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Auto, l’Italia ha le carte in regola per essere ottimista: parla Silvio Angori, Ceo di Pininfarina

Intervista a Silvio Angori, Ceo e managing director del gruppo Pininfarina – “Il rinvio dell’auto elettrica in Gran Bretagna è stata una bella sorpresa. Gli scioperi in America non comprometteranno la ripresa. Anche l’auto tedesca ripartirà. Occhio alle start up in arrivo dall’Asia”

Auto, l’Italia ha le carte in regola per essere ottimista: parla Silvio Angori, Ceo di Pininfarina

“Prima Parigi, poi Monaco di Baviera. Quale altro prodotto industriale oltre all’auto ha tanto appeal sul pubblico? Stiamo parlando, per queste due manifestazioni di 1,5 milioni di visitatori che si avvicinano ad un oggetto che continua a suscitare passione”. Parla così Silvio Angori, Ceo e managing director di Pininfarina, protagonista di una complessa operazione di risanamento di una delle bandiere storiche dell’industria italiana, oggi brand leader del design industriale. Lui, laureato in fisica alla Sapienza, editore per diletto dell’”Indice dei libri” è senz’altro una delle guide più competenti ed appassionate per cercare di orientarsi nel mondo a quattro ruote in un momento turbolento. Una guida insider perché Angori, vicepresidente dell’Anfia (l’associazione nazionale della filiera dell’industria dell’auto), sta ai grandi nomi vecchi e nuovi del settore come uno stilista sta alle griffe del lusso. Ne conosce e ne custodisce i segreti. Chi meglio di lui per un rapido tour nel mondo delle quattro ruote?

Partiamo dal fondo. Si spettava l’uscita di Rishi Sunak, il premier inglese che ha spostato in avanti l’introduzione dell’auto elettrica? Succederà qualcosa del genere anche nell’Unione Europea?

“È stata una bella sorpresa. Forse siamo in tempo per correggere gli effetti di un dibattito sulla mobilità che è stato superficiale e frettoloso. Non ha alcun senso imporre una tecnologia su un’altra limitando le possibili alternative. La via maestra è quella di lasciar spazio alla ricerca ed al libero lavoro delle aziende. Senza dimenticare che il tema della sostenibilità è molto complesso con forti ricadute sociali perché coinvolge milioni di persone che lavorano nell’auto”.

Non si rischia però di provocare un passo indietro generale per l’industria?

“Credo che la Pininfarina sia al proposito al di sopra di ogni sospetto: la prima auto elettrica a cui abbiamo lavorato risale al 1977. In questa materia siamo all’avanguardia da sempre. Basta pensare alla Blue Car, la monovolume presentata al salone di Ginevra nel 2011 ma sviluppata con Bolloré a partire dal 2008”.

Un investimento sbagliato nei tempi…

“Per questo ho le carte in regola per dire che, dopo lo scoppio del Dieselgate si è agito in maniera frettolosa e superficiale. Ed è un bene che oggi prenda corpo un certo ripensamento. Lo dico da cittadino, non da uomo d’azienda: certi temi vanno approfonditi con uno spirito empirico, senza pregiudizi: non esistono verità scolpite nella roccia. Bisogna saper correggere la rotta in tempo come in barca. Altrimenti si va a sbattere”.

Facciamo rotta verso l’altra sponda dell’Atlantico. La settimana scorsa era a Detroit per il l North American International Auto Show. Che atmosfera ha trovato?

“Non si parlava che degli scioperi in arrivo. Com’era inevitabile e come mi è già capitato di vedere in passato. Anche negli anni della grande crisi, quando Detroit aveva due milioni di abitanti ma alla sera non ti arrischiavi ad uscire dall’albergo. Oggi questa città che vive di auto è una bella città di 8-900 mila abitanti con le strade animate anche di sera. C’è stato un grande recupero, non credo che questi risultati possano venir rimessi in discussione”.

Lo sciopero non comprometterà la ripresa?

“Non credo. Mi ha colpito Obama, sotto la cui presidenza è partita la rinascita, quando ha detto che quando si affrontano problemi come questo occorre sempre avere una prospettiva storica per non avvitarsi in discussioni sterili. E non ho dimenticato la lezione di Marchionne che sosteneva come il costo del lavoro rappresenta una percentuale modesta del costo di una vettura. No, non credo che la vertenza possa fermare la ripresa”.

Restiamo in America. Anzi in California dove sono arrivate le prime Vin Fast, l’auto vietnamita che voi in Pininfarina conoscete bene. Ma ancor prima che sulle strade l’auto è approdata a Wall Street con numeri incredibili. Come si spiega il boom? 

“Non posso parlare di Wall Street. Noi abbiamo contribuito con grande piacere alla nascita della vettura ed abbiamo un rapporto stretto con l’azienda, espressione dell’industria di un Paese, il Vietnam, in rapida crescita”.

Ma dica la verità: è una bella macchina?

“Non può chiedere alla mamma se il figlio è cresciuto bene. Credo che il nostro apporto, cioè il design, abbia una forte carica di attrazione: il design è un formidabile strumento di marketing. È un buon prodotto che ha avuto il coraggio di presentarsi subito i Champions League sfidando il mercato americano che è il più difficile”.

Più difficile dell’Europa?

“In Europa contano altri valori estetici e tecnici. Un buon prodotto può aspirare comunque ad attrarre una platea di affezionati. In Usa è diverso: l’auto lì è solo una commodity, un prodotto che deve costare poco e funzionare a lungo senza troppi fronzoli”. 

Quindi si può aver fiducia nelle start up in arrivo dall’Asia…

“Perché a suo tempo Ferrari non fu una start up? Vin Fast è un’azienda solida con robuste radici industriali. Così come Foxconn, per citare un’altra azienda con cui lavoriamo. Sono due esempi di imprese con un solido dna industriale, approdate all’auto dopo un certo percorso. A differenza di certi progetti, e ne abbiamo visti tanti sul mercato, cresciuti sulla base di uno schema finanziario fatto al solo scopo di raccogliere capitali ed approdare in borsa senza una base industriale solida”.

Questo non è certo il caso dei cinesi che si stanno presentando con propositi battaglieri. Che effetto le fa la calata di Byd e degli altri gruppi in Europa a partire dal salone di Monaco?

“Loro hanno sicuramente buone carte da giocare sul mercato, almeno nelle fasce più basse, lasciate scoperte dai vecchi competitor. Ford ha rinunciato a produrre la Fiesta, Stellantis sta per archiviare la Punto, i tedeschi hanno da tempo abbandonato questo segmento”. 

E così si apre uno spazio promettente 

“I cinesi hanno le carte giuste per occuparlo. La loro è stata una lunga marcia dal 2010 quando Hu Jintao ha lanciato il piano industriale per sviluppare l’auto puntando sull’elettrico. Hanno sviluppato le batterie, settore in cui vantavano l’esperienza del mobile hanno fatto affidamento sulle terre rare. È stata una scommessa, si è rivelata una scelta strategica vincente, figlia di una straordinaria crescita tecnologica”.

A Bruxelles la vedono diversamente. Von der Leyen ha acceso il faro con l’accusa degli aiuti di Stato

“Credo che in questi casi si debba fare affidamento sulle regole del commercio internazionale, senza compromettere il funzionamento del mercato che tanto meglio funziona quanto più è libero. La mia può essere un’opinione di parte perché lavoriamo con diversi marchi cinesi. Ma l’esperienza mi dice che gli aiuti di Stato oggi sono per poca cosa rispetto a 15 anni fa”.

Pechino, una volta tanto, è innocente

“L’ideale è che la politica metta tutti in condizione di operare in equilibrio, privilegiando la vicinanza ai mercati di sbocco. È quello che hanno fatto i giapponesi negli Usa.

E chissà che domani non tocchi ai cinesi. E chissà se, prima o poi, qualcuno tornerà a scegliere l’Italia come polo produttivo. Potrebbe accadere?

“Assolutamente sì! Ci sono tre buone ragioni per puntare sull’Italia. Primo, un tessuto industriale che vanta 130 anni di esperienza nel mondo dell’auto. Secondo, sistema di fornitura che è tra i migliori del mondo. Mi ricordo l’angoscia dei tedeschi quando nel 2020 ha dovuto fare a meno delle forniture italiane ai tempi del Covid. E che dire dei chips per l’auto di Stm; ma soprattutto mi riferisco alle competenze, sia delle aziende che dei centri di ricerca: i politecnici di Milano, Torino e della Motor Valley ma anche l’università di Napoli e le realtà pugliesi”.

Cosa manca per tradurre queste potenzialità in un’offerta concreta? Spagna, Turchia ed Arabia Saudita corteggiano Tesla. Che fa la politica italiana?

“Mi sembra che, a differenza che in passato, gli amministratori siano sensibili. E non escludo che potremmo avere delle belle sorprese. Non penso solo al progetto di programma di Stellantis, ma anche a possibili aggregazioni o poli comuni pubblico-privati. Qualcosa c’è nel Pnrr, si può fare molto di più anche se i soldi sono quello che sono. Ma sono ottimista: l’Italia, che nel caso di uscita dal motore a combustione ha i numeri per difendere la sua presenza nell’auto”.

Anche in materia di occupazione?

“Certo, ma qui ci vuole un grosso impegno per riqualificare la mano d’opera, Penso che ce la faremo”.

Parliamo di futuro. La guida autonoma è vicina? O resterà nei cassetti per un po’, salvo uscire per qualche esibizione, magari al servizio di qualche speculazione finanziaria?

“Dipende. Se parliamo di trasporti collettivi di persone su tragitti definiti direi di sì, siamo vicini. Tra pochi mesi uscirà in Germania un modello a cui abbiamo collaborato. Lo stesso vale per i camion. Penso alle lunghe carovane in fila al Brennero o al Monte Bianco. Non è difficile pensare alla guida autonoma in autostrada. Ma se ci riferiamo ai robot taxi il discorso cambia: penso che sia venuto meno l’ottimismo di 2-3 anni fa. Quel che è sicuro è che si vanno separando sempre di più le caratteristiche della guida. Da una parte la guida per passione, dall’altro l’obbligo della mobilità.

Noi siamo un buon esempio. Non solo siamo sempre più coinvolti nella ricerca di prodotti belli al servizio della passione della guida. Ma un ramo non secondario della nostra attività è rappresentato dalle serie limitate riservate agli affezionati. È un settore in espansione”. 

Intanto le grandi case snobbano le macchine povere, vedi Stellantis

“È un fenomeno generale. Ormai lo sviluppo di una vettura comporta costi enormi. Di qui la necessità di condividere le piattaforme e di puntare a vetture in grado di ripagarsi”.

Prima accennava alla collaborazione con Foxconn, il colosso di Taiwan che produce l’i Phone oltre ad una miriade di altri prodotti. Ma chi proviene dall’elettronica di consumo piò entrare con successo nel mondo dell’auto?

“Stiamo parlando di un’azienda leader. Foxconn, partner di Apple ma non solo, dispone di una batteria formidabile di tecnologie determinanti per il mondo del consumo frutto della ricerca interna. Inoltre, vanta una struttura produttiva formidabile in grado di produrre un milione di mobile al giorno. E va fatta un’altra considerazione…”

Dica…

“Rispetto alle aziende sul mercato da decenni che devono far fronte a pesanti ammortamenti, ha il vantaggio di essere una start up leggera.

Quel che non possono dire i Big tedeschi

L’auto tedesca ripartirà in tempi brevi. Loro vantaggio gioca il fatto di non avere il fardello dei debiti e di poter così investire in R&S il 2,7% del fatturato, più del doppio dell’Italia o l’1,8% francese. Presto i tedeschi torneranno a correre.

Anche per il bene dell’industria italiana…

“Sì, merita essere ottimisti sul nostro futuro: le qualità ce le abbiamo”.

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