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App economy: nuova economia ma vecchie diseguaglianze

L’app economy è una delle manifestazioni più riuscite della nuova economia ma è fonte di gravi diseguaglianze: nel 2015 Apple e Google hanno distribuito agli sviluppatori decine di miliardi di dollari che sono però finite in pochissime mani lasciando a bocca asciutta oltre il 90% di editori di app e sviluppatori – Facebook e la King Digital continuano ad arricchirsi: ecco perchè

App economy: nuova economia ma vecchie diseguaglianze

L’app economy, se non ci sei non esisti

L’app economy è una delle manifestazioni più riuscite della nuova economia, la quale, oltre a produrre servizi strabilianti, è anche una fabbrica a ciclo continuo di paradossi. Seguire i trend di questo nuovissimo comparto dell’industria dei media è appassionante come seguire i labirinti creati da David Lynch. C’è pero una tendenza che emerge chiarissima. La disuguaglianza, che è il problema del nostro tempo, nell’app economy raggiunge una magnitudo estrema che riecheggia quella dei tempi dei robber barons e della nascita del grande capitalismo negli USA.

Nel 2015 Apple ha dichiarato di aver distribuito agli sviluppatori circa 17 miliardi di dollari, una cifra non tanto inferiore è arrivata da Google. Ebbene questa massa di soldi è finita in pochissime mani lasciando più del 90% degli sviluppatori e degli editori di app a bocca quasi asciutta. Il 99% dei guadagni se lo prende lo 0,01% delle applicazioni pubblicate.Tanto le app sono matrigne di guadagni per chi le sviluppa, quanto sono amate e frequentate dai consumatori di dispositivi mobili.

Oltre il 60% del tempo trascorso sugli smartphone avviene su una qualche app. Del milione e mezzo di app disponibili su AppStore, gli utenti alla fine ne utilizzano con continuità meno di 10. Un rapporto da vertigine. Il dato di fatto è che se non si ha un’app non si esiste nello spazio digitale. Ma solo chi innova ha una qualche chance di restare sul mercato, o farsi notare dagli investitori, ed è per questa ragione che l’app economy è il laboratorio di Mago Merlino.

Le invisible apps

L’ultima trovata sono le “invisible apps”, le app fantasma che non hanno neppure bisogno di essere installate sul dispositivo per fare il lavoro che sono chiamate a fare. Queste app, costruite all’interno delle applicazioni tradizionali di messagistica o di altro tipo, tendono a sfruttare intensivamente le informazioni che la decina di sempre più sofisticati sensori installati sui telefonini di ultima generazione rendono disponibili al sistema, monitorando i più disparati contesti nei quali si trova il device.

Questo può sapere automaticamente dove ci troviamo, che cosa stiamo facendo e che cosa sta accadendo intorno a noi.A breve ci sarà un app che ordinerà automaticamente una pizza se alle 8 di sera saremo sempre in ufficio e si può star certi che prenderà quella ci piace di più.

Ci sarà un’app che ci impedirà di aprire la portiera dell’auto se abbiamo bevuto una birra di troppo e piuttosto ci chiamerà un taxi per tornare a casa… non un taxi, anzi, ma un’auto di Über, la più fortunata app dell’app economy.Questi servizi saranno operati da un software che neppure sappiamo di avere e che neppure risiede sulle memorie del device. Inutile cercarlo. È qualcosa che arriva e si sviluppa in modo invisibile come avveniva allo scienziato del famoso romanzo di H.G. Wells. Chi avrebbe mai detto che le intuizioni del grande scrittore visionario avrebbero trovato una qualche applicazione sensata oltre un secolo dopo.

E l’essere invisibile non ha neppure gli svantaggi che Wells aveva descritto nel suo piccolo capolavoro letterario.Tim Bradshaw, il reporter del “Financial Times” che da 10 anni copre il mondo della tecnologia per il quotidiano di Londra, ci racconta che cosa sono e come funzionano le invisible apps. Ilaria Amurri ha tradotto ed adattato al pubblico italiano il suo articolo dal titolo Developers look beyond the app.

Il vincitore prende tutto

Lanciando il suo App Store, nel 2008, Apple ha creato un mercato completamente nuovo, al punto che la società della mela ha dichiarato che nel 2015 sono stati spesi 20 miliardi di dollari in applicazioni per iPhone e iPad. Purtroppo, però, come accade nell’economia in generale, negli app store di Apple e Google regna ancora una certa disuguaglianza.

Mentre i ricchi (social media del calibro di Facebook e King Digital Entertainment, l’editore di Candy Crush) continuano ad arricchirsi, gli altri sviluppatori fanno sempre più fatica a far notare le loro applicazioni, d’altronde ce ne sono oltre un 1,5 milioni sull’Apple Store, 1,6 milioni su Google Play, 400 mila su Amazon Appstore e altrettante su Window Phone Store. Il punto, come rivela uno studio di Activate, società di consulenza nel campo dei media e delle tecnologie, è che gli utenti passano tre quarti del tempo su cinque applicazioni al massimo.

In un blog, a novembre, il CEO della società di app Branch Metrics, Alex Austin, ha spiegato che:

I download e i profitti sono fortemente sbilanciati verso poche applicazioni fondamentali. Il 99% del guadagno è concentrato nello 0,01% delle applicazioni.

Allo stesso tempo, in questo momento essere presenti sul mercato è più importante che mai, come dimostrano gli studi di ComScore. La società, che svolge analisi sulla rete e i media, ha scoperto che nell’ultimo anno, negli USA, il tempo dedicato alle app ha superato quello che si passa sul desktop del PC e che la fascia d’età compresa tra i 18 e i 34 anni trascorre il 61% del suo “tempo digitale” utilizzando lo smartphone. Anche Flurry, un servizio di Yahoo che analizza il settore della telefonia mobile, ha confermato che il tempo passato al cellulare è più che raddoppiato nel corso del 2015.

Arrivano i bot

Il predominio degli smartphone rappresenta una sfida per gli sviluppatori che sperano di fare strada con le loro app, per questo alcune società hanno deciso di sperimentare funzioni nuove, che non prevedono necessariamente di dover installare applicazioni sui dispositivi. Ryan Hoover, fondatore del sito per la vendita di prodotti tecnologici Product Hunt, ha coniato il termine “applicazioni invisibili” per descrivere le app di messaggistica istantanea come Facebook Messenger o Slack (per le aziende) o i normali messaggi come canale prioritario di comunicazione con gli utenti.

“Una delle cose più difficili è attrarre l’attenzione, gestire la distribuzione e diventare una parte quotidiana della vita della gente”, spiega, “È per questo che Slack si è messa nelle mani degli sviluppatori”. Secondo Hoover tutto questo ricorda la situazione che si presentava una decina d’anni fa, quando tutti cercavano di attirare clienti creando pagine su Facebook invece di creare nuovi portali.

Birdly, ad esempio, startup parigina per la gestione delle spese, è stata lanciata inizialmente come app per cellulare, ma poi si è capito che un bot, un software per l’automazione come quello di Slack, avrebbe fatto lo stesso lavoro molto più velocemente. In pratica gli utenti mandano la foto di una ricevuta al bot di Birdly, e il software legge i dati e li inserisce in un foglio di calcolo che così viene alimentato automaticamente.

Altre “applicazioni invisibili” possono essere l’ucraina PocketTour, un’agenzia di viaggi accessibile attraverso l’app di messaggistica Viber, o la Digit di San Francisco, che consente agli utenti di gestire i loro conti tramite messaggio. L’utilizzo delle chat per altri scopi è già diffuso in Asia grazie ad applicazioni come WeChat e Line, da tempo impiegate per inviare denaro o chiamare taxi.

Fin’ora, nella Silicon Valley Facebook è stato tra i più aggressivi nel proporre modello bot al di fuori dell’Asia. Nel 2015 ha aperto l’applicazione di Messenger ad altri sviluppatori, che ora possono creare nuove funzionalità, come le tastiere emoji, per inserire nei messaggi simboli graficie smile. Inoltre, le aziende possono comunicare individualmente con il miliardo e mezzo di utenti abituali di Facebook Messenger e alcuni rivenditori selezionati stanno collaudando una piattaforma per tracciare le spedizioni e per fornire assistenza ai clienti. Durante la conferenza del Digital Life Design di Monaco, in gennaio, WhatsApp Messenger, acquisito da Facebook, ha annunciato che avrebbe consentito alle aziende di comunicare con gli utenti attraverso l’applicazione.

“Significa poter dialogare con la propria banca per verificare la trasparenza delle transazioni o con una compagnia aerea in caso di ritardo di un volo”, spiegano in un blog. Tuttavia, è improbabile cheil servizio sia gratuito per le aziende, dato che l’obiettivo è di generare un profitto tale da compensare l’esiguità della quota di iscrizione annuale di un dollaro che tra l’altro è stata rimossa.

Gli assistenti virtuali e le app in streaming

A dicembre Slack, che è utilizzato anche dal “New York Times” e da molte altre redazioni di quotidiani, ha lanciato una piattaforma che consente agli sviluppatori di creare prodotti per il servizio di messaggistica e ha stanziato 80 milioni di dollari per finanziare il progetto. “Crediamo che ci sia un grande potenziale nel campo dell’intelligenza artificiale, dei bot e degli assistenti virtuali” confida il CEO Stewart Butterfield al “Financial Times”.

Gli assistenti virtuali possono svolgere funzioni come suggerire un regalo da fare o prenotare un ristorante e stanno diventando sempre più popolari, così come Magic, Operator, Facebook M e simili, che offrono lo stesso tipo di servizio sotto forma di messaggistica.

“Le applicazioni tradizionali tendono a offrire esperienze generiche, mentre le ultime novità sono molto più personalizzate”, sottolinea Jan Dawson, analista esperto di tecnologia alla Jackdaw Research. A novembre Google ha anche introdotto la possibilità di eseguire app “in streaming” consentendo agli utenti di accedervi senza scaricarle, nel tentativo di unire il meglio della rete e delle app tradizionali. Al momento il test è limitato ad alcuni partner, ma Google sta aprendo altre parti della sua piattaforma mobile agli sviluppatori. Google Now è un software che estrae le informazioni dalle app, come il servizio di prenotazione di ristoranti OpenTable o il car sharing di Zipcar, permettendo agli utenti di ottenere informazioni dai servizi senza aprire le applicazioni.

Riducendo un’applicazione all’essenziale è possibile spingersi ancora più in là. Secondo John Borthwick, CEO di Betaworks, che sviluppa e finanzia start-up, le notifiche push, che arrivano dall’applicazione se l’utente ha accettato di riceverle, sono destinate a diventare un’interfaccia fondamentale, perché trasmettono agli utenti informazioni che sono per loro di peculiare interesse” e aggiunge:

Invece di costringerti a lanciare un’applicazione per cercare qualcosa in rete, il tuo dispositivo può comunicare con te attraverso una notifica push, sfruttando anche i dati contingenti di cui dispone, come la posizione, gli interessi, l’orario e le condizioni atmosferiche.

Per gli sviluppatori le applicazioni mobile le invisible app, le notifiche push e i chat bot offrono maggiori opportunità di aprirsi un varco nel caos digitale attraverso Faceboook, Whatsapp e gli altri giganti degli app store, invece di competere con loro per ricevere l’attenzione degli utenti.

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