Condividi

ACCADDE OGGI – Nel 2007 l’addio a Trentin, sindacalista raffinato

Dopo 14 anni dalla sua scomparsa, la mancanza di un sindacalista del calibro di Bruno Trentin si sente ogni giorno di più – Più che mai attuali le sue riflessioni

ACCADDE OGGI – Nel 2007 l’addio a Trentin, sindacalista raffinato

Il 23 agosto 2007 moriva a Roma Bruno Trentin in seguito e in conseguenza dei postumi di una caduta in bicicletta mentre trascorreva qualche giorno di vacanza in una località dolomitica come San Candido che tanto amava. Benchè anziano (era nato il 9 dicembre 1926) Bruno non aveva rinunciato a quella vita sportiva che lo aveva portato per lunghi decenni a scalare le montagne per mettere alla prova la sua capacità di resistenza e la sua determinazione a conseguire anche sul piano del rigore fisico degli obiettivi sempre più ambiziosi. Chi ha letto i suoi Diari – pubblicati postumi negli anni scorsi – vi ha trovato non solo riflessioni sull’attualità politica e sindacale del tempo, ma anche considerazioni sui libri che stava leggendo e racconti delle scalate intraprese con pochi e selezionati amici, con i quali condividere piacevolmente la fatica come la conversazione e la compagnia nei pochi momenti di svago e di riposo.

Trentin era nato in Francia (a Pavie in Guascogna) dove suo padre Silvio si era recato in esilio dopo essere stato uno dei pochi docenti universitari a rifiutarsi di giurare fedeltà al fascismo. Caduto il regime il giovane Bruno era tornato in patria (insieme al padre che poco dopo morì) ed aveva partecipato alla Resistenza, nelle formazioni di Giustizia e Libertà. Finita la guerra, laureato in giurisprudenza a Padova  aveva compiuto un periodo di studi negli Usa, ad Harvard. Approdato in Cgil aveva dato lustro all’Ufficio studi. Nel 1950 si era iscritto al Pci. Era stato eletto deputato, incarico da cui si dimise quando fu decisa l’incompatibilità tra cariche sindacali e mandati elettivi. Poi nel 1962 aveva sostituito Luciano Lama alla direzione della Fiom dove rimase fino al 1977 quando entrò a far parte della segreteria confederale divenendo in seguito, segretario generale dal 1986 al 1994. 

Uscito dal sindacato, fu eletto, per due mandati, parlamentare europeo. Trentin è autore (spesso insieme a Bruno Ugolini) di importantissimi saggi in materia di lavoro. Ma la sua leggenda è scritta insieme a quella di Pierre Carniti e Giorgio Benvenuto (il solo sopravvissuto) nel decennio glorioso dei metalmeccanici (appunto 1963-1973) quando le tre federazioni di categoria innovarono le relazioni industriali, sancirono nei contratti contenuti di grande spessore anche culturale e promossero una strategia di riunificazione che arrivò ad un passo dal successo, ma che venne costretta a ripiegare, fino alla situazione scandalosa di oggi dove non si intravvedono ragioni plausibili per l’esistenza di tre confederazioni ‘’storiche’’ che continuano a restare separate ciascuna nel suo orticello di potere. Per ricordare Bruno Trentin nell’anniversario della morte  ho scelto di pubblicare alcuni brani di un discorso per lui (e per tutti noi)  importante.

Il 13 settembre del 2002 l’Università Ca’ Foscari conferì a Bruno Trentin una laurea ad honorem in Economia. In quell’occasione Trentin pronunciò una Lectio doctoralis sul tema ‘’Lavoro e conoscenza’’. Bruno allora era ancora componente del Parlamento europeo (lo sarà fino al 2004); pertanto ebbe certamente occasioni successive a quella per svolgere in diverse sedi altri importanti discorsi. Come scrisse Giorgio Bocca ‘’quando parla uno come lui si capisce che il duro ripensamento critico e la ricerca creativa appartengono a tutti coloro che vogliono uscire dai luoghi comuni e dalle pigrizie’’. In quell’occasione, tuttavia, Bruno parlava nell’Aula dedicata a suo padre Silvio, uno dei fondatori del diritto amministrativo. La Lectio – anche per i suoi contenuti – rappresentava sicuramente una sintesi matura ed approfondita dell’esperienze, degli studi e del pensiero di una intera vita. Trentin si misurava, con anticipo, con i grandi temi che avrebbero interessato il dibattito sindacale.

La flessibilità del lavoro, innanzi tutto. ‘’L’uso flessibile delle nuove tecnologie, il mutamento che ne discende nei rapporti fra produzione e mercato, la frequenza del tasso di innovazione e l’invecchiamento rapido delle tecnologie e delle competenze, la necessità di compensarle con l’innovazione e la conoscenza, la responsabilizzazione del lavoro esecutivo per garantire la qualità dei risultati – secondo Trentin – faranno, infatti, del lavoro stesso, almeno nelle attività più innovative, il primo fattore di competitività dell’impresa’’. È bene però distinguere – era questa la raccomandazione –  la flessibilità del lavoro come ideologia e la flessibilità del lavoro come realtà. L’introduzione delle nuove tecnologie dell’informatica e delle comunicazioni, con i mutamenti dei rapporti fra domanda e offerta derivanti dal loro uso sempre più flessibile e adattabile, la rapidità e la frequenza dei processi di innovazione, con la conseguente obsolescenza delle conoscenze e delle competenze, imponevano senza alcun dubbio, come imperativo legato all’efficienza dell’impresa, un uso flessibile delle forze di lavoro e una grande adattabilità del lavoro agli incessanti processi di ristrutturazione, che tendevano a diventare non più una patologia ma una fisiologia dell’impresa moderna. Un altro tema cruciale (da allora sono passati quasi vent’anni) riguardava la questione demografica.

‘’La popolazione  invecchia rapidamente in Europa e particolarmente in Italia. Nel 2004 – scriveva – la classe di età dei 55-65 anni sorpasserà, in quantità, la classe di età dei 15-25 anni. E cominciavano a porsi problemi rilevanti sia per garantire la salute e l’assistenza delle persone più longeve che per garantire un reddito decoroso per i pensionati.  Pertanto – proseguiva – la sola strada, difficile ma percorribile, stava nell’aumento della popolazione attiva, in grado di finanziare lo Stato sociale. Ma questa – osservava criticamente – era ferma in Italia al 50% della popolazione totale, contro il 72-75% dei paesi nordici. Un tale sforzo comportava certamente l’aumento dell’occupazione femminile  e  di un’immigrazione sempre più qualificata.  Ma, già allora, a Trentin sembrava ineludibile la promozione di un invecchiamento attivo della popolazione, con l’aumento volontario ma incentivato, dell’occupazione dei lavoratori anziani e quindi dell’età pensionabile.

E questa era per lui  la prospettiva, con la progressiva scomparsa della pensione di anzianità. Fino a quel momento i lavoratori ultra 55enni erano infatti occupati in Italia solo nella misura del 35% contro il 70% dei paesi scandinavi. L’aumento della popolazione attiva anche per i lavoratori anziani appariva quindi come la sola alternativa alla riduzione della tutela pensionistica universale. Chi scrive non intende contrapporre le parole di Trentin a quelle dei sindacalisti di oggi. Sarebbe scortese nei confronti di Bruno, prima di tutto. Ma forse costoro farebbero bene ad andare a rileggere quella lectio del 2002.

Commenta