Il governo italiano vuole che Poste Italiane e la Zecca dello Stato (Ipzs) rilanci i colloqui per l’acquisto di PagoPA, la piattaforma di proprietà del Tesoro che gestisce i pagamenti digitali alla pubblica amministrazione, hanno detto a Reuters due fonti a conoscenza della questione.
Secondo un piano elaborato lo scorso anno, Poste, che ha ampliato il suo business principale di posta e pacchi includendo anche servizi finanziari, di banda larga e di fornitura di energia, avrebbe acquisito una quota di minoranza in PagoPA per rafforzare il suo business dei pagamenti.
Ma le trattative hanno incontrato un ostacolo anche sulla valutazione di PagoPA, con Poste e la Zecca che hanno messo in discussione il prezzo di 500 milioni di euro determinato da un consulente del Tesoro. Le parti stanno ora cercando di finalizzare un accordo a settembre, anche se non è stata ancora fissata una scadenza formale.
PagoPA, che quest’anno ha gestito pagamenti alla pubblica amministrazione italiana per un valore di 57 miliardi di euro, è destinato a svolgere un ruolo di primo piano negli sforzi del governo italiano per istituire un portafoglio digitale attraverso l’app mobile IO. L’app consente ai cittadini italiani di archiviare documenti ufficiali, tra cui la prova della propria identità digitale, per accedere ai servizi pubblici online e per effettuare pagamenti.
La prospettiva che Poste acquisisca una partecipazione in PagoPA ha allarmato il già affollato settore bancario italiano, alle prese con la forte concorrenza nei pagamenti digitali da parte di aziende come Apple, proprietario di Google Alphabet e PayPal.
Da parte sua, Poste teme che parte della sua attività possa essere intaccata dal progetto di PagoPA di sviluppare il cosiddetto progetto Send, una piattaforma digitale per l’invio e la ricezione di comunicazioni legali da parte delle pubbliche amministrazioni, ha dichiarato una fonte vicina alla vicenda.
I dubbi dell’Antitrust
Giusto un anno fa il Tesoro aveva chiesto alla società di consulenza Kpmg di delineare un perimetro di valutazione. Nelle intenzioni del governo Poste dovrebbe diventare azionista di minoranza di PagoPA (49%), mentre il controllo (51%) rimarrebbe sotto il controllo di enti statali: l’Istituto poligrafico e Zecca dello Stato (Ipzs). Ma questa fomulazione del governo non piace all’Antitrust perchè violerebbe “regole che costituiscono veri e propri principi fondamentali del sistema”, inclusi quelli conformi ai principi dell’Unione europea e della Costituzione italiana. Secondo L’Autorità garante della concorrenza e del mercato (Agcm), una valutazione ufficiale è accettabile solo se il valore determinato diventi il punto di partenza per un’asta aperta a tutti coloro che sono interessati ad acquistare le quote di PagoPa, inclusi Poste Italiane, i suoi concorrenti e le banche stesse. Per il garante della concorrenza è essenziale “adottare procedure trasparenti e non discriminatorie” nel trasferire parte di questi benefici a un soggetto di mercato.
Inoltre, l’ingresso di Poste Italiane nel capitale di PagoPA potrebbe sollevare problemi significativi nel funzionamento del mercato, specialmente nel settore dei pagamenti digitali e delle notifiche digitali. Questo perché PagoPA nasce neutrale, “cioè come mero tramite” per i pagamenti. Invece la “cessione del 49% della piattaforma PagoPA si presta a minare questo carattere di neutralità”, perché Poste “è presente anche nel mercato a valle, dove opera in concorrenza con gli altri soggetti che si avvalgono della piattaforma”, dice l’antitrust