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Bitcoin: dopo la Cina e l’Fbi, arriva la scure del fisco coreano

In Corea del Sud una retata coordinata dalla polizia fiscale ha colpito 12mila contribuenti, portando al sequestro di valute per circa 50 milioni di di dollari – Cade il tabù dell’impunità fiscale, ma la criptovaluta cerca di resistere alle bordate dei Governi e dopo aver toccato i minimi da inizio anno, risale a 33mila dollari

Bitcoin: dopo la Cina e l’Fbi, arriva la scure del fisco coreano

Non c’è pace per il Bitcoin, precipitato dalla vetta dei 65 mila dollari toccati il 14 aprile, data della quotazione a Wall Street della piattaforma Coinbase, ai 29 mila di martedì 22, più o meno lo stesso valore di inizio anno dopo una girandola infinita di speculazioni per cifre da capogiro. Eppure, nonostante i colpi subiti, il valore di mercato del Bitcoin e delle due altre valute più diffuse, Ethereum e Tether, si aggira sui mille miliardi di dollari, circa 400 miliardi in più rispetto ad inizio anno. E i pareri della piazza finanziaria si dividono: sotto il fuoco delle banche centrali, dicono i critici, la stagione d’oro del Bitcoin si avvia alla fine. Assolutamente no, è la replica dei cripto-appassionati: l’inflazione che minaccia l’economia di carta non può che stimolare la ricerca di approdi sicuri, a prova del fiume di dollari che prima o poi rischia di straripare. 

Intanto nelle ultime ore la moneta, sopravvissuta a numerosi crolli, rialza la testa riportandosi a quota 33 mila dollari. È la conferma, secondo alcuni, che il fondo è stato toccato. Ma il “fondo” in realtà non esiste. “In assenza di valori fondamentali – rileva il Wall Street Journalè impossibile determinare il giusto prezzo di un bitcoin. Tutto dipende dalla domanda e dall’offerta”. E nell’ultimo periodo non sono certo mancati gli incentivi a vendere.     

Prima il voltafaccia di Elon Musk, che ha negato il sostegno alla criptovaluta finché non si trovi rimedio ai danni ambientali provocati dall’attività delle miniere. Poi il diktat della Cina: su mandato di  Xi Jing Ping, l’onnipotente presidente della Cina rossa, le autorità della provincia sudoccidentale del Sichuan, che stanno alle criptovalute come le vecchie fabbriche della Ruhr all’acciaio, hanno ordinato la chiusura dei progetti di mining di bitcoin: il Consiglio di Stato, il gabinetto cinese, il mese scorso ha promesso di reprimere l’attività di mining e trading come parte di una serie di misure per controllare i rischi finanziari. Con l’avvicinarsi del centesimo anniversario della nascita del Partito Comunista della Cina (primo luglio), aumenta l’attenzione delle autorità di Pechino, fermamente intenzionate a festeggiare l’avvenimento senza il disturbo di qualche grana finanziaria. Da non trascurare il colpo inferto dall’Fbi quando i G-men hanno individuato buona parte del riscatto chiesto dagli hackers di Dark Side per il sequestro dei dati di Colonial Pipeline, l’oleodotto del Nord America.  

Ma il vero colpo basso, il più inatteso, è arrivato stamane dalla Corea del Sud, una delle piazze più sensibili al richiamo delle criptovalute. Una grande retata coordinata dalla polizia fiscale (la guardia di finanza locale, insomma) ha colpito 12 mila contribuenti dell’area della capitale Seul accusati di evasione fiscale attraverso operazioni in bitcoin, ethereum od altre criptovalute. L’operazione ha portato al sequestro di valute per un valore di circa 50 milioni di dollari recuperate grazie al tracciamento del percorso compiuto dai vari borsini della capitale, superando schermature e codici utilizzati dai clienti per proteggere l’anonimato. E così nella rete sono caduti migliaia di contribuenti infedeli: un imbonitore di televendite che aveva denunciato entrate per 20 milioni di won ma è stato trovato con 50 milioni in criptovalute che non ha saputo giustificare; un proprietario di trenta immobili a Seul, contribuente infedele ma con un malloppo di più di un miliardo di dollari in monete virtuali. O un medico, libero professionista, con un imponibile dichiarato per 17 milioni di won ma proprietario presso un trader locale, di un tesoretto di 2,8 miliardi. Ora, salvo chi si metterà in regola con il fisco, tutti rischiano forti multe oltre al sequestro dei capitali. Non solo. Il governo ha annunciato una sorta di ultimatum: entro settembre dovranno essere denunciate tutte le posizioni in criptovalute possedute presso i traders locali. 

Insomma, nella settimana del crollo dei prezzi del Bitcoin cade anche il tabù dell’impunità fiscale, una delle leve che più ha favorito la fortuna delle monete virtuali. Un eventuale rialzo altro non sarebbe che il canto del cigno. 

Tutt’altro, replicano i cripto-entusiasti. La crisi delle miniere cinesi offre la possibilità di creare centri di produzione in più parti del mondo con un consumo di energia ben inferiore. Scrive Simon Peters, market analyst di eToro : “Il Bitcoin è andato sotto i 30.000 dollari per la prima volta da gennaio. La ragione principale del sell-off è stato il giro di vite in Cina sulle operazioni di estrazione e sui servizi bancari. Mentre l’incertezza a breve termine, sulla scia delle ultime notizie, sta guidando il sell-off, a lungo termine questa transizione di mercato potrebbe essere molto vantaggiosa per il bitcoin e le criptovalute in generale. Decentrare l’estrazione delle criptovalute e porre fine al dominio cinese quando si tratta di estrazione mineraria potrebbe aiutare altri paesi più cripto-friendly a diventare leader in questo spazio. Le nuove operazioni di estrazione – o le operazioni esistenti che si spostano fuori dalla Cina – potrebbero ora guardare verso fonti di energia rinnovabile per consentire operazioni pulite. Nel tempo, questo potrebbe diminuire la quantità di energia da combustibili fossili utilizzata per l’estrazione globale di bitcoin”.

Insomma, la grande speculazione continua. Il pendolo del Bitcoin è destinato ad andare su e giù, con una sola regola: i più forti vincono come dimostra il fatto che l’80% delle valute virtuali e posseduto da meno di 10 mila persone. Per tutti gli altri vale la regola enunciata da Peters: “La criptovaluta è una classe di attività altamente volatile e invitiamo gli investitori a ricordare i principi fondamentali dell’investimento; diversificare, capire in cosa si sta investendo e non investire mai più di quanto ci si possa permettere di perdere”.

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