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Bestseller del passato: Giuseppe Tomasi di Lampedusa, il caso del Gattopardo

Il 19° appuntamento con gli scrittori best seller della letteratura italiana incontra il più insolito degli scrittori, Giuseppe TOMASI di LAMPEDUSA. Scrittore per caso, caso editoriale massimo nel panorama della letteratura italiana.

Bestseller del passato: Giuseppe Tomasi di Lampedusa, il caso del Gattopardo

Un caso unico

Sono trascorsi 60 anni da quando al Gattopardo è stato assegnato il premio Strega, un romanzo di un esordiente che è stato preferito dalla giuria a La casa della vita di Mario Praz, Una vita violenta di Pier Paolo Pasolini, Primavera di bellezza di Beppe Fenoglio, Il ponte della Ghisolfa di Giovanni Testori, Il povero Piero di Campanile. Altri tempi davvero!

È questione futile e tutto sommato di poco interesse sapere quale sia stato il maggiore best seller italiano della Repubblica; quale romanzo italiano abbia cioè venduto di più in questi ultimi 75 anni.

In mancanza di dati ufficiali e di stime oggettive, che tengano conto di tanti aspetti, come la distribuzione gratuita o a pagamento abbinata ai quotidiani, il peso delle eventuali edizioni scolastiche o delle promozioni, riteniamo che non si andrebbe molto lontano dal vero nel ridurre questo ipotetico parterre a un numero molto esiguo di opere, come Il GattopardoIl Nome della rosa, Va’ dove ti porta il cuoreIo uccido, incalzati da pochi altri titoli.

Un best seller di qualità


La prima edizione del Gattopardo esposta alla mostra per il 50° a Palermo in cui sono state esposte le principali edizioni italiane del romanzo appartenenti alla Collezione Umberto Cantone

Se poi volessimo abbandonare l’ambito dei numeri e discutere su quale sia stato fra questi il libro di maggior spessore letterario, con ogni probabilità la palma andrebbe al Gattopardo. E la cosa non potrebbe che far piacere, per più motivi.

Il primo è che la straordinaria accoglienza riservata a un’opera di alto, se non altissimo, valore letterario rivela come a fine anni Cinquanta esistesse in Italia una massa di lettori che sapeva scegliere libri che valevano: una massa di lettori dai gusti di buon livello che si indirizzava verso opere di indubbio spessore. E Il Gattopardo, da questo punto di vista, non fu l’unico romanzo di pregio premiato dai lettori: in quegli anni raccolsero il consenso del pubblico anche le opere di Pratolini, di Cassola, di Bassani, di Pasolini, solo per fare qualche nome, che sono stati sicuri protagonisti della letteratura del secondo Novecento.

E la cosa è sicuramente apprezzabile da tutti i punti di vista. Un po’ come avvenne a suo tempo con I promessi sposi: grandissimo best seller popolare e nello stesso tempo opera di incomparabile valore letterario. Non che Il Gattopardo sia di quel livello, intendiamoci, ma lo si può inserire tranquillamente nel novero non molto ampio e mai abbastanza apprezzato di libri di alta qualità.

Il “valore” del mercato

E questa è la strada che sarebbe auspicabile fosse sempre battuta dai lettori: scegliere opere sì popolari, ma di valore.

La cosa non è ovviamente né semplice né facile, dato che per vederla realizzata occorrerebbe che fossero presenti sul mercato opere di qualità, che poi i lettori possano premiare con i loro acquisti. E questo non sempre è possibile, anzi lo è raramente. E allora, davanti a un’offerta sterminata di opere, che di rado presenta titoli validi letterariamente, ecco che gli acquirenti si orientano come meglio credono.

Manca, e questo è doveroso ricordarlo, il ruolo di guida che fino ad alcuni decenni fa svolgeva la critica più autorevole: la terza pagina dei quotidiani e la rubrica dei “grandi” critici nei settimanali, che orientavano le scelte dei lettori, in qualche maniera educandoli e indirizzandoli verso libri degni di essere letti. Oggi tutto questo non c’è più, e nelle scelte editoriali delle case editrici prevale solo il criterio della “vendibilità” di un’opera. E a quello si inchinano tutti. Per questo oggi abbiamo i best seller che abbiamo.

Il Gattopardo


Come aveva fatto l’anno prima con il “Dottor Zivago”, fu Giangiacomo Feltrinelli a capire il valore del “Gattopardo” e a pubblicarlo con la sua Feltrinelli dopo che Einaudi e Mondadori lo avevano rifiutato

Detto questo, passiamo a vedere un po’ la storia editoriale di questo grande romanzo. Il libro esce nel 1958, dopo che le principali case editrici dell’epoca, Mondadori ed Einaudi in testa, lo avevano rifiutato, non credendo troppo nell’opera del nobile siciliano Giuseppe Tomasi di Lampedusa.

Egli appare troppo diverso e lontano dall’immagine che si aveva allora dello scrittore: un intellettuale impegnato in politica e nella vita sociale, spesso al centro di dibattiti e polemiche. Non un semisconosciuto aristocratico di “professione”, come amava definirsi lui, che solo casualmente e in maniera quasi occasionale era approdato alla scrittura. E poi un romanzo storico! Chi poteva avere interesse a leggerlo!

E allora lo pubblicò un editore da poco apparso sulla scena, ma che già l’anno prima aveva messo a segno un colpo da maestro. Aveva infatti pubblicato in prima mondiale Il dottor Zivago, che sarebbe divenuto uno dei best seller più fortunati a livello planetario.

Nel 1958 quindi, l’anno dopo la morte del suo autore, esce Il Gattopardo, grazie al fattivo intervento di Giorgio Bassani, che ne caldeggia l’uscita presso Feltrinelli, e ne completa e riadatta il testo. Ed è subito successo, in assoluto uno dei maggiori del dopoguerra.

Alcuni anni dopo, la splendida riduzione cinematografica che realizza Luchino Visconti, con le indimenticabili interpretazioni di Burt Lancaster, Alain Delon, Claudia Cardinale e Paolo Stoppa, ne rinverdisce i fasti. In poco tempo se ne bruciano 100.000 copie, dopo tre anni 400.000 copie, cifra inaudita per i tempi, e questo non è che l’inizio. Negli anni successivi il libro continua a salire rapidamente, tanto da superare prima il milione di copie, poi i due milioni nel 1987, i due milioni e mezzo nei primi anni Novanta, e oggi, varcata abbondantemente la soglia dei tre milioni di copie, Il Gattopardo si avvia a traguardi ben altrimenti prestigiosi.

Un grande successo

Fu Giorgio Bassani a raccomandare a Feltrinelli la pubblicazione

Numerose pure le traduzioni all’estero, già superiori alla trentina, che secondo alcuni ne farebbero uno dei libri italiani più conosciuti a livello mondiale. Un successo quindi strepitoso e molto raro nelle vicende editoriali della nostra repubblica, che procede di pari passo con il disappunto di chi lo rifiutò ai suoi tempi: Elio Vittorini per primo, sia alla Mondadori che alla Einaudi, che non comprese le potenzialità dell’opera di un nobile siciliano un po’ blasé, che viveva in disparte e senza clamore. E dietro a lui il rimpianto di chi si vide sfuggire sottomano una vera miniera d’oro.

Questa è anche un’ ulteriore riprova di quanto sia imprevedibile, inatteso e casuale il successo di un libro, quasi impossibile da pronosticare in anticipo, a meno che non si tratti dell’opera di uno scrittore già affermato, conosciuto e apprezzato dai lettori.

La vita

Giuseppe Tomasi di Lampedusa gli inizi degli anni cinquanta.

Giuseppe Tomasi di Lampedusa nasce a Palermo nel 1896, figlio unico, dopo la morte della sorella, di un celebre casato, che secondo gli studiosi in materia risalirebbe addirittura ai tempi di Bisanzio e forse ancora prima.

Trascorre l’infanzia tra la grande casa palermitana della famiglia e quella di campagna della madre, Beatrice Mastrogiovanni Tasca di Cutò, donna di grande cultura e temperamento, con la quale il figlio avrà un rapporto particolarmente intenso, anche per la freddezza e il distacco del padre, Giulio Maria Tomasi, nei suoi confronti.

Completati gli studi liceali a Roma, il giovane si iscrive alla facoltà di giurisprudenza, senza però riuscire a conseguire la laurea. Ben presto viene richiamato alle armi, è fatto prigioniero dagli austriaci nel corso della disfatta di Caporetto, e viene internato in un campo in Ungheria, da dove riesce però a fuggire e a raggiungere a piedi l’Italia.

Dopo la guerra rimane per alcuni anni nell’esercito come ufficiale, ma nel 1925 si congeda e trascorre lunghi periodi in Sicilia, sempre in compagnia della madre, che nutre verso il figlio un affetto quasi possessivo. Tomasi di Lampedusa alterna il suo soggiorno nella regione natale a frequenti e lunghi viaggi in Europa, anche per completare la sua formazione culturale. Trascorre gran parte del tempo in solitudine, immerso nella lettura e nella meditazione, situazione congeniale alla sua personalità. Nel frattempo comincia a collaborare a una rivista letteraria genovese.

Il matrimonio

La maggiore incomprensione del lavoro di Tomasi di Lampedusa è forse dovuta al suo conterraneo Elio Vittorini che rifiutò di raccomandare la pubblicazione del romanzo a Einaudi. Sembra poi che di questo consiglio errato si sia pentito.

Nel 1932 sposa in Lettonia una studiosa tedesca di psicanalisi, anche lei di origini nobiliari, figlia di un barone tedesco e di una cantante lirica modenese, Alice Barbi, che in seconde nozze aveva sposato Pietro Tomasi della Torretta, lo zio di Giuseppe, diplomatico e in seguito politico di rilievo a livello nazionale, in quanto ministro degli esteri e presidente del Senato.

Con la moglie, anche lei alle seconde nozze, e la madre va a vivere a Palermo nella loro grande dimora, splendida sia pur bisognosa di un accurato restauro. L’incompatibilità dei caratteri delle due donne rende però impossibile la convivenza, e la moglie dopo poco se ne torna in Lettonia.

Allo scoppio della seconda guerra mondiale lo scrittore viene richiamato alle armi, ma riesce a ottenere l’esonero in quanto è a capo dell’azienda agricola di famiglia, con la quale si sostiene non sempre agiatamente. Alla morte della madre nel 1946 torna a vivere con la moglie.

Nei primi anni Cinquanta inizia a frequentare alcuni intellettuali, fra i quali il giovane Gioacchino Lanza Mazzarino, in seguito Tomasi, un giovane brillante che poi adotterà come figlio, non avendone di propri.

Dopo un viaggio a San Pellegrino terme nel 1954 per un congresso letterario, dove ha modo di conoscere Giorgio Montale, Maria Bellonci e Giorgio Bassani, si mette a scrivere il suo capolavoro, che completa in due anni, nel 1956. Lo invia a varie case editrici, ma il romanzo viene rifiutato da tutte, provocando una profonda amarezza nell’autore. In particolare gli pesa il doppio rifiuto di Elio Vittorini a pubblicarlo presso la Mondadori e la Einaudi, cosa di cui sembra che il grande intellettuale si sia in seguito pentito. E vorrei vedere! Verrebbe da aggiungere ironicamente.

Nel 1957 gli viene diagnosticato un tumore ai polmoni, che lo condurrà alla tomba nel luglio dello stesso anno a 61 anni di età, a Roma.

Una pubblicazione travagliata

È stato Luchino Visconti, vicino al Partito Comunista, a sdoganare Giuseppe Tomasi di Lampedusa a sinistra.

Poco dopo il dattiloscritto del Gattopardo giunge in mano a Elena Croce, la figlia del filosofo, e lei lo fa pervenire a Giorgio Bassani, editor della Feltrinelli, che lo pubblica nel 1958 con il successo che abbiamo appena visto. Anche la critica più autorevole ne sottolinea il grande valore, evidenziando i pregi stilistici dell’opera, piuttosto che le novità storico-politiche, già riscontrabili in altri romanzi precedenti, come I Vicerè di Federico De Roberto. Colpisce comunque il fatto che quell’analisi fredda e spietata della situazione politica della Sicilia, e per estensione dell’intera penisola, a tratti vista come inguaribile, torni periodicamente a rivelarsi di stringente attualità anche ai nostri giorni.

Il mondo intellettuale si divide fortemente sul libro. Da una parte c’è l’assegnazione del premio Strega, pur contrastata, dato che in ballo c’era anche Una vita violenta di Pasolini, ma dall’altra, specialmente a sinistra, si nutrono dubbi sul romanzo e sulla sua collocazione politica, forse troppo frettolosamente ritenuta di destra. L’uscita del film ad opera di un regista come Visconti, notoriamente vicino al partito comunista, sanerà in parte questa divaricazione.

La trama

Il principe Fabrizio Salina, a cui ha dato il volto Burt Lancaster, è il protagonista del capolavoro di Giuseppe Tomasi di Lampedusa.

Il Gattopardo è la storia della lenta decadenza di una nobilissima famiglia siciliana nel periodo che segna la fine del regno dei Borboni. Il romanzo inizia con la descrizione delle movimentate settimane dello sbarco dei garibaldini in Sicilia, con la nobiltà dell’isola che ne intuisce la prossima fine e si prepara ad adattarsi alla nuova realtà, mentre la borghesia faccendiera è pronta a raccoglierne l’eredità.

Non fa così però il protagonista del romanzo, don Fabrizio di Salina, grande nobile erede di una delle più illustri casate dell’isola. Egli attende con imperturbabile calma che si compia il trapasso, senza reagire né opporvisi, disilluso completamente della vita. Il nipote Tancredi invece fa di tutto per salire sul carro dei vincitori, in modo da perpetuare l’egemonia del proprio ceto sociale. Si arruola volontario nelle camicie rosse, poi entra nell’esercito del Regno d’Italia appena costituitosi, e sposa Angelica Sedara, figlia di un pezzente divenuto ricchissimo con i suoi traffici, la quale gli porta in dote una favolosa ricchezza, colmando in tal modo la differenza di nascita col denaro.

Don Fabrizio invece declina anche la nomina a senatore che un inviato del governo, Chevalley di Monterzuolo, gli offre, disincantato di tutto e in attesa solo della morte, sopraggiunta nel 1883. Gli sopravvivranno per altri trenta anni le figlie nubili, rimaste a custodire la memoria del padre e della famiglia in maniera quasi religiosa, in attesa che la morte ponga fine a tutto.


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