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Artigiani in crisi: 1 su 4 ricorrerà al credito per esigenze di cassa nei prossimi tre anni

In arrivo un boom di richieste di finanziamento da parte degli artigiani, ma la domanda di credito per gli investimenti sarà la prima motivazione di indebitamento

Artigiani in crisi: 1 su 4 ricorrerà al credito per esigenze di cassa nei prossimi tre anni

Anche gli artigiani in crisi. Costi delle materie prime alle stelle, inflazione da record e – ad appesantire il tutto – anche la guerra in Ucraina che apre scenari di estrema incertezza e di grande preoccupazione, peggiorando ogni previsione. Segni che testimoniano la fragilità del momento, un momento che però dura ormai da due anni e che ha colpito tutti i settori, anche quello dell’artigianato. Nei prossimi tre anni il 28,1% delle microimprese e dell’artigianato prevede di fare ricorso al sistema creditizio per reperire liquidità a breve termine (contro il 10,7% del biennio precedente), mentre il 34,6% lo farà per investire a medio e lungo termine in azienda (contro il 40% del biennio precedente). Ad evidenziarlo è l’indagine del Centro Studi Tagliacarne e Fedart Fidi sul credito condotta su un campione di 739 imprese artigiane e di micro dimensioni.

“Si tratta comunque di uno scenario da monitorare attentamente. – ha avvertito Gaetano Fausto Esposito, direttore generale del Centro Studi Tagliacarne – Perché a fronte di un ulteriore aumento dell’incertezza dei mercati e della prospettiva di un aumento dei tassi di interesse, anche per contenere le crescenti tensioni inflazionistiche causate dalla guerra russo-ucraina, ci potrebbe essere un ridimensionamento della propensione ad investire di queste imprese utilizzando l’indebitamento bancario”.

Artigiani in crisi: in arrivo un boom di richieste di finanziamento

Secondo lo studio, tra il 2022 e il 2025 sono in arrivo un boom di richieste di finanziamento per fare fronte alle esigenze di cassa nei prossimi tre anni, ma la domanda di credito per gli investimenti sarà la prima motivazione di indebitamento nei programmi futuri degli artigiani ormai anch’essi in crisi.

Il sistema bancario rimane il principale canale di finanziamento di queste aziende: nell’ultimo biennio il 72,5% lo ha utilizzato per soddisfare esigenze di liquidità o di investimento. Mentre il 18,3% è ricorso all’autofinanziamento con il capitale proprio o dei soci e il 6,3% ai fondi pubblici europei, nazionali e territoriali. Quasi il 57% delle imprese ha richiesto agli istituti di credito meno di 200mila euro. 

“Ritengo prioritario che per consentire un più agevole accesso al credito per le micro e piccole imprese si riapra un confronto più intenso con il governo e le amministrazioni competenti”. È quanto ha sottolineato il Presidente di FedartFidi, Fabrizio Campaioli, secondo cui “solo attraverso una virtuosa collaborazione tra garanzia pubblica e privata si potrà generare un maggiore “effetto leva” delle risorse pubbliche che il governo ha stanziato per fornire garanzie alle pmi”. 

Per accedere ai prestiti necessari a colmare nel breve termine i deficit di cassa tra il 2019 e il 2020, nella maggioranza dei casi si è ricorso principalmente a garanzie personali (43,8%). Mentre per ottenere risorse per finanziare gli investimenti è stata prioritaria la garanzia di un confidi (35,3%).

A causa dell’emergenza pandemica, il calo del fatturato è stato il motivo numero uno che ha messo in difficoltà il 44,7% delle imprese nello scorso biennio. Seguono i ritardi o mancati incassi (24,6%) e la mancanza di liquidità (16,7%).

In due anni dallo scoppio della crisi sanitaria, il rapporto con il sistema bancario è risultato più critico per il 27,1% delle imprese. A creare più problemi è stata l’interlocuzione con la banca (10,1%), ma anche la maggiore rigidità nella valutazione della solvibilità dell’impresa (9,5%) e la lunghezza e complessità dell’istruttoria per la concessione di un finanziamento (7,7%).

“Nel complesso solo 1 impresa su 10 ha però registrato condizioni peggiorative da parte della banca rispetto ai finanziamenti in essere, e quando questo è accaduto nelle metà dei casi ha fatto riferimento alla richiesta di maggiori garanzie”, spiega il Centro Studi.

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