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Bill Hwang, il missionario di Archegos che ha gettato un’ombra sui mercati

Non si capisce come mai Bill Hwang, il fondatore di Archegos, pur essendo un personaggio di secondo piano della finanza americana abbia avuto la possibilità di movimentare fino a 50 miliardi di dollari con una leva smisurata in collaborazione con le banche più importanti – Per fortuna il default di Archegos non ha avuto effetti sistemici ma ha confermato ancora una volta che la regolamentazione finanziaria fa acqua da molte parti

Bill Hwang, il missionario di Archegos che ha gettato un’ombra sui mercati

Il giorno dopo la comunità finanziaria sembra aver già dimenticato. Le Borse impegnate a macinare nuovi record hanno archiviato le perdite miliardarie del fondo Archegos per correre a caccia di nuovi record. La tensione al rialzo delle obbligazioni e il rafforzamento dollaro stanno a indicare un residuo di paura dopo il piccolo terremoto che è costato una ventina di miliardi alle banche, tanto quanto è andato in fumo venerdì sera nel gran pasticcio delle “margin calls” non onorate da Bill Hwang, il promotore del family office che ha fatto tremare Wall Street per un weekend o poco più. Un personaggio di secondo piano, Hwang. Non una stella dell’olimpo degli hedge fund, bensì un emigrato dalla Corea del Sud che non ha nulla da spartire con l’identikit degli squali del mercato finanziario. Anzi, probabilmente per la prima volta nella storia dei crack finanziari, compare la figura del bancarottiere alla ricerca della santità. Perché, come ha dichiarato, la sua ambizione era di “essere un grande investitore, ma per conto di Dio”.

È difficile immaginare un personaggio più distante da Gordon Gekko di mister Hwang: “Sono come un bambino – scriveva su Linkedin – che ogni giorno cerca di sapere che cosa può fare, dove può investire per onorare il Signore”. Dalle sue denunce dei redditi, si legge su Wall Street Journal, emerge il ritratto di un benefattore che nel corso degli ultimi anni ha versato cifre consistenti per sponsorizzare le chiese cristiane, sia in Corea del Sud che a vantaggio delle comunità asiatiche in Usa. “Sto riducendo a poco a poco il patrimonio per fare le cose che mi chiede il Signore – disse in un’intervista del 2018 – Perché lo faccio? Io amo di più Dio del mio denaro”. Un missionario del denaro, insomma, convertito alle opere di bene dopo essere incappato nelle maglie della Sec: reo confesso per insider trading, ha dovuto patteggiare nel 2012 con l’autorità di Borsa versando 44 milioni di dollari per evitare la galera. Ma questa è la storia degli anni del “peccato”, quando Bill Hwang, emigrato dopo le superiori dalla Corea del Sud, ha avuto la ventura, dopo la laurea, di entrare nella cerchia dei collaboratori di Julian Robertson, il mitico fondatore del Tiger Fund, capace di creare quasi dal nulla un colosso da 22 miliardi di dollari.

Anche Hwang, con l’aiuto di Robertson, ha fondato poco più che ragazzo un suo hedge nel 2001, capace di accumulare un patrimonio di 5 miliardi di dollari. Prima di cadere in tentazione e pentirsi, oltre che pagare la multa salata per aver infranto la legge sull’insider, il che per la legge Usa sta ad indicare l’obbligo di astenersi dall’attività sui mercati finanziari. Come è possibile, si chiede oggi il Financial Times, che un personaggio del genere, per giunta quasi sconosciuto, arrivi a movimentare titoli fino a 50 miliardi di dollari con la collaborazione delle banche più importanti? Si può, anche perché dopo la condanna Hwang riuscì a restituire ai clienti fino all’ultimo dollaro.

E poi, per rientrare in scena, ha usato una nuova formula, promuovendo un family office che, per la sua natura, non può raccogliere fondi di terzi. Infine, di sicuro il nostro Bill ha potuto contare su conoscenze e, soprattutto, sulla sua abilità, qualità indiscutibile visto che in meno di dieci anni Archegos è passata da cento milioni ai oltre dieci miliardi. E ha distribuito lungo la strada commissioni imponenti alle banche che hanno finanziato la sua ascesa. L’ultima a cedere al fascino del missionario del listino è stata Goldman Sachs, che solo un anno fa lo ha tolto dalla lista nera “per le pressanti raccomandazioni arrivate da più parti”: tiene oggi a precisare la banca che venerdì scorso non ha esitato, assieme a Morgan Stanley, a rovesciare sul mercato i titoli di Hwang in deposito.

Già, la posizione di Archegos era costituita da contratti di total return swaps, derivati simili ai più comuni credit default, ma dalla struttura più complessa che, nel nostro caso ha consentito di disporre di una leva finanziaria smisurata (fino a 20 volte, pare, per alcune transazioni), e garantire l’anonimato sul mercato. Pare, e forse è vero, che nessuna delle controparti di Hwang sospettasse di trovarsi di fronte all’operatore che da solo ha spinto il titolo di Viacom Cbs (il principale network tv americano) a raddoppiare di valore nel giro di pochi mesi. Il total return swaps, assai in voga tra i fondi activist proprio per la caratteristica di permettere di mantenere l’anonimato, si è rivelata nelle mani di Hwang, un’arma letale.

Secondo le prime ricostruzioni, il piccolo (per le dimensioni del mercato Usa) family office detenuto da un finanziere condannato dalla Sec, ha potuto riscuotere fino a 50 miliardi di crediti da parte di almeno dieci banche primarie, tra cui istituti svizzeri (anche Ubs), l’immancabile Deutsche Bank, la Giapponese Nomura e le banche Usa più esclusive. I contratti stipulati da Hwang prevedevano in genere un effetto leva di otto. Ovvero per ogni garanzia prestata, il gestore poteva operare per sette volte di più. Ma ci sono esempi di leva ben più elevati (fino a 20 volte).

Insomma, il default di Archegos è destinato ad avere effetti limitati perché le banche oggi sono ben capitalizzate. Ma anche perché, a differenza che ai tempi del crack di Lehman o di Ltcm ai tempi della crisi russa, i mercati oggi vivono in uno stato di grazia in cui è abbastanza facile digerire anche un crack miliardario. Soprattutto se all’origine c’è un pesce solitario che non vanta relazioni o prestigio particolare. Ma il sistema, ancora una volta, ha dimostrato di fare acqua, nonostante i massicci investimenti in risk management e le regole più severe imposte dopo la crisi del 2008/09.

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