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Antitrust: nuove regole per le concentrazioni

Il presidente dell’Associazione Antitrust Italiana, Alberto Pera, illustra la necessità di meglio armonizzare le regole nazionali ed europee sulle concentrazioni societarie.

Antitrust: nuove regole per le concentrazioni

Già da tempo l’Associazione Antitrust Italiana pensava di organizzare un convegno sul tema dell’adeguamento della normativa italiana sulle concentrazioni rispetto agli sviluppi nel contesto europeo.

Il tema è stato reso ancora più attuale dalla ripresa dopo la crisi del processo di M&A nazionali e cross-border in tutto il mondo, in Europa e in Italia, e nel contempo dalla evoluzione nelle valutazioni circa gli effetti di questo processo in un contesto di mercato profondamente cambiato, anche per l’importanza dei settore digitale e delle imprese ivi operanti. L’antico dibattito sugli effetti della concentrazione dei mercati sull’innovazione è stato ripreso in un nuovo paradigma negli ultimi anni e si assiste a un revival dei modelli strutturalisti. D’altronde, specie nei mercati digitali, particolare attenzione viene rivolta al ruolo delle start up e al rischio di una loro precoce uscita dal mercato per acquisizione da parte di imprese già ben stabilite.

Queste tendenze sollecitano di per sé un approfondimento del controllo delle concentrazioni, europeo e nazionale.

Il sistema italiano di controllo delle concentrazioni nella legge 287/90, ispirato dalle previsioni dell’originario Regolamento 4064/89, è rimasto sostanzialmente immutato in termini normativi dalla legge istitutiva, anche se degli aggiornamenti sono avvenuti nella prassi applicativa da parte della Autorità, per esempio attraverso l’introduzione della fase di pre-notifica e del questionario semplificato. Nonostante vari aspetti del modello italiano siano apprezzabili (per esempio rispetto alla tempistica) un aggiornamento appare necessario su vari fronti, dalla definizione di impresa comune, al fatturato delle imprese bancarie. D’altronde, la modifica delle soglie di notifica avvenuta nel 2012, pur opportuna considerata la situazione precedente, ha finito per produrre un effetto distorsivo, non solo in quanto ha ridotto a poche decine il numero di notifiche di operazioni soggette al controllo, ma perché di fatto limita il controllo nazionale quasi solo ai settori non tradeable dell’economia. Infatti, per ragioni già messe in evidenza da un contributo dell’AAI a una consultazione avviata dall’Autorità qualche anno fa, le attuali soglie di notifica finiscono per far sì che il controllo si applichi quasi esclusivamente a settori rivolti al mercato nazionale, quali i servizi pubblici locali, la distribuzione commerciale o i servizi finanziari, escludendo invece quasi completamente i settori manifatturieri più internazionalizzati. Né ci pare che la modifica introdotta con la legge annuale della concorrenza nel 2017 abbia sostanzialmente modificato la situazione.

L’esperienza europea può fornire una riflessione sulle esigenze di aggiornamento della normativa nazionale. Il controllo delle concentrazioni europeo ha ormai quasi 30 anni e in questo periodo ha conosciuto continue evoluzioni riguardo al ai criteri di valutazione (passaggio dal test basato sulla dominanza a quello basato sulla struttura di mercato), alle definizioni, alle procedure e ai rimedi per risolvere i problemi concorrenziali posti dalle operazioni.

C’è però di più, e di qui il tema che abbiamo voluto dare al convegno. Ci sembra che l’evoluzione del sistema europeo abbia anche implicato un diverso rapporto tra controllo delle concentrazioni nazionale e controllo delle concentrazioni comunitario. L’originario regolamento 4064/89 è stato introdotto in un contesto in cui solo in alcuni degli stati membri esisteva un meccanismo di controllo delle concentrazioni. Esso era basato sul criterio della “barriera unica”, per cui tutte le concentrazioni al di sopra delle soglie ricadevano nel controllo (allora) comunitario. E’ vero che meccanismi di interazione erano previsti dall’art. 22, la famosa clausola olandese che consentiva il rinvio di una concentrazione sotto soglia alla Commissione, qualora questa minacciasse di creare una posizione dominante a livello europeo, e dall’art. 9 che consentiva il rinvio all’Autorità nazionale nel caso di operazioni che riguardassero esclusivamente un mercato locale all’interno di uno Stato membro. Ma si trattava di casi limitatissimi, quasi ipotetici.

Il Regolamento 139/2004, che ha modificato il sistema di concentrazioni europeo, e che è tuttora in vigore, è invece basato sul principio della sussidiarietà, per cui l’applicazione del controllo avviene da parte dell’Autorità che è nelle condizioni più favorevoli per intervenire: per questo sono previsti meccanismi di rinvio dell’esame delle concentrazioni dall’autorità nazionale a quella europea e viceversa a richiesta sia delle autorità nazionali (art. 9) che delle stesse parti coinvolte nell’operazione (art.4), in relazione a quale sia l’autorità che meglio può intervenire sull’operazione.

Questa nuova impostazione, ormai in atto da più di un decennio, in un contesto in cui ormai tutti gli Stati membri tranne il Lussemburgo dispongono di un sistema di controllo delle concentrazioni, disegna un reticolo di interazioni tra controllo europeo e controllo nazionale e sembra porre il rapporto tra controllo nazionale e controllo comunitario in una nuova prospettiva, in particolare circa il grado di complementarietà tra i due sistemi, simile per certi versi a quella disegnata dal Regolamento 1/2003 per quel che riguarda la normativa antitrust relativa alle condotte.

E indicazioni in tal senso mi pare si possano trovare in una recente decisione dell’Autorità. Mi riferisco al provvedimento del 5 luglio scorso, in cui l’Autorità si è trovata a disapplicare alle previsioni dell’art 3, comma 4 del Decreto Salva-banche (decreto legge 25 giugno 2017, n. 99) che prevedeva che l’operazione di acquisizione da parte di Intesa San Paolo delle attività bancarie facenti capo a Banca Popolare di Vicenza e Veneto Banca, poste in liquidazione coatta amministrativa, avvenisse senza essere soggetta a notifica e controllo da parte dell’autorità antitrust nazionale (“se la concentrazione che deriva dalla cessione non è disciplinata dal regolamento (UE) n. 139/2004 del Consiglio del 20 gennaio 2004, essa si intende autorizzata in deroga alle procedure previste dalla legge 10 ottobre 1990, n. 287, per rilevanti interessi generali dell’economia nazionale”).

Ebbene, l’Autorità riteneva di disapplicare questa disposizione e richiedeva la notifica dell’operazione, in quanto a suo parere “il disposto del decreto non può porsi in contrasto con la normativa comunitaria in materia di controllo delle concentrazioni di cui all’articolo22 del Regolamento 139/2004/CE e, pertanto, è suscettibile di essere disapplicato”: la motivazione è breve, quasi un obiter dicta, ma il contenuto sembra chiaro: il sistema di controllo delle concentrazioni comunitario non consente che un’operazione di concentrazione suscettibile di dar luogo a distorsioni concorrenziali nel mercato unico (art. 22 del Regolamento) non sia valutata dalle Autorità di concorrenza, sia questa nazionale o europea. In sostanza, l’Autorità sembra ritenere che il principio di sussidiarietà non rappresenti solo un criterio ripartitorio tra giurisdizioni, come l’originario criterio della barriera unica, ma implichi un coordinamento tra ordinamento nazionale e ordinamento comunitario che consenta un efficace controllo delle concentrazioni.

Si tratta di un’innovazione importante rispetto alla interpretazione a suo tempo autorevolmente adottata dalla Corte Costituzionale, con la sua sentenza 270 del 2010, relativa al decreto-legge 28 agosto 2008, n. 134, il cosiddetto “Decreto Alitalia”. Come qualcuno ricorderà il decreto esentava l’operazione di acquisizione del controllo di Alitalia e AirOne da parte di CAI, dalla necessità dell’autorizzazione dell’Autorità, limitandosi a prescrivere che le parti notificassero all’Autorità le misure comportamentali che ritenevano opportune per limitare la situazione di dominanza che l’operazione avrebbe determinato.

La Corte, che naturalmente stava valutando la compatibilità del Decreto con la Costituzione italiana (e in particolare con gli articoli 3 e 41) e non delle norme europee, ritenne che “all’interno delle figure tipizzate del diritto antitrust le concentrazioni fruiscono, in definitiva, di una disciplina complessivamente più flessibile, l’attenzione di interessi diversi si può tradurre in un potere di valutazione….demandato all’autorità politica eventualmente in sostituzione dell’autorità indipendente preposta al controllo antitrust”. Soprattutto, ai nostri fini, la Corte non riconosceva al controllo delle concentrazioni nazionale un ruolo analogo a quello che, invece, Reg. 1/2003, attribuisce al sistema di controllo delle condotte previsto dagli Artt. 101 e 102 del Trattato da parte delle Autorità nazionali della concorrenza.

Ci pare che la nuova impostazione dell’Autorità rafforzi invece l’esigenza di riflettere sulle caratteristiche del sistema nazionale rispetto a quello comunitario, sia in relazione ai criteri applicativi, sia in termini di grado di copertura. Se infatti è la sussidiarietà che governa la ripartizione delle competenze ci si può chiedere se il sistema nazionale non dovrebbe essere disegnato in maniera da garantire in modo da garantire una efficace ripartizione di compiti tra i due sistemi e in particolare un efficace controllo delle operazioni di concentrazioni nel contesto nazionale.

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