’accomandita, ha chiuso con un aggregato negativo di 45 milioni nel periodo considerato, prontamente ripianati dalla proprietà. La società, però, ha chiuso in attivo il bilancio del 2012 e punta, prendendo ad esempio una realtà come quella del Napoli, a camminare da sola, senza pesare sulle casse della società madre, accompagnando il tutto a risultati sportivi, come quelli dell’ultima stagione, all’altezza di una piazza esigente.

Commenta