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Mercati, Fugnoli: tra guerre, dazie e politiche espansive “profonde ragioni per rimanere investiti”

Nella sua rubrica settimanale “Il Rosso e Il Nero” lo strategist di Kairos Alessandro Fugnoli spiega i motivi i per cui i mercati stanno tenendo di fronte al conflitto Israele-Iran e spiega le ragioni, nel breve e nel medio termine, per le quali è giusto, con cautela, continuare a investire

Mercati, Fugnoli: tra guerre, dazie e politiche espansive “profonde ragioni per rimanere investiti”

Come mai i mercati stanno tutto sommato tenendo di fronte alle nuove tensioni in Medio Oriente? Perché credono che “una eventuale decisione americana di entrare in prima persona nel conflitto Israele-Iran ne acceleri la conclusione”. È questa la spiegazione fornita dallo strategist di Kairos, Alessandro Fugnoli, nella sua rubrica settimanale “Il Rosso e il Nero”.

L’economista sottolinea anche come quella che sta vedendo negli ultimi giorni da parte dei mercati, sia una reazione profondamente diversa rispetto a quella del 2002-2003, nonostante i timori di allora, visti oggi, furono decisamente eccessivi. “L’esercito di Saddam si sciolse come neve al sole dopo poche ore di conflitto e le borse, su livelli molto depressi, iniziarono immediatamente il grande rialzo che sarebbe durato fino alla crisi finanziaria del 2008”, ricorda Fugnoli che sottolinea come le paure dei primi anni 2000 mostrino anche, per contrasto, “come sia rilassato l’atteggiamento dei mercati oggi, in un contesto che non può certo essere definito di sottovalutazione come quello del marzo 2003”, sottolinea.

Ma perché questa differenza? I motivi sono essenzialmente due. Numero uno “l’America non si è ancora impegnata a proseguire il suo eventuale intervento fino al regime change e al successivo nation building”, anzi potrebbe insomma limitarsi a neutralizzare le installazioni atomiche e ritirarsi, spiega lo strategist di Kairos, evidenziando come questo approccio ichiederebbe una sorta di accordo con il regime iraniano, che si impegnerebbe a incassare il colpo senza rispondere attaccando le basi americane nel Golfo. Possibile ma improbabile. 

“Un’altra spiegazione è che il Taco visto sulle tariffe verrebbe replicato con un Taco sulla guerra (Taco è l’idea che Trump, una volta lanciato il sasso, si tira rapidamente indietro)”, ipotizza Fugnoli. 

Trump tra Russia e Cina

“C’è poi un’altra dimensione che è poco presente nel dibattito corrente, anche se certamente lo è nella testa di Trump. Come reagiranno Russia e Cina alla perdita dell’Iran?”, si chiede l’economista, secondo cui, con ogni probabilità la Russia alzerà molto il tiro sull’Ucraina nel caso i negoziati in corso non producano un esito per lei soddisfacente. La Cina, da parte sua, “subirà un duro colpo nella sua strategia di sfuggire all’assedio americano nell’Indopacifico sfondando internamente in Eurasia”. Che farà allora la Cina? Sarà tentata di rompere l’assedio attaccando Taiwan? Fugnoli cita Michael Every, secondo cui i mercati si sono per mesi occupati solo di dazi mentre la complessità dello scontro geopolitico saliva giorno dopo giorno. Oggi si accorgono della questione iraniana, ma continuano a non vedere tutto quello che le sta dietro.

“C’è a questo punto un’asimmetria tra il potenziale di rialzo nel caso di una soluzione gradita ai mercati della questione iraniana e il potenziale di ribasso nel caso questa si prolunghi e si complichi”, osserva Fugnoli. 

Fugnoli: “Rimangono ragioni profonde per rimanere investiti”

Come comportarsi allora? “Rimangono ragioni profonde per rimanere investiti”, consiglia lo strategist. “La ragione di breve termine è che, pur con tutte le considerazioni svolte fin qui, un esito gradito ai mercati della questione iraniana in tempi stretti rimane lo scenario più probabile” – osserva. – In questo caso basta evitare, nei prossimi giorni, di esporsi con operazioni a leva (tanto al rialzo quanto al ribasso) e avere un minimo di pazienza”.

“La ragione di medio termine – continua Fugnoli – più convincente in quanto strutturale, è la natura espansiva delle politiche monetarie e fiscali, che si estende a perdita d’occhio in tutto il mondo. L’unica eccezione è quella della politica monetaria americana, definita ieri da Powell moderatamente restrittiva. Si tratta però di un’eccezione che ha i mesi contati, i dieci mesi che vedranno ancora Powell alla guida della Fed. Ma potremmo anche dire che ha le settimane contate”. 

Se l’inflazione americana, secondo le ultime proiezioni, salirà presto al 3 per cento e lì si manterrà per qualche mese, la politica monetaria della Fed, a tassi nominali stabili, vedrà un’erosione dei tassi reali e diverrà quindi, anch’essa, moderatamente espansiva.

“Terminata l’ondata di inflazione da dazi all’inizio dell’anno prossimo, la nuova Fed a nomina trumpiana taglierà i tassi ancora più di quanto sia nel frattempo ridiscesa l’inflazione. Tutto il mondo, a quel punto, sarà sintonizzato su una linea aggressivamente espansiva. Gli investitori vedranno insomma, nei prossimi mesi, una forte volatilità legata a vicende geopolitiche serie e difficili da prevedere. Avranno però, in compenso, la certezza di politiche strutturalmente favorevoli ai corsi azionari (e non necessariamente dannose per i corsi obbligazionari)”, conclude Fugnoli.

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