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Visco: l’Italia va indietro. Investire in conoscenza e innovazione

Il governatore di Bankitalia ha parlato all’Esof di Trieste. “Il Pil ha fatto un balzo indietro di 30 anni. E non è colpa solo del Covid”

Visco: l’Italia va indietro. Investire in conoscenza e innovazione

Tornare a investire sulla conoscenza e rimuovere gli ostacoli all’innovazione. Il governatore della Banca d’Italia Ignazio Visco vede in queste due direttrici la cura migliore e indispensabile per riportare l’Italia a crescere. Il Pil pro capite italiano ha fatto un balzo all’indietro di 30 anni, tornando ai livelli di fine anni ’80, e il motivo, ha spiegato nel corso di un suo intervento all’Esof (Euroscience Open Forum) di Trieste, è certamente dovuto al collasso dell’economia a causa della pandemia da Covid19. Ma la seconda ragione, non meno importante, è schedagli anni ’90 in poi la crescita del Paese è stata molto debole. Nessun’altra grande economia avanzata ha registrato infatti un balzo all’indietro così ampio come l’Italia. Cosa fare allora per risalire la china? Ecco in sintesi l’analisi e le proposte del governatore.

  • Il ruolo del capitale umano e dell’innovazione come determinanti della crescita economica: è ai ritardi nel campo della conoscenza che dobbiamo la lenta crescita del PIL negli ultimi 30 anni.

•   L’emergenza Covid-19 ha colpito profondamente l’economia italiana: a metà 2020 il PIL è tornato a livelli osservati all’inizio del 1993. In termini pro capite, il PIL è sceso ai valori registrati alla fine degli anni ’80.

•   La risposta globale di governi, banche centrali e autorità di vigilanza nella maggior parte dei paesi è stata immediata e straordinaria. Le banche centrali hanno utilizzato un’ampia gamma di strumenti per garantire condizioni monetarie più accomodanti, contrastare le tensioni sui mercati e sostenere i prestiti a famiglie e imprese.

•   È essenziale che si attuino riforme volte a creare un ambiente più favorevole alle imprese, aumentando la qualità e l’efficienza dei servizi pubblici, riducendo gli oneri amministrativi e burocratici, abbassando il peso dell’evasione fiscale, della corruzione e di altre attività criminali.

•   Un annoso problema in Italia è legato al basso livello di spesa in ricerca e sviluppo (R&S). L’Italia è tra i paesi con il ranking più basso dell’OCSE con una spesa dello 0,9% sul Pil contro una media Ocse dell’1,7%.

•   La bassa spesa in ricerca è accompagnata da investimenti insufficienti nell‘istruzione. Per quanto riguarda la dimensione quantitativa, i dati mostrano che gli italiani non frequentano la scuola abbastanza a lungo. La dimensione qualitativa del problema educativo investe il fatto che gli studenti italiani sembrano non imparare abbastanza.

•   Anche le imprese private hanno un ruolo chiave da svolgere. La loro reazione all’enorme trasformazione indotta dal progresso tecnologico e dalla globalizzazione durante gli anni ’90 si è riflessa in una richiesta di costi del lavoro inferiori, invece che in investimenti più elevati e adeguati in nuove tecnologie. Ciò avrebbe stimolato la domanda di manodopera altamente qualificata, innescando forse un circolo virtuoso di domanda e offerta di istruzione superiore.

•   Innovazione e formazione sono plasmate dalla struttura del sistema produttivo estremamente frammentato in Italia. Il “nanismo” del sistema produttivo italiano è correlato alla capacità delle imprese di introdurre buone pratiche manageriali, adottare nuove tecnologie per sviluppare innovazione e investire in capitale umano.

•   Queste caratteristiche delle nostre industrie influenzano profondamente la produttività media dell’economia. Le imprese italiane più grandi sono spesso più produttive delle corrispondenti imprese francesi e tedesche, ma il gruppo molto numeroso di imprese più piccole è molto meno produttivo e fa scendere la media.

•   Una debole capacità di innovazione, un basso livello di capitale umano e un peso predominante delle piccole imprese hanno caratterizzato l’Italia anche quando la sua crescita economica era rapida. Due fattori hanno contribuito ad arrestare il recupero dell’Italia e ad innescarne il declino: primo, la mancanza della capacità autonoma di innovare per alimentare la crescita economica; secondo, il mondo è cambiato radicalmente negli ultimi 30 anni, a causa della globalizzazione dei mercati e della rivoluzione informatica.

•   A lungo termine, una maggiore produttività è l’elemento chiave per lo sviluppo economico. Per un percorso di crescita sostenibile, alle misure necessarie per affrontare i problemi urgenti creati dall’attuale crisi pandemica devono essere affiancati interventi volti ad affrontare gli ostacoli che frenano l’innovazione.

•   Nonostante i suoi limiti, il PIL pro capite sembra avere una correlazione molto forte con le variabili fondamentali per il benessere di un Paese (correlazione del PIL di oltre il 90 per cento con l’indice di sviluppo umano).

•   C’è una dimensione in cui il PIL, tuttavia, non funziona bene come misura del benessere, ovvero il suo impatto sull’ambiente. È tempo di indirizzare risorse e sforzi crescenti per affrontare gli effetti collaterali dello sviluppo economico. La conoscenza è ancora una volta la risorsa chiave su cui dobbiamo investire per compiere ulteriori progressi economici preservando l’ambiente.

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