Si parte. E’ stata ufficialmente costituita Nuclitalia: 51% Enel, 39% Ansaldo Energia e 10% Leonardo. Presidente è Ferruccio Resta, già rettore del Politecnico di Milano. Amministratore delegato è Luca Mastrantonio, responsabile dell’Innovazione nucleare di Enel. Missione ufficiale: selezionare e sviluppare le tecnologie più adatte all’Italia aggregando le migliori industre del settore. Missione di fatto: costituire il polo operativo per la costruzione e la gestione delle nuove centrali fatte da una combinazione di mini-reattori di nuova generazione. Magari accontentando anche gli appetiti di chi vorrebbe fare la stessa cosa e non fa parte (per ora) della partita. A cominciare dalla Sogin, la società pubblica nata per dismettere le vecchie centrali chiuse dopo il referendum del 1987, che si è già candidata per fare esattamente la stessa cosa utilizzando proprio i siti delle nostre centrali dismesse. E magari facendo spazio a qualche altro rinomato campione italiano, ad esempio Newcleo, leader nella ricerca sui mini-reattori di quarta generazione, o direttamente l’Enea, che vanta una riconosciuta leadership mondiale nella corsa (dal traguardo comunque lontano) alla fusione nucleare.
Piccoli, ma per giocare in grande
Ma cosa ci aspetta se tutto andrà per il verso giusto? Arriveranno, è vero, i piccoli reattori. Ma nessuno pensa di disseminare il territorio italiano di piccole centrali. I nuovi reattori SMR (Small Modular Reactor) saranno costruiti in serie, prefabbricati, combinati tra loro in centrali di grossa taglia molto simili se non identiche. Nasceranno, in una prima fase, con la migliore tecnologia attualmente disponibile, la cosiddetta “terza avanzata”. Ma all’orizzonte c’è la staffetta con i mini-reattori modulari di quarta generazione che attorno al 2040 dovrebbero consentire di ridurre a una frazione la produzione delle scorie nucleari. Il gioco della standardizzazione servirà ad abbattere i costi, a rendere più agevoli le procedure operative e di sicurezza, a garantire processi autorizzativi uniformi e dunque più rapidi.
Artefici tutto ciò dovranno essere consorzi di dimensioni sovranazionali o almeno con una vocazione alla collaborazione sia strategica che operativa tra giocatori del vecchio continente, e magari non solo. Nel frattempo si lavorerà sull’altro versante critico della sfida, forse il più critico: la ricostruzione, perché di questo si tratta, di un buon consenso sociale all’energia nucleare. Le istituzioni (il Governo, le amministrazioni locali ma anche gli enti pubblici di ricerca come Enea e Cnr) dovranno fare la loro parte. Operazione delicata e impegnativa, con l’obiettivo di garantire all’Italia almeno l’11% di generazione elettrica dal nucleare al 2050 tracciato nel disegno di legge delega per il ritorno italiano nucleare varato a fine febbraio con tutti i timori e i dubbi del caso.
Le promesse per ripartire subito
Ogni modulo che servirà a comporre le nuove centrali avrà una potenza tra i 300 e i 400 megawatt. Una centrale come quelle ipotizzate per il nostro ritorno all’atomo elettrico avrà una potenza comparabile con quella dei grandi impianti che già esistono, ovvero tra 1.200 e 3. 500 MW. A comporli saranno, in una prima fase, mini-centrali modulari di terza generazione avanzata SMR, per ora. Una tecnologia collaudata, con i suoi pregi e i suoi limiti. Per il ciclo di alimentazione del calore usano l’acqua pressurizzata, che disperde molta energia.
Centrali sicure? Sembra di sì. Un nuovo livello di sicurezza sia attiva che passiva è stato messo a punto nell’ultimo ventennio sotto il peso degli incidenti che hanno creato le barriere al “vecchio” nucleare, grazie ai progressi tecnologici negli apparati ma anche nelle metodologie di controllo anche predittivo dell’intelligenza artificiale. Tutto ciò ha prodotto protocolli operativi che rendono automatica l’attivazione di meccanismi di interruzione e di contenimento dei meccanismi di reazione nucleare al minimo segnale di avaria, anche ipotetico. Rimangono i problemi relativi alla generazione delle scorie.
Verso le centrali di quarta generazione
Ma ecco le centrali di quarta generazione AMR (Advanced Modular Reactors) che dovrebbero diventare operative dopo il 2040. Il refrigerante del reattore non è l’acqua, comunque necessaria alle turbine di generazione elettrica, ma un materiale energeticamente più efficiente e riutilizzabile, meno ingordo di risorse comunque preziose (l’acqua si disperde in vapore): il sodio, ad esempio, più probabilmente il piombo fuso.
Centrali efficienti e soprattutto più “pulite” soprattutto sul versante davvero critico del combustibile: il mix del materiale radioattivo necessario, ora costituito essenzialmente da uranio arricchito, nelle centrali d quarta generazione potrà essere confezionato riciclando gran parte, circa l’80%, delle scorie prodotte dalle centrali di generazione precedente e di quelle di volta in volta autoprodotte nel nuovo ciclo di reazione nucleare negli stessi AMR. Rimarranno comunque da gestire le scorie più critiche, quelle che decadono non in decine o centinaia di anni ma in millenni, che rappresentano però una parte residuale del totale.
Il sogno delle scorie che diventano nuovo “carburante”, il problema più critico dell’energia nucleare, comincerà a diventare realtà. In vista del traguardo potenzialmente risolutivo, quello per della fusione nucleare. Traguardo lontano, molto lontano. Decenni. Quanti non si sa.
La tabella di marcia guarda lontano
Il primo passo da fare subito? La costruzione del framework regolatorio e finanziario necessario la sfida. Ammesso che in un paio d’anni diventi realtà, le nuove centrali nucleari italiani potrebbero venire alla luce del 2030 il 2035, con una staffetta verso le centrali AMR di quarta generazione che potrebbe essere sperimentata a partire dal 2040.
Il versante della tecnologia pura non pone grosse incognite visto che si parla di partire, anzi di ripartire, con tecnologie già esistenti e collaudate, che vanno solo riconfezionate per le centrali modulari di piccola taglia. Rimangono da affrontare gli altri tre capitoli che impattano direttamente sui destini operativi della sfida.
Pesano le incognite sull’accettabilità sociale del nuovo nucleare. Non è un caso se la versione definitiva del ddl governativo non contiene più l’ipotesi (che continua a piacere tanto alla Sogin) di ripartire dai siti delle vecchie centrali nucleari chiuse dopo il referendum del 1987: l’istruttoria, con tutte le sue immense criticità, partirà da capo. Sarà di nuovo questo il macigno più duro da scalfire? Probabilmente sì. Ci sono poi le incognite che riguardano il sistema regolamentare e societario. E c’è, cruciale, quello alchimie finanziarie chiamate a dare praticabilità e soprattutto convenienza l’operazione.
Sussidi e aiuti in nome delle regole europee
Un pool tecnologico che aggreghi i migliori partendo dalle iniziative dei singoli Stati ma puntando ad un conglomerato di imprese multidisciplinari di dimensione continentale? L’obiettivo è questo. Ognuno deve cominciare da qualcosa. Così è stata imbastita a inizio gennaio, quando il ddl governativo doveva ancora prendere la sua forma definitiva, la newco Enel-Ansaldo-Leonardo. Si inizia da qui, nella consapevolezza che il consorzio, ufficialmente nato per accelerare la ricerca sulle migliori soluzioni per l’energia nucleare ma con l’ambizione di fare da struttura operativa portante per il grande affare delle nuove centrali, dovrà allargare le sue braccia. Per una serie di motivi.
La standardizzazione dei mini reattori, e le economie di serie che dovranno essere garantite, sono un fattore critico considerando l’imponente sfida finanziaria del nuovo nucleare, che abbisogna ancor più del vecchio nucleare di un impegno economico colossale. Un impegno teoricamente facilitato da qualche margine di redditività in più rispetto alle soluzioni degli scorsi decenni, se consideriamo solo il versante della tecnologia che è diventata più efficiente. Ma nel frattempo sono cresciuti i costi che derivano dai più stringenti vincoli sulla qualità delle opere collaterali: progettazione, qualità certificazione dei cementi, apparati e procedure di sicurezza con relative strutture a loro servizio, solo per citarne alcune. Ne sanno qualcosa i cugini francesi, che hanno visto dilatarsi in maniera quasi intollerabile i tempi e i costi dei loro nuovi reattori EPR.
Tra il 70 e l’80% del costo totale di un impianto nucleare è comunque costituito dall’investimento iniziale, che restituirà profitti nel tempo. Una sfida che può essere affrontata solo chi ha le spalle davvero robuste. E che comunque avrà bisogno di ingenti finanziamenti se non di veri sussidi pubblici, come del resto previsto anche dal nuovo ddl governativo. Problemi di compatibilità finanziaria per le casse dello Stato? Certamente. Ma i problemi ci sono anche sul fronte regolamentare. Più precisamente sulle regole antitrust comunitarie.
La disciplina Ue sugli aiuti di Stato ha sperimentato più di una deroga per favorire i progetti nucleari interni alla Comunità: dalla Francia alla Slovacchia fino alla Spagna. Lo stesso farà certamente con noi. Ma per convincere Bruxelles ad allentare la morsa dei divieti antitrust occorre rispettare alcune precise condizioni. Innanzitutto quelle relative alla par condicio rispetto agli attori che hanno titolo di partecipare, se lo ritengono compatibile, alla sfida. I consorzi chiusi tra imprese, peraltro direttamente controllate dallo Stato italiano, come nel caso dei tre partner della neocostituita Nuclitalia, sarebbero sicuramente in conflitto con le regole europee.