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Banche oltre Brexit e stress test: la sfida è la redditività

Il tasso di crescita degli Npl delle banche italiane s’è dimezzato nell’ultimo biennio ed è ora in linea con quello degli altri Paesi europei ma il Roe è al 3,3% – Fare profitti in uno scenario di tassi bassi non è facile per nessuno ma occorre puntare su una ripresa dell’economia, che richiede una riduzione della pressione fiscale e più lungimiranti politiche europee di bilancio

Banche oltre Brexit e stress test: la sfida è la redditività

Parola chiave: resilienza. Nell’arco di poche settimane lo scenario dell’economia europea e, in particolare, di quella italiana si è trovato a fare i conti con un surplus inatteso di incertezza e di rischi che potevano costituire un inciampo non banale in un contesto già complesso. L’esito del referendum con cui l’elettorato britannico ha scelto la Brexit ha aumentato l’avversione al rischio a livello globale.

Tra le classi d’investimento ritenute più rischiose il focus dei mercati si è concentrato sulle banche, ed in particolare sulle banche italiane. L’esito degli stress test condotti dall’Autorità bancaria europea e diffusi lo scorso 29 luglio permette di ridimensionare e di qualificare l’allarme. Soprattutto, gli stress test forniscono gli elementi per distinguere problemi individuali da sindromi generalizzate che, nell’orizzonte delle banche italiane, non emergono dal riscontro oggettivo dei numeri.

In un confronto europeo di tipo statico e riferito alle sole consistenze in essere, le banche italiane mostrano livelli significativamente più elevati nel rapporto percentuale tra crediti deteriorati e totale dei prestiti. È questa una condizione nota da tempo, che cristallizza due elementi diversi. In primo luogo, c’è l’effetto di otto anni di quasi ininterrotta recessione, di una caduta che ancora oggi colloca il volume trimestrale del PIL italiano otto punti al di sotto del valore della primavera del 2008.

Per avere un termine di paragone, il PIL del Regno Unito è oggi sette punti sopra. Tanta recessione, tante sofferenze. Ma anche, tante sofferenze rimangono oggi sui conti delle banche italiane perché praticamente nessun aiuto è giunto in Italia dalla finanza pubblica. È questo il secondo, fondamentale, fattore che spiega l’anomalia italiana del NPL ratio.

Diversamente da noi, negli anni in cui gli aiuti erano consentiti, altri paesi hanno emesso cifre importanti di debito pubblico per attivare la ripresa dei sistemi finanziari e alleviare il peso delle sofferenze. Al 31 dicembre del 2015, dati Eurostat, il debito pubblico emesso in Europa per interventi di sostegno ai sistemi finanziari ammontava a ben 633 miliardi di euro, di cui appena 2 miliardi in capo all’Italia.

Sarebbe da chiedersi quanto sarebbe più basso oggi il rapporto tra deteriorati e totale prestiti se anche in Italia fosse stato possibile realizzare interventi di sostegno di dimensioni analoghe a quelle realizzate altrove, dalla Germania al Regno Unito. In ogni caso, un’analisi seria del contesto e delle prospettive delle banche italiane non può prescindere da questo “slivellamento” delle condizioni di gioco storicamente verificatosi.

Così come la considerazione degli imponenti aiuti realizzati altrove negli anni compresi tra il 2008 e il 2012 è utile a comprendere la genesi della svolta europea nella normativa sulla risoluzione delle crisi bancarie, dal bail-out al bail-in.  

Il passato è passato. Importante, oggi, è andare oltre la questione statica degli stock per capire se le banche italiane continuino o meno a soffrire un problema dinamico di generazione di flussi di nuovi deteriorati. I riscontri a questo riguardo appaiono confortanti. I dati della Banca d’Italia indicano come il tasso di accrescimento di nuovi deteriorati si sia dimezzato nel volgere di poco più di un biennio.

Gli stessi segnali giungono dell’edizione di luglio del “EBA dashboard”, il monitor trimestrale dell’Autorità bancaria europea, che fa vedere come l’NPL ratio negli ultimi trimestri si sia ridotto in Italia  sostanzialmente nella stessa misura degli altri principali sistemi bancari europei. Archiviati gli stress test, la sfida principale delle banche in Europa e non solo in Italia rimane quella della redditività.

Dinamicamente, è la capacità di generare profitto e di remunerare il capitale il principale fondamento della stabilità bancaria. Sempre i numeri dell’edizione di luglio dell’EBA Dashboard mostrano come un deficit di redditività al momento riguardi tutti i sistemi bancari, non solo il nostro. Al primo trimestre del 2016 il ROE medio delle banche monitorate dall’EBA si ferma al 3,3% in Italia, ma risulta addirittura più basso in Germania (2,6%).

Fare profitti in uno scenario di tassi bassi per lungo tempo non è facile per nessuno. Occorre reiventarsi. Paradossalmente, assumendo che la decelerazione dei nuovi deteriorati prosegua in Italia e che vecchi e nuovi interventi di tipo strutturale dispieghino in concreto i propri effetti di accorciamento dei tempi di recupero dei crediti, anche lo smaltimento dell’alto stock di NPL delle banche italiane potrà contribuire al presidio della redditività.

Ancor prima, a tonificare le prospettive dei conti delle banche serve una solida prospettiva di ripresa dell’economia. Questa prospettiva di solida ripresa dipende, a sua volta, dalla “stance” di politica fiscale ovvero dalla capacità della manovra di finanza pubblica di miscelare in maniera equilibrata e lungimirante l’obiettivo della stabilità e quello dello sviluppo. Dipende dall’Italia, ma anche dall’Europa.

Tra il 2008 e il 2015 il deficit pubblico italiano è stato mediamente pari a solo il 3,4% del PIL nazionale: si tratta di un valore molto più basso di quanto realizzato da tutte le altre maggiori economie dell’Area euro fatta eccezione per la sola Germania. A titolo di esempio, in media, il deficit pubblico italiano è stato ogni anno di circa cinque punti di PIL inferiore a quello spagnolo.

Il maggior rigore è il prezzo che abbiamo pagato per essere entrati nell’età del Fiscal Compact con un rapporto tra debito pubblico e PIL più elevato di quello degli altri. È stato un costo molto alto, di cui oggi scontiamo più di un effetto, non ultimo quello relativo ai più elevati valori degli NPL ratio bancari. Otto anni di crisi vissuti con pochi sostegni anti-ciclici hanno condotto l’economia italiana e il suo sistema finanziario ad operare in una condizione di quasi permanente “stress test”.

Tempi dolorosi, ma anche l’occasione per avviare un percorso di cambiamento strutturale del sistema che ora va portato avanti per recuperare competitività, produttività e lavoro.

Anche sul terreno della finanza pubblica europea occorre saper guardare avanti. La decisione a fine luglio della Commissione Europea di non proporre alcuna sanzione immediata contro Spagna e Portogallo per il permanere di un deficit pubblico superiore al 3 per cento del PIL è una buona notizia, anche per la più disciplinata Italia. È la conferma che pragmatismo, competenza e lungimiranza possono essere usate nell’applicazione delle regole del Fiscal Compact.

Non fermarsi al singolo parametro, o al momento corrente, ma sapere guardare dietro e avanti, nella storia e nelle geografie. Da questo esercizio di equilibrio dipendono le prospettive di resilienza delle economie europee, oltre Brexit e stress test. L’appuntamento è per settembre, con le proposte di bilancio per il 2017.

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