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Armi in casa, trovate o ereditate. Che fare? Comportiamoci così

La spada del nonno, la pistola di papà o anche un semplice coltello a doppia lama, che per la legge è un’arma anche se molti lo ignorano. Cosa dicono le norme, non sempre chiare e lineari. Cosa consiglia la prudenza per non passare i guai

Armi in casa, trovate o ereditate. Che fare? Comportiamoci così

Dimenticate in un armadio, magari ben nascoste dal suo legittimo proprietario. Poi qualcuno le ritrova, perché il proprietario non c’è più. Pugnali e baionette, una vecchia spingarda arrugginita oppure il fucile da caccia lucido come fosse nuovo, la pistola della guerra, o quella più moderna e perfettamente efficiente. Lì da gestire con qualche inevitabile imbarazzo, specie se non siamo dotati di buone competenze sulla materia. Può trattarsi del naturale lascito del parente defunto, o piuttosto di un ritrovamento tra le mura domestiche. Se ciò accade (e accade spesso) è bene dotarci almeno dei più elementari rudimenti della disciplina che riguarda la gestione e la manipolazione (che dobbiamo a tutti i costi evitare, lo diciamo subito anticipando contenuti di questo tutorial) delle le armi che troviamo per qualunque motivo nelle nostre abitazioni.

Rudimenti utili anche in caso di rinvenimenti in qualunque altro luogo, per nulla scontati, spesso frutto di norme un po’ nebulose. A tal punto che non è sempre facile identificare correttamente ciò che è arma o non lo è. Se si tratta di un semplice attrezzo casomai trasformabile in un’arma impropria se non lo maneggiamo con i dovuti accorgimenti (tipico esempio: il coltello da cucina) oppure un’arma vera e propria, soggetta ad una disciplina di settore rigida e insidiosa.

I rischi di metterci nei guai? Concreti. Vediamo allora le cose da verificare, da fare e soprattutto da non fare. Ne parliamo con la consulenza di Ruggero Pettinelli, giurista e giornalista, uno dei massimi esperti italiani sia di tecnica che di giurisprudenza delle armi.

Primo passo: identificare con cura

Se rinveniamo una o più armi, o sospettiamo qualcosa di essere tale, cerchiamo innanzitutto di verificare la loro reale natura. Armi proprie, soggette in ogni caso a denuncia e ad eventuale autorizzazione anche per la semplice detenzione e non solo per l’eventuale trasporto o porto, sono non solo le armi da fuoco moderne in perfetta efficienza, ma anche le armi da fuoco più vecchie e antiche non ufficialmente disattivate e rese inerti con regolare certificazione.

E’ così anche per le armi da taglio che presentano caratteristiche diverse da quelle di un comune attrezzo da cucina, da campagna, da lavoro. In pratica? La falce, la roncola, lo scalpello, il punteruolo. Per loro vale quel che è previsto per un coltello da cucina: stiano al loro posto per essere usati per il loro scopo naturale. Qualunque porto o trasporto in altro luogo e in altra situazione deve avere, secondo le norme, un “giustificato motivo”. Il che rappresenta una definizione talmente fluida e discrezionale da produrre molti dubbi e conseguenti esiti molto diversi in caso di controlli delle forze dell’ordine. Mettiamola così: non sono armi se stanno lì, potenziali armi se si muovono. Attenzione, dunque.

Questa premessa serve a chiarire cosa invece rappresenta sempre e comunque un’arma soggetta a denuncia e autorizzazione. Non solo una spada, anche non affilata come quelle di semplice rappresentanza, ma anche una baionetta, per quanto piccola e magari arrugginita, è sempre e comunque un’arma propria. E’ un’arma una spada o una sciabola, a mano che non sia priva sia di punta che di filo della lama. Così come un coltello, piccolo o grande che sia, dotato di due lame anche non affilate nei due lati oblunghi: si tratta di un pugnale, dunque un’arma propria a tutti gli effetti, anche quando rimane chiuso nel cassetto della cucina. In caso di controllo delle forze dell’ordine se non è denunciato e custodito come si deve fare con le armi (ne parliamo più avanti) sono guai.

Secondo passo: toccate il meno possibile e fotografate

Rinveniamo qualcosa che è palesemente un’arma, o semplicemente sospettiamo che sia tale? Cerchiamo di toccare il meno possibile la “scena”, men che mai le armi stesse. Perfino i super-esperti sono chiamati (o dovrebbero esserlo) al rispetto dei canoni fondamentali di sicurezza per il maneggio delle armi. Il primo dei quali si identifica in una massima universale, che negli Stati Uniti, patria indiscussa delle armi in mano ai privati, suona così: un’arma da fuoco va considerata sempre comunque carica, la canna non va mai rivolta verso un bersaglio o un potenziale bersaglio a meno che non lo si voglia intenzionalmente colpire, il dito deve essere tutto rigorosamente fuori dal grilletto a meno che non lo si voglia intenzionalmente premere.

Affermazioni pleonastiche e un po’ ridicole? Niente affatto. Gran parte degli incidenti nasce proprio dalle armi “scariche”, da chi non ha la doverosa consapevolezza dei comportamenti da adottare. Volete approfondire la cosa? Cliccate qui e scaricate gli allegati a fondo pagina. A questo punto, se riusciamo ad avere comunque una visione complessiva sulle armi o presunte tali avendole manipolate meno possibile, scattiamo una o più fotografie che possibilmente consentano di identificare la marca, il tipo e l’eventuale matricola.

Terzo passo: chiamare le forze dell’ordine per un sopralluogo

Il Commissariato di Polizia di zona, se esiste, altrimenti la stazione dei Carabinieri competente per territorio. Ecco a chi ci dobbiamo rivolgere, sapendo che se per qualunque arma che sappiamo già censita e legittimamente acquistata abbiamo l’obbligo di denunciare entro 72 ore sia l’acquisizione (da un’armeria o da un privato legittimato a vendere) sia lo spostamento del luogo di detenzione, per le armi rinvenute vige il principio della denuncia “il prima possibile”. Procediamo quindi immediatamente con una telefonata all’autorità competente per territorio.

Il nostro consiglio è quello di descrivere telefonicamente la natura di quello che abbiamo rinvenuto, con l’immediato invio delle eventuali fotografie preferibilmente via posta elettronica certificata (PEC), concordando subito un sopralluogo. Consigliamo di procedere così, a meno di diverse indicazioni del Commissariato di Polizia o della Stazione dei Carabinieri, anche se si tratta di armi moderne già regolarmente censite e denunciate, che possiamo successivamente decidere di mantenere attivando le procedure previste.

Quarto passo: cercare tutta la documentazione

Vecchie denunce e autorizzazioni alla detenzione? Un porto d’armi da caccia, “sportivo” (o più propriamente per Tiro a Volo) o da difesa personale? Verifichiamo, se possibile ancor prima del sopralluogo delle forze dell’ordine, se esistono documenti correlabili alle armi che abbiamo rinvenuto, da esibire alle autorità che si occuperanno delle verifiche. Saranno i funzionari di Polizia o i Carabinieri a controllare la piena regolarità della documentazione che siamo in grado di presentare, o magari saranno direttamente loro a reperirla in copia se noi non troviamo niente.

Così facendo nulla dobbiamo temere, se si tratta di un vero rinvenimento tra le mura domestiche o in ogni altro luogo. Anche nel caso si tratti di armi irregolari, ad esempio quelle prive di matricola o con la matricola illeggibile, o considerate “da guerra” e non detenibili da privati perché in grado di sparare a raffica o di calibro non consentito (problema quest’ultimo quasi del tutto superato alla fine del 2021 con la legalizzazione per uso civile anche delle munizioni calibro 9 parabellum nelle armi corte, una volta riservate alle sole forze militari o dell’ordine).

Quinto passo: tenere qualcosa o consegnare tutto?

Abbiamo fatto tutto come dobbiamo, ci siamo messi al sicuro e abbiamo ufficializzato ad ogni effetto ciò che abbiamo rinvenuto. A questo punto può sorgere il dilemma: consegniamo definitivamente le armi rinvenute alle forze dell’ordine (che comunque le preleveranno direttamente dal domicilio in attesa del loro destino) o verifichiamo se possiamo chiedere in restituzione qualcosa?

La prima soluzione è obbligata nel caso di armi da fuoco non ufficialmente “civili” o non censite come “detenibili”, magari perché prive di numero di matricola. Se il confronto con le forze dell’ordine e la verifica della documentazione che abbiamo reperito lo consentono possiamo, se lo vogliamo, attivare le procedure per entrare in pieno possesso delle armi ritrovate. E qui si apre un capitolo piuttosto complicato. Possiamo consultare con doveroso impegno la documentazione che Polizia e Carabinieri ci mettono a disposizione direttamente sul Web. Le nozioni di base di questo specifico aspetto? Eccole in sintesi.

Detenzione, custodia, trasporto e porto: attenti alle regole

Il caso più semplice è quello del fucile da caccia. Non ne parliamo, perché se siete cacciatori conoscete benissimo le regole per l’abilitazione, il porto d’armi per uso caccia, la denuncia di detenzione delle munizioni e le regole per il loro trasporto. Se non siete cacciatori e siete digiuni di tutto sappiate che per chi vuole detenere o in qualche modo movimentare un’arma sia da fuoco che da taglio le regole sono segnate da un groviglio non semplicissimo da interpretare e gestire. Il consiglio è quello di armarsi di buona volontà scandagliando con cura il link delle forze dell’ordine che vi abbiamo indicato. Sappiate che la disciplina italiana, come del resto accade nella maggior parte degli altri paesi, risponde un criterio di base diametralmente opposto a quello da sempre in uso negli Stati Uniti.

In America si ritiene praticamente indiscutibile il dettato granitico del Secondo Emendamento della loro costituzione: il possesso delle armi e anche il loro porto è un diritto costituzionalmente riconosciuto, limitato semmai da specifiche normative differenti da Stato e Stato dell’Unione. Qui da noi vige un principio praticamente contrario. Il possesso è consentito previa verifica e autorizzazione. Il porto è normalmente vietato, a meno di deroghe caso per caso rispondenti al criterio del “dimostrato bisogno”.

Un’impostazione che in Italia ha prodotto in pratica quattro tipologie di autorizzazioni da chiedere alle autorità di pubblica sicurezza (i dettagli nei siti web di Polizia e Carabinieri che vi abbiamo indicato): il nulla osta per l’acquisto e la detenzione, piuttosto facile da ottenere e soggetto comunque a verifiche amministrative e mediche (serve, tra l’altro un certificato medico da rinnovare ogni cinque anni); il porto di fucile per Tiro a volo (comunemente detto “sportivo”); il porto di fucile per caccia, che autorizza il porto di fucile da caccia e munizioni durante la stagione venatoria; il porto di pistola (o di fucile) per difesa personale, sempre più difficile da ottenere e da rinnovare ogni anno con tutte le procedure di verifica e autorizzazione. Tutti i porti d’arma (Tiro a volo, Caccia e Difesa) consentono il trasporto in poligono di tutti i tipi di armi detenibili (non solo quelle sportive), tenendo presente che solo il porto d’armi per difesa personale consente di portare e “indossare” l’arma carica.

Lo slalom tra le trappole interpretative

Qualche doveroso cenno alle cautele da adottare anche per la semplice detenzione: per la custodia delle armi le norme non prescrivono obblighi precisi e inderogabili, come un armadio blindato, un impianto di allarme o un locale con caratteristiche definite. Il criterio, oggettivamente nebuloso nei suoi aspetti interpretativi, è quello dell’obbligo di adottare “ogni diligenza possibile nell’interesse della sicurezza pubblica” evitando (questo l’unico criterio interpretabile con un po’ di precisione) che l’arma sia immediatamente accessibile a chiunque non sia il diretto e legittimo detentore. Per il resto buio pesto, o quasi. Con il compito interpretativo affidato alla difficile opera dei giuristi.

Il messaggio è chiaro: oltre alle regole di assoluta e non sempre scontata prudenza nel maneggio delle armi conviene affidarsi, quando si hanno a che fare con le norme, ai classici piedi di piombo (non quello delle cartucce): “prudenza e circospezione, senza correre rischi” recita il dizionario interpretando l’antico detto popolare. Diamogli retta.

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