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Arte, le splendide 12 mostre che hanno segnato il 2023 in Italia e nel mondo: affrettatevi, alcune si possono ancora vedere

L’editore goWare propone le 12 mostre culturali più interessanti dell’anno, con particolare attenzione a quelle prossime alla chiusura, consigliate dalla critica d’arte del “Financial Times”, Jackie Wullschläger

Arte, le splendide 12 mostre che hanno segnato il 2023 in Italia e nel mondo: affrettatevi, alcune si possono ancora vedere

Come ogni fine dicembre, nel dare l’addio all’anno trascorso, c’è la disposizione a tirare bilanci e redigere classifiche delle cose notevoli capitate nei 12 mesi che sono alle spalle.

Uno degli esercizi preferiti consiste nell’andare ad estrarre dalla massa di eventi culturali e mostre svoltesi in tutto il mondo le più notevoli. Certo molte non si potranno più vedere, ma ci sono pur sempre i cataloghi e le risorse web e social media alle quali rivolgersi come premio di consolazione. Per questo non è un esercizio vano andare a redigere queste graduatorie. Per il pubblico non è certamente la stessa cosa che assistere dal vivo, ma almeno può contribuire a lenire il bias del FoMO (Fear of Missing Out).

Con l’aiuto della critica d’arte del “Financial TimesJackie Wullschläger segnaliamo 12 mostre davvero importanti. Alcune sono ancora aperte e le trovate per prime nella lista che segue, partendo da quelle di più imminente chiusura.

Mostre d’arte ancora visitabili

Manet/Degas

New York, Metropolitan Museum on Modern Art, fino al 7 gennaio 2024

Entrambi parigini di famiglia benestante dell’alta borghesia, Edouard Manet (1832-1883) ed Edgard Degas (1834-1917) erano contemporanei, si frequentavano, si stimavano, si imitavano ma anche, diciamo, si detestavano senza, però, acrimonia.

Manet era estroverso e ciarliero, Degas riservato e mostoso. Politicamente Manet era di sinistra e Degas di destra, ma artisticamente i ruoli si invertivano: il primo era conservatore, il secondo innovatore.

Manet non volle mai saperne di aderire all’impressionismo che pure aveva ispirato. Si rifiutò di partecipare alla mostra dei pittori impressionisti del 1874, mentre Degas, che si sentiva parte del movimento, vi espose.

Quando Degas donò a Manet un ritratto familiare con il pittore stravaccato su un divano e la moglie al pianoforte tappata a metà da una striscia di colore, Manet si imbufalì e glielo rimandò indietro. Non c’era intenzione in Degas. A quel tempo dipingeva così, con i volti e le figure tagliate.

L’esibizione del MET mostra le interconnessioni tra i due artisti con “al centro una camera di combustione” per dirla con le parole del critico d’arte del “New York Times”.

Rivalità come questa o come quella tra Matisse e Picasso alimentano la locomotiva dell’arte. 

Kehinde Wiley|A Maze of Power

Parigi, Musée du Quai Branly Jacques Chirac, fino al 14 gennaio 2024

In ogni tempo c’è un Jacques-Louis David a ritrarre coi pennelli su una grande tela e con una certa pompa la persona illustre alla testa di una nazione.

Se si deve parlare, però, di ritratti di persone illustri penso che resti insuperata la serie degli “Uomini d’arme”, gli otto affreschi a grandezza naturale di Donato Bramante a Brera oppure quelli di Andrea del Castagno agli Uffizi.

L’artista contemporaneo che ci fa venire alla mente queste imprese pittoriche è l’afroamericano Kehinde Wiley (1977—), già chiamato da Obama per il suo ritratto da consegnare alla storia.

Al Musée du Quai Branly, Wiley espone 11 coloratissimi ritratti di capi di stato africani sotto il titolo “Maze of Power” (Labirinto di potere).

Si tratta di un progetto al quale il pittore sta lavorando da 12 anni. Ha girato in lungo e in largo l’Africa per trovare il modo corretto di rappresentarne la classe dirigente.

Da questo lavoro prende forma l’assoluta originalità figurativa di Wiley che esprime la varietà, l’opulenza, la sontuosità e anche l’orgoglio dell’Africa.

Una esibizione di potenza, quella dei suoi leader, resa con colori vivaci, ambientazioni ricercate e manierate la cui visione è come un sogno che si svolge nella foresta pluviale.

Max Beckmann: The Formative Years, 1915-1925

New York, Neue Galerie, fino al 15 gennaio 2024

Non è solo la guerra ad essere atroce, “un inutile massacro e un grande delitto” come ebbe a dire il Presidente Woodrow. 

A dare forma e colori a questa verità è il pittore espressionista tedesco Max Beckmann (1884-1950). La Neue Galerie di New York gli dedica una retrospettiva “Max Beckmann: The Formative Years, 1915-1925”.

E pensare che Beckmann era andato volontario sul fronte occidentale. Nell’autunno del 1914 prese parte alla cruenta battaglia di Ypres. Pochi mesi dopo fu congedato per esaurimento nervoso.

Ypres fu una svolta anche per la sua arte. Da ritratti e paesaggi alla maniera i suoi quadri iniziarono ad assumere sempre più la figurazione di Hieronymus Bosch, con il grottesco del pittore fiammingo che vira al desolatamente ironico dei dipinti e delle incisioni del tedesco.

Lo è, per esempio, il portafoglio di 10 litografie del 1919 dal titolo “Inferno” (Hölle), parzialmente in mostra a New York.

Qui si può anche vedere Il martirio, una litografia del 2019, dove il corpo inanime di Rosa Luxemburg ha la disposizione simmetrica di quello privo di vita di Cristo nella Deposizione dalla Croce del 1917.

Vertigo of color: Matisse, Derain, and the origins of fauvism

New York, Metropolitan Museum, fino al 21 gennaio

Il Metropolitan espone 65 opere di due artisti protagonisti di un entusiasmante esperimento con il colore: Henri Matisse (1869-1955) e André Derain (1880-1950). Il colore divenne il mezzo con il quale adattavano la realtà al loro modo di vederla e di sentirla.

E i toni di colore che usavano erano talmente forti, vertiginosi e “inventati” che a molti apparirono come “barbarici” se confrontati con il “garbo” dei grandi maestri dell’impressionismo. La tavolozza di Matisse/Derain dava vita a una pittura d’immaginazione più che d’impressione. Per questa ragione divennero i “fauve”. E dal fauvismo nasce l’arte moderna.

Matisse e Derain sono due artisti molto diversi ma per una breve estate nel 1905 nel piccolo villaggio di pescatori di Collioure, subito a sud di Perpignano in prossimità del confine catalano, si frequentarono e “guardarono all’orizzonte [del Golfo del Leone] con la stessa lente stilistica”, scrive la Wullschläger.

In quell’estate di esperienze condivise Matisse e Derain erano così artisticamente contigui che riesce difficile distinguere i dipinti dell’uno da quelli dell’altro. Il giovane Derain, allora 25nne, era già intrinsecamente fauve, ma Matisse, 10 anni più anziano, dovette superare forti condizionamenti che gli derivavano dalla sua formazione accademica. Ma, da grande innovatore, qual era, lo fece brillantemente. 

Frans Hals

Londra, National Gallery, fino al 21 gennaio 2024

Amsterdam, Rijksmuseum, 16 febbraio-9 giugno 2024 

Berlino, Gemäldegalerie, 12 luglio-3 novembre 2024

La National Gallery di Londra espone, in otto sale, una delle maggiori retrospettive del pittore olandese Frans Hals (1582-1666). La mostra andrà poi ad Amsterdam e quindi a Berlino ed è quindi visitabile fino al 3 novembre 2024.

La retrospettiva consiste di 50 dipinti tra i maggiori dell’artista di Haarlem che ha rivoluzionato il modo di fare questo genere di pittura.

Hals ritrae la borghesia di Anversa, Haarlem, Amsterdam e di altre città. Una classe imprenditoriale che ha trasformato la giovane Repubblica olandese del XVII secolo in una potenza mondiale sul piano commerciale ed economico.

Hals dipinge questi uomini, donne e infanti in uno stile pittorico sciolto, spontaneo, direttamente sulla tela senza disegno. Lo spirito fattivo, pratico, dinamico e vitale di questa borghesia è reso magistralmente nei dipinti, anche di grande formato e collettivi, del pittore.

Hals non disdegna neppure di ritrarre il popolo che affolla le strade e le bettole delle frenetiche città olandesi, una umanità che dà colore e vita a questi luoghi così come alle tele di Hals.

Van Gogh ha detto di lui: “ha dipinto ritratti, nient’altro che ritratti… ma valgono quanto il Paradiso di Dante, i Michelangelo, i Raffaello e perfino i greci”.

Mark Rothko 1903-1970

Parigi, Fondation Louis Vuitton, fino al 2 aprile 2024

L’umore del mondo, come certa pittura di Mark Rothko (1903-1970), tende sempre più a sfumare verso lo scuro. Le ampie campiture di colore brunito, ideate dal pittore baltico, generano un turbamento simile al lutto. Quel sentire verso il quale si viene spinti dal quadro collettivo del mondo attuale.

Ed ecco che fino al 2 aprile 2024 possiamo visitare la più grande retrospettiva mai vista dell’arte di Rotkho. Si tiene alla Fondation Louis Vuitton a Parigi. Da sola vale un viaggio nella capitale francese.

La retrospettiva riunisce 115 opere. È disposta cronologicamente e descrive il percorso dell’artista dalla esperienza figurativa negli anni trenta fino, passando per il Surrealismo, all’Espressionismo astratto.

Rothko nutriva una visione panoramica delle sue opere fino a includervi anche l’ambiente nelle quali erano mostrate. A Parigi si può vedere una delle Rotkho Room, quella allestita per il collezionista Duncan Phillips, inaugurata da John Kennedy nel 1961 a New York durante una tempesta di neve.

Uscendo dalla mostra al visitatore verrà l’impulso di andare a Huston in Texas a visitare la Rothko Chapel. 14 grandi murali neri in uno spazio ecumenico e aconfessionale costruito con il contributo dell’artista stesso.

Mostre d’arte chiuse

Spotlight on Reynolds

Londra, Kenwood House, fino al 23 novembre 2023

Come Vittore Carpaccio è l’espressione pittorica dello spirito d’iniziativa e dell’ingegno mercantile di Venezia, così l’opera di Joshua Reynolds (1723-1792) è la raffigurazione dello spirito delle grandi famiglie del secolo dei tre re Giorgio (1714-1820) che ha visto la nascita dell’impero e la rivoluzione industriale.

Per il 300° della nascita dell’artista di Plymouth la Kenwood House di Londra ha ospitato una mostra gratuita, “Spotlight on Reynolds”.

Le opere esposte sono quadri di esponenti dell’alta società che erano anche i suoi committenti. C’è pure il primo ritratto, non collegato con la schiavitù, di una persona di colore, un polinesiano di nome Mai.

In questa ragguardevole opera della National Gallery, Reynolds sembra recepire le idee illuministiche d’oltremanica come quella del nobile selvaggio di Rousseau. Uno dei ritratti esposti è quello di Lord Mansfield, il giurista innovatore, la cui sentenza Somerset vs Stewart del 1772 mise la Gran Bretagna sulla strada dell’abolizione della schiavitù.

Il pennello di Reynolds conferiva ai personaggi mondani, in serrata competizione per posizioni di potere e d’affari all’interno della corte georgiana, la dignità di personaggi leggendari ed eroici ripresi in pose solenni e su sfondi da palcoscenico. Razza padrona legittimata dall’arte.

Camera con vista. Aby Warburg, Firenze e il laboratorio delle immagini

Firenze, Galleria degli Uffizi, fino al 10 dicembre 2023

Firenze è stata un’epifania per il geniale storico dell’arte Aby Warburg (1866-1929), il fondatore degli studi iconografici. Firenze per lui è stata una immensa miniera visuale. 

L’ex-direttore degli Uffizi Eike Schmidt, insieme al Kunsthistorisches Institut in Florenz, il Max-Planck-Institut e il Warburg Institute, ha portato a Firenze alcuni pannelli di un’opera unica concepita da Warburg: il Bilderatlas Mnemosyne (Atlante delle immagini della memoria). 

Per realizzarlo lo studioso tedesco scelse e dispose 917 immagini su 63 grandi pannelli (1,5×1,25 m) fasciati di tela nera, creando qualcosa di simile a un sito web fisico.

Ogni pannello sviluppava un tema e lo articolava nei suoi possibili collegamenti che, come scrive Gombrich “spiegavano la sua visione delle forze che hanno determinato l’evoluzione della mentalità occidentale”. Li componeva come una ragnatela di link che attraversano a cavallo di un manico di scopa i secoli, i generi e le culture.

A Firenze sono stati esposti alcuni pannelli con oltre 100 tra fotografie, disegni, documenti totalmente contestualizzati con le opere di riferimento come la Primavera del Botticelli. Il pannello di Warburg, infatti si è trovato nella stessa stanza della primavera.

Van Gogh à Auvers-sur-Oise les derniers mois

Amsterdam, Van Gogh Museum, 12 maggio-3 settembre 2023

Parigi, Musée D’Orsay, fino al 4 febbraio

Nei tre mesi, dal 20 maggio al 29 luglio 1890, Vincent Van Gogh (1853-1890) visse nel paesino di Auvers-sur-Oise a 42 chilometri da Parigi. Qui produsse una quantità sbalorditiva di dipinti tra i più celebrati come il Campo di grano con volo di corvi, il Ritratto del dottor Gachet, la Chiesa di Auvers-sur-Oise, il Casolare tra gli alberi, Il giardino di Daubigny, il Campo di grano con mietitore.

La maggior parte dei 70 dipinti realizzati in questi tre mesi cruciali sono esposti al Museo d’Orsay.

Van Gogh si era trasferito ad Auvers-sur-Oise poche settimane dopo l’uscita dal manicomio di St Remy, in Provenza, convinto che il suo disturbo mentale derivasse in parte dal clima e dal paesaggio del sud e che il verde riposante del nord lo avrebbe aiutato a guarire.

Questo passaggio è ben descritto nel film del 2018 di Julian Schnabel, Van Gogh – Sulla soglia dell’eternità (Prime Video), con uno straordinario Willem Dafoe candidato all’Oscar e al Golden Globe nel ruolo del pittore.

A Parigi si può vedere anche l’ultimo dipinto, Radici dell’albero, realizzato la mattina del 29 luglio 1890 nella quale l’artista si tolse la vita. Pittura densa, grumosa e nodosa proprio come una radice.

Vermeer

Amsterdam, Rijksmuseum, 14 febbraio-4 giugno 2023

In pittura la fama di Johannes Vermeer (1632-1675) nel mondo è pari a quella di Leonardo. Charles Swann, il protagonista del primo libro della Recherche di Proust, è uno studioso di Vermeer. E ci sono delle belle e famose pagine sul maestro olandese. Nell’opera di Proust, Vermeer è citato 15 volte contro le 6 di Leonardo, le 11 di Botticelli e le 13 di Rembrandt.

Il Rijksmuseum per questa mostra, già esaurita dal secondo giorno come i concerti di Taylor Swift, ha raccolto 28 dei 37 dipinti superstiti del pittore di Delf. È stata indubbiamente la mostra più attesa del decennio.

Questo piccolo corpus di opere è stato distribuito in ben 10 stanze consentendo ai dipinti e anche ai visitatori di respirare evitando calche e permettendo le soste che i minuziosi e meticolosi dipinti di piccolo formato di Vermeer richiedono per apprezzarne appieno il valore e il significato.

La mostra si apre con la Veduta di Delf con accanto La stradina di Delf, l’unico altro dipinto di paesaggio del pittore. Seguono la Donna che legge una lettera davanti alla finestra e la Lattaia. E via di seguito…

L’effetto è “monumentale, quasi vertiginoso”, scrive la Wullschläger. 

Lisetta Carmi suonare forte

Firenze, Museo Bardini, fino al 22 ottobre 2023

Lisetta Carmi: Identities

Londra, Estorick Collection, fino al 17 dicembre 2023

Formatasi come pianista e quindi fotografa tra le maggiori a livello internazionale, la genovese Lisetta Carmi (1924-2022) è scomparsa a 98 anni nell’estate del 2022. Una carriera lunghissima con esperienza cosmopolita che parte proprio da Genova dove negli anni ’60 realizzò reportage sui portuali, i camalli, e anche su Ezra Pound, 12 ritratti senza mai scambiare una parola col poeta.

Nel 1965 realizzò il famoso servizio sui travestiti del ghetto ebraico di Genova, ai quali Fabrizio de André si è ispirato per una delle sue più famose canzoni. 

Alcuni scatti dei transgender sono stati in esposizione a Londra, alla Estorick Collection, insieme ad alcuni ritratti dei portuali di Genova. 

L’esposizione del Museo Bardini comprendeva 180 fotografie scattate tra gli anni Sessanta e Settanta. A Firenze ci sono state anche due sezioni inedite dedicate all’alluvione del 1966 e al compositore fiorentino Luigi Dallapiccola.

In una intervista del 2019 Lisetta Carmi ha dichiarato: “Io davo voce ai poveri, a quelli che non possono parlare, che non hanno il diritto di parlare. In tutto ho sempre fotografato gli ultimi”.

Una grande parte del lavoro fotografico della Carmi, infatti, documenta la condizione sociale e umana delle classi lavoratrici.

Per la Wullschläger Lisetta Carmi è stata la scoperta del 2023.

Artisti in guerra

Torino, Museo di Rivoli, 15 marzo-19 novembre 2023

Nell’atrio sottotetto del Castello di Rivoli i due curatori della mostra Carolyn Christov-Bakargiev e Marianna Vecellio hanno raccolto più di di 140 opere di 39 artisti che si trovavano o si trovano in situazioni di guerra.

La mostra ha chiuso appena qualche settimana prima dei tragici eventi del 7 ottobre in Israele e a Gaza. Se vi fossero anche le opere realizzate dopo questo barbaro frangente l’esibizione avrebbe potuto essere emotivamente molto più cupa e angosciante.

Il trovarsi in una situazione bellica, come abbiamo visto con Max Beckmann, può significare moltissimo per un artista come emerge anche nelle opere esposte a Torino.

Qui è possibile vedere lavori di artisti che hanno vissuto tanti diversi contesti bellici come Francisco Goya, Salvador Dalí, Pablo Picasso, Lee Miller, Zoran Mušič, Alberto Burri, Fabio Mauri, Bracha L. Ettinger, Anri Sala, Michael Rakowitz, Dinh Q. Lê, Vu Giang Huong, Rahraw Omarzad e Nikita Kadan.

Il percorso espositivo inizia, e non poteva essere diversamente, con le incisioni dei Desastres de la Guerra (Disastri della guerra), 83 incisioni di Francisco Goya realizzate tra il 1810 e il 1815. Uno dei più notevoli documenti artistici sull’atrocità e l’orrore della guerra. Francesi che uccidono spagnoli e spagnoli che uccidono francesi. Una carneficina.

Buone feste.

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